Abuso del diritto su vendita e acquisto di immobili per vantaggi fiscali

La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza del 25 Luglio 2024 n. 20673, ha stabilito che integra abuso del diritto ex art. 10- bis, L. n. 212/2000, il mandato a vendere un immobile ad uso abitativo ex art. 1719 cc. se, successivamente, il mandante procede all’acquisto di un secondo alloggio abitativo al solo fine di conseguire i benefici fiscali di cui al DPR n. 131/1986, non sussistendo il requisito della non possidenza di altro fabbricato da destinare ad uso abitativo.

Ne discende l’obbligo di corresponsione delle “imposte risparmiate”, degli interessi e di una sanzione pari al 30% delle imposte medesime.

Pertanto, sulla scorta della ratio che sorregge la disciplina antielusiva, per scongiurare l’accusa di abuso del diritto, le operazioni devono possedere sostanza economica e non essere, di contro, meramente finalizzate all’ottenimento di vantaggi fiscali indebiti.

La vicenda

L’Agenzia delle Entrate seguitava a notificare un avviso di liquidazione per imposte di registro, catastali e per imposta di sostitutiva, a seguito della revoca dei “benefici prima casa”, nei confronti della contribuente Alfa la quale aveva stipulato con il fratello contratto di mandato a vendere senza rappresentanza con trasferimento di immobile ex art. 1719 cc.

Nel dettaglio, ai fini della registrazione del contratto di mandato, in ragione della gratuità del trasferimento funzionale all’attuazione del programma negoziale del mandato, la ricorrente effettuava il versamento dell’imposta di donazione beneficiando, precipuamente: della franchigia prevista a favore dei fratelli, dell’imposta in misura fissa, delle imposte ipotecarie e catastali in misura proporzionale.

Due giorni dopo la stipula del contratto di mandato, la contribuente acquistava la proprietà di un altro immobile, da destinare a propria abitazione principale, richiedendo, ai fini del pagamento delle imposte inerenti a tale secondo atto, l’applicazione del sistema c.d. “prezzo di valore” (di cui all’art. 52, DPR n. 131/1986 e all’art. 1, comma 497, L. n. 266/2005), nonché delle c.d. “agevolazioni prima casa”, oltreché il pagamento delle imposte ipotecarie e catastali in misura fissa.

I giudici di primo e secondo grado confermavano le legittimità dell’avviso impugnato, ritenendo configurata l’ipotesi abusiva del diritto.

La contribuente, quindi, si rivolgeva alla Corte di Cassazione.

I motivi del ricorso per Cassazione

La ricorrente proponeva ricorso per la cassazione della sentenza di appello affidando a quattro motivi la specificazione delle contestazioni eccepite.

Così, procedendo in ordine:

  • con il primo motivo, la ricorrente denunciava la violazione di norme di diritto (art. 10-bis L. n. 212/2000; art. 7 L. n.488/1998; art. 1, Nota II bis, DPR n.131/1986) per avere a Commissione tributaria regionale erroneamente riscontrato un’ipotesi di abuso del diritto, in quanto “gli atti collegati posti in essere con la partecipazione della contribuente avevano determinato un risparmio di imposta che non si sarebbe conseguito senza il compimento degli atti predetti” con la realizzazione di meri vantaggi fiscali, da ritenere “indebiti perché non giustificati da valide ragioni extrafiscali non marginali”;
  • con il secondo motivo di ricorso, la contribuente eccepiva la violazione di norme di diritto (art.7 e 10-bis l. n. 212/2000) per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto che gli avvisi di liquidazione fossero adeguatamente motivati;
  • con il terzo motivo contestava la violazione di norme di diritto (art. 53, c.1, D.lgs. n.546/1992) per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto che l’appellante avesse omesso di “riproporre tutte le eccezioni e deduzioni sollevate in sede di ricorso in primo grado” circa la sussistenza di valide ragioni extrafiscali sottese alle operazioni in questione”.
  • con il quarto motivo, infine, la ricorrente denunciava la violazione di norme di diritto (artt. 1703, 1705 e 1719 cc; art. 1, Nota II -bis, DPR n. 131/1986; art. 2 DPR n. 131/1986) per avere la Commissione tributaria regionale, in relazione al contratto di mandato a vendere, stipulato dalla ricorrente in data 22/07/ 2013 con il fratello mediante trasferimento a quest’ultimo, ai sensi dell’art. 1719 cc, della proprietà di un bene immobile, omesso di valutare che alla data del 24/07/2013, all’atto di conclusione del contratto di compravendita oggetto degli atti impugnati, la ricorrente non era titolare di alcun diritto di proprietà su altra “casa di abitazione” acquistata con le cd. agevolazioni prima casa, avendo trasferito il primo immobile al fratello in forza del suddetto contratto di mandato.

Conclusioni della Corte

I motivi di impugnazione sollevati dalla ricorrente sono stati integramente travolti dal rigetto della Corte.

Secondo la Cassazione, infatti, la sentenza oggetto di impugnazione aveva buon governo dei principi posti a fondamento della decisione.

Nel dettaglio, in materia tributaria, come ribadito a più riprese dal Supremo Collegio, il divieto di abuso del diritto si declina quale principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti attraverso l’uso distorto, seppur non contrastante con alcuna disposizione di legge, degli strumenti giuridici al solo fine d’ottenere un vantaggio fiscale, ovvero un risparmio di imposta. Il tutto, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione posta in essere, diverse dalla mera aspettativa di conseguimento dei predetti benefici.

Nel caso di specie, quindi, la Corte non ha individuato la sussistenza di ragioni extrafiscali meritevoli di tutela. Invero, il trasferimento del cespite è stato considerato privo di sostanza economica e, unicamente, finalizzato all’ottenimento dell’indebito vantaggio fiscale.

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