Liquidazione del danno parentale: tabelle “a forbice” e “a punti”

La Terza Sezione Civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 14285/2025, del 29 maggio (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), affronta un tema particolarmente rilevante nella prassi del contenzioso in ambito sanitario: la liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale. Al centro della decisione si colloca la questione del criterio di liquidazione, tra sistemi tabellari alternativi, le cosiddette tabelle “a forbice” e “a punti”, e la loro influenza sull’entità del risarcimento. La Corte si sofferma anche sulla disciplina degli interessi compensativi, specificando limiti applicativi e oneri probatori.

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Il risarcimento del danno nell'infortunistica stradale

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Massimo Quezel
Consulente in infortunistica dal 1997, fondatore e presidente del primo franchising in Italia di studi di consulenza dedicati alla tutela dei diritti dei danneggiati. Ha maturato una decennale esperienza come liquidatore assicurativo per una compagnia estera che gli ha permesso di acquisire un’importante esperienza nel settore. È autore dei libri inchiesta Assicurazione a delinquere, Malassicurazione e, con Francesco Carraro, di Salute S.P.A. – La Sanità svenduta alle Assicurazioni. Dal 2003 dirige il trimestrale BluNews, dedicato al settore della tutela dei diritti e del risarcimento del danno (www.massimoquezel.it).
Francesco Carraro
Avvocato, vicepresidente dell’associazione forense “La Meridiana - Giuristi & Responsabilità”, composta da avvocati esperti nel campo della responsabilità civile e del risarcimento. Formatore in ambito giuridico e sulle tecniche di comunicazione, è autore dei seguenti saggi: Gestire il proprio tempo, Convincere per vincere e I nove semi del cambiamento. È coautore, con Massimo Quezel, di Salute S.P.A. – La Sanità svenduta alle Assicurazioni (www.avvocatocarraro.it).

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Analisi del caso

La vicenda origina da un’azione promossa dalla moglie di un uomo deceduto per sepsi durante un ricovero ospedaliero. L’attrice chiedeva il risarcimento dei danni derivanti dalla morte del coniuge. Il Tribunale di Verona, sulla base della consulenza medico-legale, aveva escluso il nesso causale tra cure ricevute e decesso, rigettando la domanda. In appello, la Corte veneziana ha ribaltato la pronuncia, riconoscendo il danno parentale e liquidandolo in 170.000 euro, con interessi legali.

La ricorrente ha proposto ricorso in Cassazione, articolandolo in due motivi. Il primo, relativo al criterio tabellare utilizzato per la liquidazione del danno parentale. Il secondo, concernente la misura degli interessi liquidati.

Il primo motivo: la liquidazione del danno non patrimoniale

Il nodo interpretativo

Il primo motivo di ricorso contestava alla Corte d’Appello di aver applicato le Tabelle del Tribunale di Milano senza indicare l’anno di riferimento, nonostante nel 2022 fosse stata diffusa una nuova versione delle stesse. La ricorrente invocava l’applicazione di tabelle “a punti” (Milano o Roma), che avrebbero potuto determinare un importo risarcitorio più elevato rispetto a quello liquidato con criteri “a forbice”.

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La posizione della Corte

La Cassazione accoglie la censura, ribadendo un principio ormai consolidato: in tema di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, il danneggiato può legittimamente invocare, anche in sede di appello, l’applicazione delle tabelle “a punti” sopravvenute, a condizione che alleghi una specifica differenza tra i valori indicati nei due sistemi e che tale differenza comporti un risultato economicamente più favorevole. La Corte evidenzia anche l’omessa indicazione, da parte del giudice d’appello, dell’anno di riferimento delle tabelle milanesi utilizzate, profilo che rafforza la fondatezza della doglianza.

Il secondo motivo: gli interessi compensativi

L’invocazione del D.Lgs. 231/2002

Con il secondo motivo, la ricorrente lamentava che la Corte d’Appello avesse liquidato interessi legali semplici, senza motivare in merito alla richiesta, già avanzata in primo grado, di applicare il saggio previsto per i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, ai sensi del D.Lgs. 231/2002.

Il rigetto della censura

La Suprema Corte respinge il motivo, ribadendo che l’obbligazione risarcitoria da fatto illecito non è un debito di valuta, bensì un debito di valore. Ne consegue che gli interessi compensativi hanno funzione reintegrativa e la loro determinazione non segue criteri automatici. Spetta al danneggiato provare, anche in via presuntiva, il pregiudizio derivante dal ritardato pagamento. La scelta del tasso applicabile, pertanto, rientra nella discrezionalità del giudice di merito ed è sindacabile solo nei limiti di una violazione degli artt. 1223 e 1226 c.c., non dell’art. 1284.

Conclusioni

L’ordinanza si inserisce nel solco di una giurisprudenza attenta a garantire uniformità e prevedibilità nella liquidazione del danno non patrimoniale, ma senza sacrificare il principio di effettiva riparazione. Il richiamo alla distinzione tra tabelle “a punti” e “a forbice” non è formale: riguarda la sostanza stessa della tutela del danno parentale. La Corte richiama i giudici di merito a una puntuale valutazione del criterio prescelto, con esplicito riferimento all’anno tabellare applicato.

La decisione sul secondo motivo riafferma un principio di equilibrio tra tutela e onere probatorio: l’applicazione di tassi più elevati non può prescindere da una prova, seppur presuntiva, del danno da ritardo.

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