Con l’ordinanza n. 8845 del 5 aprile 2017, la terza Sezione civile ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione, ritenuta di massima di particolare importanza, riguardante la nozione di specificità dei motivi di appello, oggi prevista dal novellato art. 342 c.p.c. (e dall’omologo art. 434 c.p.c.) a pena di inammissibilità.
In particolare, le Sezioni Unite dovranno chiarire se l’art. 342 c.p.c. intende imporre all’appellante:
- un onere di specificazione di un diverso contenuto della sentenza di primo grado, se non perfino un progetto alternativo di sentenza o di motivazione;
- o piuttosto soltanto una compiuta contestazione di ben identificati capi della sentenza impugnata e dei passaggi argomentativi, in fatto ed in diritto, che la sorreggono, con la prospettazione chiara ed univoca della diversa decisione che ne conseguirebbe sulla base delle bene evidenziate ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice.
La normativa in esame: l’art 342 cpc
A seguito della riforma del giudizio di appello (introdotta con l’art. 53 del DL 83/2012, convertito con modificazioni nella legge 134/2012), è richiesta a pena di inammissibilità la cd. specificità dei motivi di appello.
In particolare l’art. 342 c.p.c. prevede testualmente che “[…] la motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità:
- l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;
- l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”.
La predetta norma è applicabile al rito ordinario a tutti gli appelli proposti successivamente al giorno 11.9.2012.
Con riguardo al rito del lavoro, si applica invece l’art 434 c.p.c. che prevede, sempre a pena di inammissibilità dell’appello, i medesimi requisiti già menzionati.
Il contrasto giurisprudenziale sull’interpretazione dell’art 342 cpc
L’interpretazione della norma in esame fornita dalla giurisprudenza di legittimità non è stata finora costante.
Da una parte v’è infatti chi ha escluso che l’art. 342 c.p.c. richieda che le deduzioni dell’appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellato con diverso contenuto.
Secondo tale tesi, la norma prevederebbe in definitiva soltanto l’individuazione in modo chiaro ed esauriente:
- del cd. quantum appellatum, circoscrivendo il giudizio di gravame all’esame dei capi specifici della sentenza impugnata;
- nonché dei passaggi argomentativi che la sorreggono, formulando le ragioni del dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice (v. Cass. 5/2/2015, n. 2143).
Tuttavia la Corte, in altre pronunce, ha interpretato la norma in esame in modo decisamente più rigoroso, richiedendo all’appellante un grado di specificità ben più accentuato.
In particolare, è stato rilevato che, per non essere qualificato inammissibile, l’atto di gravame non debba limitarsi ad individuare i passaggi della sentenza ritenuti errati, ma dovrebbe altresì offrire una ragionata e diversa soluzione della controversia rispetto a quella adottata dal giudice (Cass. 7/9/2016, n. 17712; Cass. 27/9/2016, n. 18392).
In altre parole, secondo tale orientamento, alle argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado devono essere contrapposte quelle dell’appellante, in modo da incrinare il fondamento logico-giuridico della pronuncia.
Non basterebbe cioè una parte “volitiva” dell’appello, ma sarebbe indispensabile anche una componente definita “argomentativa”, diretta a confutare e contrastare le ragione addotte dal primo giudice.
E c’è addirittura chi, contrariamente ai sostenitori di un’interpretazione riduttiva dell’art. 342 c.p.c., ha sostenuto che l’appellante sia onerato a fornire al giudice del gravame un vero e proprio progetto alternativo di sentenza, con tanto di motivazione reputata corretta.
La rimessione alle Sezioni Unite
Alla luce del contrasto giurisprudenziale descritto e stante il ruolo cruciale dell’appello per l’effettività della tutela dei diritti, in particolare quanto al giudizio di fatto, la Corte ha dunque ritenuto di rimettere la questione alle Sezioni Unite.
Rilevando, peraltro, che sono state proprio le Sezioni Unite con un precedente chiarimento sul riparto dell’onere della prova in appello, a riaffermare la natura del gravame come revisio prioris instantiae, finendo per esigere per l’atto introduttivo requisiti di forma non previsti dalla norma e tipici, semmai, dei mezzi d’impugnazione a critica vincolata come il ricorso per cassazione (Cass. SS. UU. 23/12/2005, n. 28498).