Cumulo soggettivo passivo alternativo: le Sezioni Unite

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a dirimere la questione giuridica legata alla gestione del cumulo soggettivo passivo alternativo, ponendo particolare attenzione al rapporto tra appello incidentale e riproposizione delle domande ex art. 346 c.p.c.

Premessa

L’occasione per un nuovo intervento delle Sezioni Unite è stata fornita dall’ordinanza interlocutoria n. 3358/2024 della Sezione Lavoro, che ha rimesso alle Sezioni Unite Civili della Corte la soluzione del contrasto interpretativo. La questione centrale è se l’attore, vittorioso in primo grado nei confronti di un convenuto e soccombente nei confronti degli altri, debba necessariamente proporre un appello incidentale per mantenere in vita le domande non accolte o se possa limitarsi a riproporle in appello senza proporre specifiche impugnazioni.

Corte di Cassazione-Sez. Un. Civ.-sent. n. 31136 del 04-12-2024

Fatti di causa

La controversia nasce dall’azione promossa da un lavoratore contro più enti pubblici, al fine di ottenere il pagamento di differenze retributive relative a mansioni superiori svolte durante il periodo di comando presso uno di essi. In primo grado, il Tribunale aveva accolto la domanda nei confronti dell’ente utilizzatore, rigettando implicitamente le pretese avanzate verso gli altri convenuti. La Corte d’appello, in sede di gravame, ha riformato la decisione, escludendo la responsabilità dell’ente condannato e rilevando che l’attore non aveva né proposto un appello incidentale né riproposto le sue domande verso gli altri enti, determinando il passaggio in giudicato del rigetto implicito. L’attore ha proposto ricorso per cassazione, contestando l’interpretazione fornita dalla Corte d’appello e invocando un’applicazione più flessibile delle regole processuali.

Motivi di ricorso

Il ricorrente ha contestato la decisione della Corte d’appello, sostenendo che l’interpretazione secondo cui fosse necessario proporre un appello incidentale per evitare il passaggio in giudicato delle domande rigettate implicitamente fosse errata e in contrasto con la normativa processuale. Ha argomentato che le domande non accolte non erano state effettivamente rigettate, ma semplicemente dichiarate assorbite in virtù dell’accoglimento della pretesa nei confronti di uno degli enti convenuti. Di conseguenza, secondo il ricorrente, sarebbe stata sufficiente la loro riproposizione in appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c., senza la necessità di impugnare formalmente la decisione di primo grado. Il lavoratore ha inoltre invocato il principio di proporzionalità della retribuzione sancito dall’art. 36 Cost., ritenendo che la sua applicazione avrebbe giustificato il riconoscimento delle differenze retributive richieste, indipendentemente dalle questioni procedurali sollevate nel giudizio.

Gli orientamenti del 2002 e del 2016

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si erano già occupate in passato del tema del cumulo soggettivo passivo alternativo. Nel 2002, con la sentenza n. 11202, le Sezioni Unite avevano adottato una posizione rigida, sostenendo che l’attore, vittorioso in primo grado nei confronti di uno dei convenuti ma soccombente rispetto agli altri, fosse obbligato a proporre un appello incidentale per mantenere vive le proprie pretese contro i convenuti esclusi dalla condanna. L’assunto si basava sull’idea che l’accoglimento della domanda contro un convenuto comportasse implicitamente il rigetto delle domande verso gli altri. Di conseguenza, il mancato esercizio dell’appello incidentale avrebbe determinato il passaggio in giudicato delle statuizioni di rigetto. La sentenza del 2002 sottolineava che l’appello principale del convenuto soccombente non avrebbe potuto, da solo, devolvere al giudice d’appello anche le questioni relative alle domande rigettate. Per queste ultime, era necessario un intervento specifico dell’attore attraverso un’apposita impugnazione, eventualmente condizionata all’esito dell’appello principale. Dunque, questa impostazione garantiva la stabilità del giudicato e circoscriveva l’oggetto del giudizio di secondo grado alle sole questioni espressamente devolute dalle parti.

Nel 2016, con la sentenza n. 7700, le Sezioni Unite hanno adottato un approccio più flessibile, introducendo una distinzione fondamentale tra rigetto implicito e assorbimento. Secondo questa nuova impostazione, il rigetto implicito si verifica quando il giudice di primo grado, accogliendo una domanda, esclude logicamente e necessariamente la fondatezza delle altre. In tali casi, l’attore deve proporre un appello incidentale per contestare tale statuizione, pena il passaggio in giudicato delle domande non accolte.

Diversamente, l’assorbimento si verifica quando il giudice non esamina una domanda ritenendola superflua rispetto all’accoglimento di un’altra. In questo caso, non essendoci stata alcuna decisione sul merito, l’attore non ha bisogno di proporre un appello incidentale, ma può limitarsi a riproporre la domanda in appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c. Questa riproposizione permette di evitare il rischio che la domanda venga considerata rinunciata, senza che ciò imponga un aggravio processuale. La distinzione elaborata nella sentenza n. 7700/2016 non solo ha introdotto un maggiore grado di flessibilità nel sistema, ma ha anche ridotto gli oneri processuali a carico dell’attore nei casi in cui le domande non siano state effettivamente valutate nel merito.

Il ruolo dell’ordinanza interlocutoria

L’ordinanza interlocutoria n. 3358/2024 della Sezione Lavoro ha riaperto il dibattito giurisprudenziale sulle regole applicabili al cumulo soggettivo passivo alternativo, mettendo in luce il persistente contrasto tra le posizioni espresse nelle sentenze del 2002 e del 2016. La questione principale riguarda la qualificazione della decisione del giudice di primo grado: in quali casi il rigetto delle domande verso i convenuti non condannati deve considerarsi implicito e in quali, invece, si tratta di un assorbimento? L’ordinanza ha evidenziato l’esigenza di un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, finalizzato a stabilire con precisione quando sia necessario proporre un appello incidentale e quando, invece, basti la riproposizione ex art. 346 c.p.c.

Le Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, nella loro pronuncia, hanno accolto la necessità di un bilanciamento tra le diverse esigenze. Hanno confermato l’impianto interpretativo già delineato nella sentenza n. 7700 del 2016, ma con alcune precisazioni. Il punto centrale della decisione riguarda la distinzione tra rigetto implicito e assorbimento. Le Sezioni Unite hanno ribadito che il rigetto implicito si verifica quando il giudice, accogliendo una domanda, esclude necessariamente la fondatezza delle altre. Questa esclusione, anche se non espressamente motivata, costituisce una decisione di merito. Di conseguenza, l’attore che voglia contestare tale rigetto deve necessariamente proporre un appello incidentale, pena il passaggio in giudicato delle statuizioni non impugnate. L’assenza di un’iniziativa processuale specifica da parte dell’attore comporta infatti l’impossibilità di rimettere in discussione tali decisioni in sede di appello. Diversamente, l’assorbimento si verifica quando il giudice non esamina una domanda ritenendola superflua rispetto all’accoglimento di un’altra. In questi casi, non vi è una valutazione di merito, ma una semplice sospensione dell’esame della domanda subordinata. Per evitare che tali domande siano considerate rinunciate, è sufficiente che l’attore le riproponga in appello ex art. 346 c.p.c.

L’effetto devolutivo e l’autonomia delle domande rigettate

Un ulteriore elemento riguarda l’effetto devolutivo dell’appello principale del convenuto soccombente. Le Sezioni Unite hanno chiarito che tale effetto non si estende automaticamente alle domande rigettate nei confronti degli altri convenuti. L’oggetto del giudizio di appello è infatti circoscritto alle questioni sollevate dalle parti, in coerenza con il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Tuttavia, nei casi in cui l’accoglimento dell’appello principale possa incidere indirettamente sulla valutazione delle altre domande, il giudice d’appello può riesaminare queste ultime nell’ambito dell’effetto espansivo interno dell’appello.

Principio di diritto

«Nel caso di domande avvinte da un nesso di cumulo alternativo soggettivo sostanziale per incompatibilità, proposte dall’attore nei confronti di due diversi convenuti, la sentenza di primo grado che condanna colui che sia individuato come effettivo obbligato contiene una statuizione di fondatezza della rispettiva pretesa e una statuizione di rigetto nel merito della pretesa alternativa incompatibile. Il nesso di dipendenza implicato dal cumulo alternativo comporta in sede di impugnazione l’applicazione dell’art. 331 c.p.c. e la riforma del capo della sentenza inerente alla titolarità passiva del rapporto dedotto in lite, conseguente all’accoglimento dell’appello formulato dal convenuto alternativo rimasto soccombente in primo grado, ha effetto anche sul capo dipendente recante l’enunciazione espressa, o anche indiretta, ma comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza della pretesa azionata dall’attore verso l’altro convenuto. Affinché il giudice d’appello, adito in via principale sul punto dal convenuto soccombente, possa altresì accogliere la pretesa azionata verso il litisconsorte alternativo assolto in primo grado e perciò condannare quest’ultimo, l’attore non può limitarsi a riproporre ex art. 346 c.p.c. la rispettiva domanda, esaminata e respinta nella sentenza impugnata, ma deve avanzare appello incidentale condizionato.».

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