Sostituzione della delibera condominiale impugnata: conseguenze processuali

in Giuricivile, 2018, 4 (ISSN 2532-201X), nota a Cass. civ., sez. II, ord. 6/04/2018, n. 8515

L’art. 2377 c.c., applicabile per identità di ratio anche in materia di condominio, statuisce all’ultimo comma che l’annullamento di una deliberazione dell’assemblea di una società per azioni, non può avere luogo se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge.

Con riguardo alla disciplina giuridica della sostituzione di delibera condominiale, si ha dunque sostituzione nel caso in cui “la nuova delibera regoli il medesimo oggetto in termini incompatibili con quelli ipotizzati in precedenza”.

Ebbene, nelle suddette ipotesi, il Giudice può ben dichiarare la cessazione della materia del contendere purché abbia accertato che la delibera adottata in sostituzione di quella impugnata sia conforme alla legge ed allo statuto e allorquando le parti abbiano dato atto dell’intervenuto mutamento e formulato conclusioni conformi.

Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 8515 dell’8 aprile 2018.

Il caso in esame

Nel caso di specie – nell’ambito di un contraddittorio riguardante un locale condominiale adibito a “biblioteca personale” da un condomino – l’assemblea dei condomini invitava con delibera quest’ultimo alla restituzione della stanza in questione sita al piano terreno.

Il Tribunale adito veniva chiamato a giudicare sulla impugnazione ex art. 1137 c.c. della delibera assunta il 4 giugno 2003 dall’assemblea del Condominio.

Il giudice di I grado dichiarava tuttavia la cessazione della materia del contendere vista l’intervenuta sostituzione della delibera impugnata con altra successiva del 9 gennaio 2004, con la quale il condominio aveva deciso di proporre a detto condomino la stipula di un regolare contratto di locazione avente ad oggetto la stanza, di durata annuale e rinnovabile automaticamente, per un canone mensile di euro 250,00, con l’invito all’amministratore del condominio a dare incarico al proprio legale di adottare tutte le opportune iniziative giudiziarie nel caso in cui la proposta non fosse accettata [1].

Il condomino proponeva dunque appello che veniva respinto[2] e, successivamente, ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello.

La decisione della Corte

Secondo la Cassazione, la conclusione adottata dal giudice di secondo grado appare conforme al generale principio dell’applicabilità dell’art. 2377 ultimo comma c.c. alle delibere dell’assemblea condominiale (cfr. Cass. sentenza n. 8622/1998).

Infatti, con la seconda delibera era stata ipotizzata – in termini che la Corte distrettuale ha escluso essere nulli – una proposta contrattuale di locazione e, solo nel caso di rifiuto da parte del condomino, l’avvio di una richiesta giudiziale di rilascio della stanza in questione.

Considerando che “si ha sostituzione nel caso in cui la nuova delibera regoli il medesimo oggetto, come è avvenuto nel caso di specie, in termini incompatibili con quelli ipotizzati in precedenza”, la decisione impugnata è del tutto corretta.

Accertato il fatto che la delibera adottata in sostituzione di quella impugnata sia conforme alla legge ed allo statuto e avendo dato atto le parti dell’intervenuto mutamento, con formulazione di conclusioni conformi, il Giudice poteva quindi legittimamente dichiarare la cessazione della materia del contendere.

La sentenza appare corretta anche sotto il profilo della domanda di usucapione, incidentalmente formulata dal ricorrente, respinta sulla scorta della qualità di detentore dallo stesso affermata in relazione ai canoni di locazione che il condomino ha riconosciuto di avere versato (missiva del 6/2003) escludendo, peraltro, anche con riferimento all’invocata disponibilità dell’immobile nel periodo precedente al 1978 la possibilità di ravvisare un intervallo temporale utile ai fini dell’usucapione.

La Corte d’appello, infine, non sarebbe incorsa in contraddizione neppure rispetto all’accertamento del rapporto di locazione, essendosi limitata a rilevare la mancanza di interesse alla pronuncia giudiziale poiché il rapporto di locazione era ipotizzato dallo stesso condominio e non risultava essere stato deliberato alcun rilascio del bene.

Alla luce di quanto rilevato, la Corte di Cassazione rigettava quindi il ricorso con condanna del ricorrente alle spese a favore dei resistenti.


[1] Tribunale di Venezia Sent. n. 2025/2006

[2] Corte d’appello di Venezia, sent. n. 2253 depositata il 2/10/2013

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