Parto anonimo e diritto a conoscere le proprie origini: il punto delle Sezioni Unite

Con la sentenza n. 1946 del 25 gennaio 2017, le Sezioni Unite, pronunciandosi ex art. 363, comma 1, c.p.c., hanno chiarito, in tema di parto anonimo, se il giudice possa interpellare la madre che ha richiesto l’anonimato alla nascita in caso di richiesta del figlio a conoscere le proprie origini, senza che il legislatore abbia previsto un procedimento ad hoc, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013.

Parto anonimo e Corte Costituzionale: il contrasto

La citata sentenza della Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, co. 7, L. 184/1983 (come sostituito dal d.lgs. 196/2003).

Non era infatti previsto un procedimento stabilito dalla legge che permettesse al giudice di interpellare, su eventuale richiesta del figlio, con la massima riservatezza la madre che avesse chiesto di non voler essere nominata.

Sul punto si sono costituiti due diversi orientamenti:

  • per alcuni, con il richiamo al “procedimento stabilito dalla legge”, la Corte Costituzionale avrebbe istituito un’esplicita riserva di legge per non vanificare la garanzia di segretezza riconosciuta alla donna in un parto anonimo. In assenza di intervento del legislatore, l’interpello della madre non può essere operato direttamente dal giudice.
  • altro orientamento sostiene invece che, in attesa dell’intervento legislativo, il principio della Corte possa essere tradotto dal giudice comune in regole sussidiariamente individuate dal sistema, anche se a titolo precario.

Il rapporto tra il diritto alla riservatezza della madre e il diritto di conoscere le proprie origini del figlio

Il parto anonimo apre un dibattito, più volte posto al vaglio della Corte Costituzionale, sul rapporto tra i diritti delle parti interessate.

Da una parte v’è infatti il diritto potestativo del figlio ad accedere alle informazioni sull’identità e le origini dei propri genitori biologici.

Dall’altra invece il diritto all’anonimato e alla riservatezza della donna partoriente, che pone un limite invalicabile al rispettivo diritto del figlio: in presenza della dichiarazione della madre al momento della nascita di non voler essere nominata (ai sensi dell’art. 30, co. 1, D.p.r. 396/2000), l’accesso alle informazioni non può mai essere consentito.

In tale contesto, è intervenuta la pronuncia della Corte Costituzionale, sollecitata dalla Corte Europea, che aveva rilevato come in Italia non fosse previsto un procedimento per richiedere alla madre, su impulso del figlio, se dinanzi a quella richiesta intendesse derogare all’anonimato invocato alla nascita o di mantenerlo.

La decisione delle Sezioni Unite

Il giudice non può più negare al figlio il diritto di conoscere le proprie origini. In primo luogo, la Corte di legittimità ha sottolineato che, in virtù della pronuncia della Corte Costituzionale, la norma che escludeva qualsiasi possibilità per il figlio nato da parto anonimo di attivare dinanzi al giudice un procedimento per la eventuale revoca della dichiarazione di anonimato resa dalla madre, ha cessato di avere efficacia.

Il giudice non può quindi negare tout court al figlio l’accesso alle informazioni sulle sue origini per la mera dichiarazione di anonimato della madre.

Così facendo il diritto all’anonimato si trasformerebbe peraltro in un vincolo assoluto ed indisponibile persino dalla donna stessa, con un sacrificio totale del diritto del figlio a conoscere le proprie origini. Da qui, la conseguente e corretta censura costituzionale.

Ne consegue che, in assenza dell’intervento del legislatore per l’introduzione di un procedimento ad hoc, gli organi giurisdizionali non possono essere esonerati all’applicazione diretta del principio (pur senza regole di dettaglio self executing) introdotto dalla Corte Costituzionale.

E neppure sussisterebbe un divieto di reperimento dal sistema delle regole più idonee per la decisione dei casi loro sottoposti.

Secondo le Sezioni Unite, la riserva di legge espressamente sancita dalla Corte Costituzionale si riferisce infatti al livello delle fonti del diritto: pertanto, essa non estromette il giudice comune nel ruolo di organo chiamato ad individuare e dedurre la regola del caso singolo, senza produrre un quid iuri sulla base di una sua libera scelta.

Il procedimento utilizzabile per garantire la riservatezza della donna in un parto anonimo

Le Sezioni Unite hanno poi individuato il procedimento utilizzabile per la revoca della dichiarazione di anonimato, in attesa dell’intervento del legislatore.

Si tratterebbe del procedimento di volontaria giurisdizione, previsto dall’art. 28, co. 5-6, L. 184/83: un procedimento in camera di consiglio dinanzi al Tribunale dei minori che ben rappresenta “il contenitore neutro di un’interrogazione riservata, esperibile una sola volta“.

Secondo la Suprema Corte, il procedimento dovrà avvenire con tali modalità:

  • il fascicolo dovrà essere secretato sino alla conclusione del procedimento;
  • la polizia giudiziaria sarà incaricata di reperire informazioni della madre presso l’ospedale;
  • se la madre è in vita, il servizio sociale sarà incaricato di recapitare a mani proprie dell’interessata una lettera di convocazione per comunicazioni orali;
  • in tale operazione, se la madre chiede il motivo della convocazione, l’operatore del servizio sociale dovrà rispondere “non ne sono a conoscenza”;
  • solo nel colloquio con il giudice minorile delegato, l’interessata verrà messa a conoscenza dal giudice della volontà del figlio di conoscere le proprie origini;
  • se la donna non dà il consenso al suo disvelamento, il giudice ne prende atto senza formazione di alcun verbale e senza comunicare il nome del richiedente;
  • solo se la donna dà il consenso, il giudice redige il verbale e, in seguito alla sottoscrizione, rivela il nome del richiedente.

Parto anonimo e morte della madre biologica

Infine, le Sezioni Unite hanno ribadito che, qualora risulti accertata la morte della genitrice biologica, sussiste certamente il diritto del figlio a conoscere le proprie origini, pur se la donna aveva dichiarato la sua volontà di restare nell’anonimato.

Con la morte si verifica infatti un affievolimento, se non la scomparsa, delle ragioni di protezione che l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre.

Il principio di diritto delle Sezioni Unite

Alla luce di quanto rilevato, le Sezioni Unite hanno dunque affermato il seguente principio di diritto:

In tema di parto anonimo, per effetto della sentenza delle Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorchè il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte stessa, idonee ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorchè la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità.

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