Accordi negoziati nel divorzio congiunto: alcuni chiarimenti

La questione della validità degli accordi negoziati dai coniugi in sede di divorzio congiunto è un tema che è stato affrontato dalla I Sez. Civile con sentenza n. 18843 sdel 10/07/2024. I giudici hanno chiarito alcuni aspetti giuridici e pratici degli accordi “a latere” stipulati dai coniugi durante il divorzio congiunto.

Corte di Cassazione- I sez. Civ.- sent. n. 18843 del 10-07-2024

La questione

Nel 2023, la Corte d’Appello di Milano aveva emesso una decisione riguardante la revisione delle condizioni di divorzio tra due coniugi. Il procedimento riguardava la richiesta di modifica ai sensi dell’art. 9 della legge 898/1970, delle disposizioni stabilite nella sentenza di divorzio del 2019.

La sentenza di prime cure aveva imposto un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, un assegno divorzile di €3.500,00 mensili e un rimborso spese annuo di €16.000,00 per il ménage domestico. Inoltre, una scrittura privata tra gli ex coniugi prevedeva un ulteriore contributo mensile di €2.500,00.

Il Tribunale, considerando la nuova indipendenza economica del figlio e la stabile convivenza dell’ex moglie con un altro uomo, aveva deciso di revocare il contributo di mantenimento e il rimborso spese per il ménage domestico, riducendo l’assegno divorzile a €3.000,00 mensili.

Successivamente, anche la Corte d’Appello aveva confermato questa decisione, evidenziando che non c’era stato un deterioramento del reddito dell’ex coniuge e che la convivenza stabile rappresentava un evento rilevante.

I motivi di ricorso

Il ricorrente ha impugnato la decisione della Corte d’Appello, sollevando due principali motivi di doglianza. In primo luogo, ha lamentato la violazione dell’art. 9, co. 1, della l. 898/1970: egli ha argomentato che la Corte d’Appello non avrebbe dovuto escludere dalla sua valutazione la modifica di un obbligo economico assunto tramite una scrittura privata, parallela a quella inclusa nel ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio e nella successiva sentenza di divorzio. Secondo il ricorrente, la Corte avrebbe dovuto riconoscere l’unitarietà dell’obbligazione economica.

Il secondo motivo di ricorso verte sulla presunta violazione degli articoli 115, 116 c.p.c. e 2697 c.c. Il ricorrente ha contestato la decisione della Corte territoriale, che ha rideterminato l’assegno divorzile a suo carico nella misura di € 3.000,00 mensili, oltre ai € 2.500,00 mensili previsti dalla scrittura privata. Egli ha sostenuto che la Corte abbia erroneamente considerato tali importi come la componente compensativa-perequativa dell’assegno divorzile, senza richiedere alla beneficiaria di dimostrare il contributo offerto alla vita familiare, in violazione dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite nel 2021.

Cosa avevano stabilito le Sezioni Unite Civili nel 2021?

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32198/2021, hanno stabilito che la componente compensativa dell’assegno divorzile deve essere considerata, anche se non è necessario dimostrare il diritto a questa componente, poiché già valutata durante la regolamentazione del divorzio. La Corte d’Appello ha confermato che le valutazioni reddituali del primo giudice erano accurate e che gli accordi privati tra le parti non possono essere modificati in sede di revisione delle condizioni economiche del divorzio, trattandosi di contratti espressione dell’autonomia negoziale.

Decisione della I Sezione Civile

La Prima Sezione della Suprema Corte ha accolto entrambi i motivi di ricorso. In merito al primo motivo, ha ribadito che le pattuizioni economiche, anche se formalizzate in scritture private, devono essere soggette alla revisione del giudice qualora emergano nuove circostanze che alterino l’assetto negoziale originario. Questo principio, sancito dall’art. 9 della legge 898/1970 conferma la necessità di adottare un’interpretazione flessibile tale da includere anche le pattuizioni concomitanti non recepite, in via formale, alla sentenza di divorzio.

Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte Suprema ha evidenziato che la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare congiuntamente il contenuto della scrittura privata e delle intese recepite nella sentenza di divorzio, trattandosi di un’unica obbligazione economica continuativa e periodica.

L’interpretazione del giudicato Rebus Sic Stantibus

I giudici della I Sezione hanno osservato che il divorzio congiunto non escluda la possibilità per le parti di sottoporre al giudice il mutamento delle circostanze, ai sensi dell’art. 9 L. 898/1970. Infatti, nel caso di specie, l’accordo sotteso alla domanda è meramente ricognitivo dei presupposti per lo scioglimento del vincolo coniugale e ha valore negoziale per quanto riguarda i figli e i rapporti economici. Infatti, il tribunale può intervenire su tali accordi solo se contrari a norme imperative.

La domanda di revoca o riduzione dell’assegno divorzile, ai sensi dell’art. 9 L. 898/1970, può sopravvenire anche dopo il giudicato, che rientra nella categoria del giudicato rebus sic stantibus, soggetto a continuo adeguamento alle situazioni sopravvenute sicché il giudicato in materia familiare, pur definitivo, consente sempre di rilevare fatti sopravvenuti attraverso un procedimento ad hoc (art. 9 L. 898/1970).

Di recente, le Sezioni Unite (con la sentenza n. 20495/2022) hanno ribadito che, in sede di revisione dell’assegno divorzile, il giudice deve effettuare una valutazione comparativa approfondita delle situazioni economiche di entrambi i coniugi per accertare un mutamento delle condizioni idoneo a modificare l’assetto patrimoniale precedente.

In particolare, il giudice è tenuto a  verificare l’esistenza di elementi fattuali nuovi in grado di modificare l’assetto patrimoniale esistente e applicare i principi giurisprudenziali adottati dalle pronunce delle Sezioni Unite.

Validità degli accordi a latere

Per quanto riguarda la questione della validità degli accordi negoziali conclusi dai coniugi in sede di divorzio congiunto, gli accordi “a latere” includono tutte le pattuizioni stipulate dai coniugi a causa della separazione o del divorzio, non riportate nell’omologa o nella sentenza.

Da tempo, la giurisprudenza ha valorizzato l’autonomia negoziale dei coniugi anche nella fase della crisi, riconoscendo loro la possibilità di concordare le condizioni per la regolamentazione della fase patologica del vincolo coniugale.

Gli accordi precedenti  sono validi se rispondono meglio (o ugualmente) all’interesse tutelato dal controllo giudiziale, mentre quelli successivi sono validi se non contrastano con l’art. 160 c.c. e adeguano i singoli aspetti degli accordi all’esperienza reale del nucleo familiare.

L’accordo tra coniugi che prevede un trasferimento immobiliare nel divorzio congiunto è soggetto alle ordinarie impugnazioni negoziali, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza che lo recepisce. Le clausole degli accordi di separazione consensuale o divorzio congiunto, che attribuiscono a uno o entrambi i coniugi la proprietà di beni mobili o immobili, sono valide: se inseriti nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice, questi accordi diventano atti pubblici ex art. 2699 c.c. e, se comportano trasferimenti di diritti reali immobiliari, costituiscono valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c. dopo l’omologazione o la sentenza di divorzio.ù

Infine, particolare attenzione va riservata alle pattuizioni contenute in un accordo contestuale al divorzio congiunto, se connesse a quest’ultimo per volontà delle parti e non riguardanti diritti indisponibili o in contrasto con norme inderogabili. Ad esempio, un accordo privato contestuale al divorzio congiunto, dove le parti stabilivano che, oltre al contributo al mantenimento di €3.500,00 mensili, il marito avrebbe versato alla moglie una somma integrativa di €2.500,00 mensili: tali accordi devono essere considerati ai fini della revisione dell’assegno divorzile ai sensi dell’art. 9 L. 898/1970, accertando l’esistenza di sopravvenienze significative, come la convivenza della moglie con un’altra persona. Questo patto integrativo, collegato al mantenimento, rientra nell’oggetto del giudizio di divorzio, anche se non soggetto ai criteri dell’art. 5 L. 898/1970.

Conclusioni

Se valido ed efficace, l’accordo deve essere considerato ai fini della revisione ex art. 9 L. 898/1970. Pur non potendo il giudice modificare direttamente l’accordo “a latere”, esso deve rilevare nella quantificazione del nuovo assegno divorzile, considerando l’obbligo complessivo del coniuge verso l’ex coniuge sulla base della sentenza di divorzio e degli obblighi assunti nell’accordo integrativo.

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Autore di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.
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