La sentenza in commento affronta la controversa questione dell’esperibilità dell’azione revocatoria, sia essa ordinaria o fallimentare, contro il soggetto già fallito. Per conseguenza, si tratta, inoltre, di stabilire se la sentenza che accoglie la domanda revocatoria abbia, o meno, natura costitutiva.
Il fatto
In data 27 aprile 2004, il Giudice di primo grado accoglieva l’azione revocatoria ai sensi dell’art. 66 l. fall., proposta da una curatela fallimentare nei confronti di un’altra procedura fallimentare.
Successivamente la Corte d’Appello di Catania riformava la decisione di primo grado, accogliendo l’impugnazione della società rimasta soccombente, ritenendo l’azione revocatoria inammissibile, ai sensi dell’art 51 l.fall, qualificando l’azione revocatoria ordinaria come azione esecutiva individuale
Il caso è arrivato alla Prima Sezione della Corte di Cassazione dove la società soccombente in secondo grado ha dedotto, la violazione ed errata applicazione dell’art. 51 l.fall., in quanto non avrebbe potuto trovare applicazione nei confronti di un’azione revocatoria ordinaria, avendo quest’ultima natura meramente dichiarativa, ed essendo destinata a concludersi con l’accertamento dell’inefficacia dell’atto di cessione impugnato e l’automatico rientro dei beni nella massa attiva dell’attrice, in caso di accoglimento della domanda. La Suprema Corte, evidenziando un contrasto giurisprudenziale, con ordinanza interlocutoria n. 1894 del 25 gennaio 2018, ha rimesso gli atti di causa al Primo Presidente per sottoporre alle Sezioni unite della Corte medesima la risoluzione della questione.
Il contrasto giurisprudenziale
Nell’ordinanza di rimessione la Prima Sezione della Corte di Cassazione evidenziava un orientamento più recente ed uno più risalente in ordine alla proponibilità o meno dell’azione revocatoria ordinaria da parte di una curatela fallimentare nei confronti di un altro fallimento.
Il primo e più recente orientamento giurisprudenziale, annovera l’azione revocatoria ordinaria tra le azioni esecutive individuali, ai sensi dell’art. 51 l.fall., perciò detta azione non risulterebbe né proponibile né proseguibile una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento del terzo, sia per contrarietà al noto principio “di cristallizzazione della massa passiva alla data di apertura del concorso” e sia per carattere costitutivo dell’azione ( in tal senso Cassazione 12 maggio 2011 n. 10486 e Cassazione 8 marzo 2012 n. 3672).
Il secondo e più risalente orientamento, al contrario, ritiene che l’azione revocatoria fallimentare od ordinaria può essere proseguita, se proposta anteriormente alla dichiarazione di fallimento della parte convenuta in revocatoria (in tal senso, recentemente, anche Cassazione Sezioni Unite 17 dicembre 2008 n. 29421).
La decisione e osservazioni
La pronuncia in commento è di grande interesse in quanto le Sezioni Unite affrontano e trattano una serie di principi generali in materia di revocatoria e si occupano, in particolare, della revocatoria aggravata infragruppo.
Nel nostro ordinamento giuridico le azioni revocatorie, che sono quelle azioni dirette alla dichiarazione di inefficacia di un atto di disposizione idoneo a ledere la garanzia patrimoniale, sono disciplinate sia dal codice civile che dalla legge fallimentare, che ne prevedono le seguenti tipologie:
- L’azione revocatoria “ordinaria”ex art. 2901 c.c., con finalità di tipo conservativo, esercitata dal creditore per domandare all’organo giurisdizionale la dichiarazione di inefficacia di atti di disposizione del patrimonio posti in essere dal debitore, con il quale quest’ultimo ha depauperato il proprio patrimonio, recando pregiudizio alla generale garanzia patrimoniale prevista dall’art. 2740 c.c.. Il creditore può esperire detta azione provando l’esistenza dei presupposti ad essa sottesi, ovvero il cd eventus damni, presupposto oggettivo, consistente in un pregiudizio che il compimento dell’atto “revocando” avrebbe causato in capo ai creditori, ed il cd scientia fraudis, presupposto soggettivo, da ricondurre alla sfera comportamentale del debitore evente la consapevolezza da parte di arrecare pregiudizio ai creditori. Nel caso in cui l’atto di disposizione posto in essere dal debitore sia un atto a titolo oneroso, tale consapevolezza deve essere propria anche dal terzo beneficiario dell’atto dispositivo (c.d. partecipatio fraudis).
- L’azione “ordinaria” ex art. 66 L.F. che rimanda espressamente alle norme codicistiche in tema di revocatoria, ma in questo caso la domanda di inefficacia dell’atto disposistivo non è posta in essere dal singolo creditore, ma il soggetto legittimato ad agire è il Curatore Fallimentare ovvero il commissario liquidatore, quali soggetti che assumono la capacità processuale in occasione di una procedura concorsuale. Allo stesso e gravoso onere probatorio dell’azione ordinaria, è tenuto anche il Curatore Fallimentare nell’esperire l’azione prevista dall’art. 66 L.F. che rimanda alle regole codicistiche dell’azione revocatoria.
- L’azione revocatoria “fallimentare”, prevista dall’art. 67 L.F., è caratterizzata da una finalità anti-indennitaria o redistributiva, in quanto foriera di benefici per la massa dei creditori concorsuali. Dalle precedenti si differenzia l’azione revocatoria fallimentare prevista dall’art. 67 L.F. che ha come presupposto soggettivo la dimostrazione da parte del Curatore Fallimentare della consapevolezza che l’atto è stato compiuto nella conoscenza dello stato di insolvenza del debitore (cd. scientia decoctionis). Elemento oggetto di particolare interesse è il cosiddetto “periodo sospetto” riferibile all’intervallo di tempo in cui devono essere stati compiuti gli atti del fallito che si vogliono revocare. Tale spazio temporale sarebbe più lungo, fino a 2 anni per gli atti a titolo gratuito, 1 anno per gli atti cd. “anormali” e 6 mesi per gli atti “normali”.
Premessi questi brevi cenni sull’azione revocatoria nella sentenza in commento le Sezioni Unite non hanno ritenuto sussistente il contrasto suesposto, poiché le fattispecie oggetto delle pronunce, solo in apparenza discordanti, in realtà sono differenti, ma in ogni caso hanno ritenuto il tema della proponibilità della revocatoria contro un convenuto fallito come di “massima importanza”, anche con riferimento ai casi di cui all’art. 91 D.Lgs 270/1999 che disciplina la revocatoria così detta “aggravata infragruppo”.
Innanzitutto la Suprema Corte ha esaminato la questione concernente la natura costitutiva o dichiarativa della sentenza conclusiva dell’azione revocatoria fallimentare od ordinaria, affermando che quest’ultima “ha natura costitutiva, in quanto modifica ex post una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale (art. 2740 cc) e alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell’atto”. Talchè, puntualizzando la natura costitutiva della sentenza che accoglie la domanda di inefficacia e considerando l’applicazione del principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso, “il patrimonio del fallito è infatti insensibile alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento e, dunque, poiché l’effetto giuridico favorevole all’attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento, tale effetto non può essere invocato contro la massa dei creditori ove l’azione sia stata esperita dopo l’apertura della procedura”. Pertanto, le Sezioni Unite concludono non ritenendo ammissibile l’azione revocatoria nei confronti di un altro fallimento.
Le ragioni in diritto della sentenza in commento, paiono essere del tutto condivisibili e stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso ne deriva che non possono essere avviate azioni revocatorie nei confronti delle procedure fallimentari, ma solo proseguite ove intraprese prima della dichiarazione di fallimento del convenuto. Se invece l’azione revocatoria è stata promossa dopo l’apertura della procedura concorsuale, l’effetto giuridico favorevole derivante dalla sentenza di accoglimento è inopponibile alla massa dei creditori.
Con riferimento poi alla revocatoria infragruppo le Sezioni Unite della Corte osservano come tale procedura “speciale” sia ancorata a presupposti specifici “che non consentono di invocare ragioni di coerenza normativa e sistematica in grado di giustificare l’applicazione della regola dalla stessa posta anche alla procedura fallimentare, oltre il caso dalla stessa disciplinato”.
In conclusione la Corte di Cassazione ha dunque respinto il ricorso.