L’uso esclusivo su una porzione di cortile condominiale (Sezioni Unite)

in Giuricivile, 2021, 2 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., SS.UU., sent. 17.12.2020, n. 28972

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 17 dicembre 2020, n. 28972 hanno ritenuto di affermare che il diritto di uso esclusivo di un bene condominiale non è un diritto reale, sottolineando, così, il principio codicistico del numero chiuso dei diritti reali e della loro tipicità.

La normativa: il diritto di uso

il diritto d’uso consente al proprietario di un determinato bene di concedere ad un terzo (cd. usuario) il diritto di servirsi e utilizzare il bene. Tale diritto è annoverato fra i diritti reali di godimento unitamente all’usufrutto e all’abitazione, ed è contraddistinto dalla particolare connessione che l’usuario ha con il bene.

Il diritto di uso è temporalmente limitato, tale limite deve essere indicato nell’atto negoziale di riferimento e, in mancanza, si ritiene che, non possa eccedere quello della vita del concedente.

Quanto alla sua costituzione, il metodo di trasferimento più usuale è da rinvenirsi nel contratto, atto negoziale idoneo a produrre effetti giuridici solo, in quanto, sia espressamente previsto, riconosciuto o autorizzato dalla legge e nei limiti dalla stessa imposti. Tale disposizione pattizia può essere a titolo oneroso o gratuito e non si esclude la possibilità della sua costituzione mortis causa, ossia, per disposizione testamentaria.

Per quanto concerne i diritti e gli obblighi delle parti, dovrà farsi riferimento alle norme che regolano l’istituto dell’usufrutto, e pertanto, l’usuario, nel realizzare il suo interesse al bene, potrà apportare migliorie e addizioni (ex art. 985 c.c.), rispettando, sempre e comunque, la sua destinazione economica e al momento della cessazione, l’usuario ha l’obbligo di restituire il bene nelle medesime condizioni in cui ne è entrato in possesso.

Il Codice civile evidenzia, senza dubbi interpretativi di sorta, che tale diritto di uso non si può cedere (art. 1024 c.c.), non si può dare in locazione (art. 1024 c.c.), non può superare la vita dell’usuario (art. 1026 e 979 c.c.).

La sentenza della Corte di Cassazione 16 ottobre 2017 n. 24301

La pronuncia della Corte intervenuta il 16 ottobre 2017 n.24301 non risultò purtroppo dirimente della questione, da tanto dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, e, soprattutto, non pose fine al dibattito, nonostante le numerose pronunce di merito intervenute successivamente ne avessero condiviso l’orientamento, (vedi Cass. 10 ottobre 2018, n. 24958; Cass. 31 maggio 2019, n. 15021; Cass. 4 luglio 2019, n. 18024; Cass. 3 settembre 2019, n. 22059).

Con la sentenza richiamata la Corte di Cassazione offriva una nuova e diversa visione dell’istituto giuridico richiamato, attribuendo alla pattuizione di uso esclusivo delle parti comuni, il carattere perpetuo e trasferibile ai successivi aventi causa del condomino, ipotesi non riconducibile al diritto reale d’uso previsto dal Codice civile all’art 1021 c.c.

Infatti, la Corte riportandosi a quanto già statuito in una precedente pronuncia aveva concluso che l’uso esclusivo su parti comuni dell’edificio, riconosciuto al momento della costituzione del condominio in favore di unità immobiliari in proprietà esclusiva, poteva avvenire secondo modalità non paritarie determinate dal titolo, e non sull’appartenenza delle dette parti comuni alla collettività. In altre parole, il diritto di uso anziché essere connesso al soggetto in quanto tale, si andava a collegare alla fattispecie della proprietà individuale, e pertanto, diveniva tendenzialmente perpetuo e, di guisa, trasferibile ai successivi aventi causa dell’unità immobiliare a cui accedeva.

Le premesse motivazionali di particolare rilievo che conducono al principio delle Sezioni Unite

Il Supremo Collegio, nelle premesse che conducono al principio ermeneutico di riferimento, evidenzia:

  • la possibilità legittima che della cosa comune ne potesse essere fatto un uso sostanzialmente differente, per usare l’espressione dei Giudici di Piazza Cavour un “uso più intenso da parte di un condomino rispetto agli altri”, si pensi alle scale e agli ascensori che devono essere mantenuti e sostituiti dai proprietari delle unità immobiliari a cui servono, ex art. 1124 c.c., regolando il riparto delle spese in proporzione dell’uso;
  • e rappresenta che, per quanto sia possibile, derogare l’art. 1102 c.c. i cui limiti “possono essere resi più severi dal regolamento condominiale”, in alcun modo, può essere consentito un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni. Principio quest’ultimo, già ribadito in un precedente assunto giurisprudenziale (Cass. 29 gennaio 2018 n. 2114; Cass. 4 dicembre 2013 n. 27233).

Rebus sic stantibus, la Corte, incaricata della questione, nel provvedimento in questione, rappresenta che con l’uso esclusivo si realizzerebbe una totale compressione del godimento degli altri condomini sulla cosa comune e si verrebbe a creare un diritto atipico di uso esclusivo facendo, così, venir meno il collegamento fra il diritto ed il suo contenuto; e, a sostegno delle sue argomentazioni in tal senso, pone l’accento, su cosa non possa essere riconducibile all’assunto concettuale del “diritto esclusivo”.

Per la Corte, il diritto esclusivo non può essere rappresentato da una servitù, in quanto, ciò si tradurrebbe in un diritto di godimento generale del fondo servente svuotando di fatto il concetto connesso al diritto di proprietà.

Né parimenti, il diritto esclusivo potrebbe essere riportato ai principi, a presidio delle obbligazioni propter rem o degli oneri reali, essendo questi tipici e, quindi, applicabili nei soli casi previsti dalla legge.

Del resto, ammettere, anche solo teoricamente, l’assunto in questione, condurrebbe a soluzioni aberranti, infatti, “si finirebbe per vincolare dei terzi estranei ad un regolamento negoziale stabilito da altri, in nome dell’autonomia contrattuale”, ciò in evidente conflitto con i principi che negano al contratto di produrre effetti nei confronti di terzi se non nei casi stabiliti dalla legge.

Del medesimo tenore è il riferimento ai principi costituzionali, che, in tema di proprietà, pongono una riserva di legge sui modi di acquisto e di godimento della proprietà e sui limiti, posti allo scopo, di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

Non di minor conto, l’assunto, a mente del quale, un diritto reale atipico non è trascrivibile e, riferisce la Corte, laddove ciò, per pura ipotesi, fosse ammissibile,  “non ha cittadinanza nel diritto vigente una regola generale che faccia discendere dalla trascrizione l’efficacia erga omnes di un diritto che non abbia già in sé il carattere della realità”.

La decisione delle Sezioni Unite del 18 settembre 2020, n. 19596: Il principio di diritto

Le sezioni Unite, pronunciando, ex art 363 c.p.c. su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato il seguente principio di diritto:

“La pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’art. 1102 c.c. è preclusa dal principio, insito nel nostro sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi

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