Contratto misto e collegamento negoziale: disciplina e profili differenziali

in Giuricivile, 2019, 6 (ISSN 2532-201X)

Con il presente elaborato verrà analizzata la problematica relativa ai contratti misti e ai contratti collegati. Trattasi di due istituti che, dal punto di vista normativo, non sono espressamente previsti dal legislatore, e ciò spiega come mai essi sono da sempre oggetto di dispute dottrinarie e giurisprudenziali.

Da un punto di vista sistematico la problematica in questione presenta profili di interferenza con la questione relativa alla causa del contratto.

Il contratto misto

Tutto ciò premesso, in relazione alla definizione di contratto misto, occorre dar atto che di tale figura sono state fornite due distinte nozioni.

Secondo la nozione corrente in giurisprudenza il contratto si dice misto quando in esso concorrono gli elementi di più negozi tipici che si fondono in un’unica causa[1]. Di contratto misto si parla anche con riferimento all’ipotesi di una pluralità di cause concorrenti nell’unicità del rapporto[2].

Tale figura dunque può derivare dalla fusione o dalla concorrenza di cause, ed è intesa come contratto unico, essendo unica la causa.

I contratti misti, da un punto di vista sistematico, si differenziano dai contratti innominati in senso stretto, ma, insieme a questi ultimi, risultano riconducibili alla categoria generale dei contratti atipici.

Tuttavia parte della dottrina nega che i contratti misti siano caratterizzati dal carattere dell’autonomia: si afferma che essi non sono diversi dagli altri contratti atipici (o innominati in senso stretto), in quanto si ritiene arbitrario scomporre il singolo contratto atipico per andare alla ricerca delle sue componenti tra i vari tipi contrattuali in esso presenti

Sebbene nella causa unitaria va ravvisata la caratteristica comune di contratti innominati e contratti misti, ciò non esclude l’autonomia delle due figure: mentre nei contratti innominati in senso stretto la causa è per così dire “originale”, nei contratti misti essa è il frutto della fusione o combinazione tra le cause di due o più contratti nominati. Alla luce di ciò può dunque affermarsi l’autonomia del contratto misto, e tale prospettiva è dimostrata anche dalla diversa disciplina giuridica dettata per le figure in esame.

La differenza tra contratto misto e contratto complesso

La figura del contratto misto deve essere inoltre distinta anche da quella del contratto complesso.

Per una risalente sentenza della Cassazione[3] il contratto complesso presenta carattere unitario mentre quello misto rappresenta una sintesi di più schemi negoziali.

Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale[4] l’espressione contratto complesso è sinonimo di contratto misto perché anche quest’ultimo, come anticipato, ha una causa unitaria, pur se risultante dalla fusione o combinazione delle cause di due o più contratti nominati.

Vi è anche chi applica il criterio di specialità per scorgere la differenza tra le due suindicate figure. Secondo tale ricostruzione il contratto complesso avrebbe un ambito più ampio rispetto al contratto misto perché esso può risultare sia da una sintesi di vari schemi negoziali (come il contratto misto) sia da una sintesi di elementi non essenziali di specifici negozi.

I maggiori problemi suscitati dalla figura del contratto misto attengono:

  1. al regime giuridico concretamente applicabile;
  2. alla questione della donazione mista e al suo inquadramento sistematico;
  3. alla non facile individuazione di un criterio per differenziare il contratto misto dal collegamento negoziale.

Con riferimento alla prima questione, per la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza prevalente occorre fare applicazione della disciplina del tipo prevalente[5] (teoria dell’assorbimento). Secondo la giurisprudenza di legittimità[6] “in tema di contratto misto la relativa disciplina giuridica va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti.

Secondo la teoria della combinazione invece ciascun elemento contrattuale deve essere disciplinato dalle regole del tipo cui l’elemento appartiene. In pratica se non vi è un tipo prevalente, ma gli elementi dei vari tipi si equivalgono, si applicano le norme del tipo corrispondente.

Al criterio della combinazione occorre fare necessariamente ricorso quando non vi è prevalenza di alcun tipo contrattuale, ossia quando gli elementi delle varie componenti si equivalgono.

Con riferimento alla seconda questione, si configura la fattispecie della donazione mista quando in un negozio oneroso una delle prestazioni è notevolmente inferiore a quanto dovuto e chi la riceve intende, in tal modo, arricchire volontariamente l’altra[7].

Rapporto tra contratto misto e donazione indiretta

Nella presente analisi rileva la presente fattispecie in quanto ci si domanda se la stessa configuri un contratto misto o una donazione indiretta.

Il presupposto da cui partono i sostenitori della teoria del negozio misto è  che è compatibile la fusione, in un’unica causa, di due funzioni così diverse tra loro: quella di scambio (onerosa) e quella gratuita. Corollario di tale prospettazione dottrinaria è che la disciplina applicabile alla figura è quella del contratto misto, così come affrontata in precedenza.

La dottrina e la giurisprudenza prevalente invece qualificano la figura de qua quale donazione indiretta in quanto una delle parti ha l’intento di arricchire l’altra e realizza tale scopo attraverso un atto diverso dalla donazione tipica e cioè indirettamente, a mezzo di un diverso negozio (vendita).

Tra le due tesi appare preferibile quest’ultima, in quanto appare insostenibile la fusione di due cause così diverse, anzi contrapposte, quale quella onerosa e quella gratuita.

Implicazione dell’impostazione accolta, quanto alla disciplina applicabile, è che alla figura de qua andranno applicate le norme sui negozi indiretti, in particolare quelle del negozio mezzo (ossia oneroso) per gli aspetti formali; per gli aspetti sostanziali andranno applicate le norme sulle donazioni.

Il collegamento negoziale

Con riferimento alla terza questione, è necessario analizzare la figura del collegamento negoziale, che ricorre quando due o più negozi, ciascuno strutturalmente autonomo, perseguono una comune finalità.

Caratteri salienti della figura de qua, apprezzabili da un punto di vista strutturale e funzionale sono:

  1. la pluralità di negozi;
  2. la connessione funzionale tra gli stessi.

Ed è il primo dei due caratteri, ossia la pluralità di negozi che consente di distinguere la fattispecie dei contratti collegati dal contratto misto. Per la teoria prevalente infatti la distinzione tra unità e pluralità di negozi, ossia tra un contratto misto e un contratto collegato, risiede nell’unitarietà o meno dell’elemento causale: se la causa è unica si ha negozio misto; nel caso inverso si ha collegamento negoziale, ossia più contratti autonomi funzionalmente connessi. Con il fenomeno del collegamento negoziale vi è dunque una pluralità coordinata di contratti (e non un unico contratto), che conservano ciascuno una causa autonoma.

Quanto al secondo elemento necessario per la configurazione del collegamento negoziale, esso, come anticipato, è ravvisato nella connessione funzionale tra i negozi. Tale espressione sta a significare che per aversi collegamento negoziale non basta un qualunque nesso occasionale ed estrinseco tra due o più negozi, ma è necessario che i distinti negozi posti in essere dalle parti, pur conservando ciascuno la propria individualità, siano obiettivamente unificati e rivolti alla realizzazione di uno scopo finale. In altri termini i diversi contratti legati dal loro collegamento funzionale devono essere finalizzati ad un unico regolamento dei reciproci interessi[8].

In relazione alle tipologie di collegamento possono distinguersi:

1) collegamento necessario (tipico) o volontario (atipico), a seconda che il nesso funzionale sia previsto dalla legge (es. procura rispetto al contratto concluso dal rappresentante) o creato dalle parti nell’esercizio dell’autonomia privata;

2) collegamento unilaterale o bilaterale, a seconda che vi sia o meno una interdipendenza o reciprocità tra i due negozi. L’interdipendenza dei rapporti negoziali è normalmente reciproca, nel senso che la sorte di ciascun rapporto è legata alla sorte dell’altro. E’ tuttavia possibile che si configuri una interdipendenza unilaterale, soprattutto nelle ipotesi di contratti accessori[9]. A riguardo la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che “nel collegamento negoziale le vicende che investono un contratto possono ripercuotersi sull’altro seppure non necessariamente in funzione di condizionamento reciproco, ben potendo accadere che uno solo dei contratti sia subordinato all’altro, e non anche viceversa, e non necessariamente in rapporto di principale ad accessorio”[10];

3) collegamento genetico o funzionale:

3.1.) funzionale quando risulta dalla unitarietà della funzione perseguita, ossia quando i vari rapporti negoziali posti in essere tendono a realizzare un fine pratico unitario[11];

genetico, è quel collegamento per cui un negozio esercita un’azione sulla formazione di altro o altri negozi (es. contratto preliminare e contratto definitivo).

Le distinzioni rilevano in relazione agli effetti derivanti dal collegamento.

In caso di collegamento unilaterale infatti ogni vicenda del contratto principale si comunica al contratto subordinato (e non viceversa): per esempio, le vicende del contratto preliminare si comunicano al contratto definitivo. In particolare, l’invalidità, l’annullabilità, la rescindibilità e la risolubilità del contratto principale coinvolgono il contratto accessorio.

In caso di collegamento bilaterale l’interdipendenza si risolve nell’estensione di ogni vicenda di uno dei contratti all’altro, secondo il principio simul stabunt, simul cadent.

Ma per la individuazione degli effetti del collegamento è necessario anche fare riferimento alla distinzione tra collegamento necessario e collegamento volontario. In caso di collegamento necessario infatti l’interdipendenza dei negozi è sancita direttamente dalla legge.

Nel collegamento volontario invece, per valutare il grado di influenza tra i negozi occorre prestare maggiore attenzione alla volontà delle parti. In tali ipotesi il collegamento si prospetta come bilaterale, ma il principio simul stabunt simul cadent può non essere idoneo a disciplinare i problemi di patologia dei negozi. Pertanto, in caso di nullità o annullabilità di uno dei negozi potrebbero essere applicabili le regole sull’invalidità parziale, che non sortirebbero l’effetto della caducazione del negozio non viziato. Diversamente opinando, cioè ritenendo applicabili le norme sulla invalidità totale, si correrebbe il rischio di far cadere l’intera fattispecie. Maggiore attenzione è richiesta dunque all’interprete nel caso de quo, in quanto lo stesso deve tener conto dell’assetto di interessi voluto dalle parti per individuare l’ampiezza del vincolo volontario di collegamento e stabilirne gli effetti.

La distinzione tra contratto misto e collegamento negoziale

Delineati dunque i profili strutturali e funzionali del collegamento negoziale, ci si può soffermare sulla questione della distinzione rispetto al contratto misto. Talvolta la stessa non assume particolare rilievo, in quanto dottrina e giurisprudenza applicano ad entrambe le fattispecie, seppur in modo non pacifico, la stessa disciplina relativa alla invalidità e all’inadempimento, con effetto caducatorio dell’intera fattispecie, sia nel caso di unico contratto misto, sia nel caso di contratti collegati.

In altre ipotesi tuttavia la disciplina è diversa, come emerge in una risalente sentenza della Suprema Corte[12], ove si afferma che in relazione al negozio misto non è mai ammesso il recesso parziale, mentre ove si tratti di negozi autonomi, ancorché collegati, è ammesso il recesso da uno solo dei contratti qualora, in tal modo, non venga pregiudicato l’equilibrio dell’intero regolamento negoziale.

La dottrina, alla luce di ciò, ha proposto due diversi criteri per distinguere le fattispecie in esame.

Secondo il criterio soggettivo, per poter individuare se si tratta di un contratto misto o di contratti collegati occorre far riferimento alla volontà delle parti. Tuttavia a tale tesi è stata contestata la circostanza secondo cui le parti, nella quasi totalità dei casi, non conoscono neanche la distinzione tra contratto misto e negozi collegati.

La teoria prevalente in dottrina e giurisprudenza è quella oggettiva, in base alla quale la distinzione tra le due figure si ritrova nella unitarietà o meno dell’elemento causale. Si ha pertanto negozio misto quando la causa è unica; i negozi collegati invece non danno luogo ad un autonomo e nuovo contratto, ma costituiscono una fattispecie tramite la quale le parti perseguono un risultato economico ed uno scopo unitario utilizzando una pluralità di negozi, aventi ciascuno una propria causa, anche se tutti funzionali ad un unico regolamento di interessi.

Un ulteriore criterio per differenziare le due fattispecie è quello della scindibilità, nel senso che se le cause sono scindibili, si ha collegamento negoziale. Nel caso inverso si ha contratto misto.

Alla luce di ciò, si può comprendere in che termini e con quali ricadute pratiche la problematica del contratto misto e del contratto collegato interferisca con la complessa questione della causa del contratto.

Tra le ipotesi particolari di collegamento negoziale può essere ricompreso il contratto indiretto. Trattasi di una figura negoziale caratterizzata da una divergenza tra 1) scopo pratico che le parti vogliono raggiungere e 2) funzione tipica dello schema contrattuale adottato[13].

Su tale controversa figura diverse sono state le prospettazioni dottrinarie.

Secondo una prima tesi il contratto indiretto non costituisce una categoria giuridica in quanto il raggiungimento dello scopo ulteriore costituirebbe un motivo, estraneo al contratto e alla sua causa e come tale giuridicamente irrilevante.

Altri Autori ritengono che il contratto indiretto (in generale) e la donazione indiretta (in particolare) costituiscano un contratto atipico, nel senso che il soggetto per raggiungere il risultato voluto adopera una via indiretta atipica.

Secondo un’ultima teoria (prevalente), il contratto indiretto rileva come “doppio negozio collegato”. In pratica vi è l’esistenza in concreto di due diversi negozi, tra loro collegati: il negozio-mezzo, avente la funzione di vincolare le parti al raggiungimento dell’ulteriore risultato che rappresenta la causa dell’altro negozio (negozio-fine o negozio indiretto).

Tale tesi è quella più rispondente alla realtà e alla concreta volontà delle parti in quanto chi compie un negozio indiretto vuole due negozi: uno produttivo degli effetti normali e l’altro, intimamente connesso con il primo, produttivo degli effetti voluti dalle parti.

Inoltre tale prospettazione consente di risolvere agevolmente il problema della disciplina giuridica del contratto indiretto, che sarà quella del negozio-mezzo, con riferimento alla forma, e quella del negozio-fine[14]. Ciò trova conferma nel dato normativo, tenuto conto che per la figura più rilevante di negozio indiretto, ossia la donazione indiretta, l’art. 809 c.c. applica le principali norme sostanziali sulla donazione (revocazione e riduzione) e l’art. 737 c.c. applica l’istituto della collazione.

Infine, la figura del contratto indiretto va distinta da altre fattispecie, come il contratto simulato e il contratto in frode alla legge. Nel contratto simulato la volontà dichiarata o non esiste affatto (simulazione assoluta) o è diversa da quella effettiva (simulazione relativa); in caso di contratto indiretto invece il contratto-mezzo è realmente voluto dalle parti per raggiungere gli scopi corrispondenti al negozio-fine.

Il contratto in frode alla legge non è altro che una specie del contratto indiretto: infatti, anche con esso si persegue uno scopo ulteriore rispetto a quello tipico del contratto adoperato; la sua caratteristica peculiare è che lo scopo ulteriore non è lecito, ma è contrario alla legge. Quanto alla natura giuridica, anche nella figura de qua può ravvisarsi un collegamento negoziale: un contratto-mezzo (lecito) e un contratto-fine (illecito) e pertanto nullo.


[1] Si fa l’esempio del contratto di somministrazione, in cui l’avente diritto alla somministrazione si obbliga a stipulare contratti di pubblicità per conto del somministrante; qui si avrebbe commistione tra somministrazione e mandato. Si fa inoltre l’esempio del contratto di trasporto in vagone letto, nel quale confluiscono gli elementi del trasporto, ma anche gli elementi della locazione di cosa (del locale adibito a vagone letto) e del contratto d’opera (pulizia e riordino del locale).

[2] A riguardo si fa l’esempio della vendita mista a donazione su cui ci si soffermerà in seguito

[3] Cass. sent. n. 2090 del 1960

[4] Cass. sent. n. 2626 del 1984

[5] Cass. Civ.sez III sent. n. 13399/2005

[6] Cass. SS.UU. sent. n. 11656/2008 e Cass. Civ. sez. II, sent. n. 22828/2012

[7] Comunemente si fa l’esempio della vendita per un prezzo inferiore al valore della cosa venduta

[8] Cass. Civ. sent. n. 18884/08

[9] In caso di collegamento necessario la maggior parte dei negozi collegati crea un rapporto di subordinazione di un negozio (accessorio) ad un altro (principale). Sono state così distinte varie specie di negozi accessori:

preparatori (es. procura; preliminare);

integrativi (es. ratifica art. 1399 c.c.);

complementari (es. accettazione dell’eredità art. 470 c.c.).

[10] Alla luce di ciò si può sostenere che in relazione al rapporto tra preliminare e definitivo, tra di essi sussiste un collegamento genetico unilaterale: le cause di invalidità del preliminare possono ripercuotersi sul definitivo, ma non viceversa.

[11] Sul punto Cass. SS.UU. sent. n. 28053/2008 ha statuito che “il collegamento negoziale si realizza attraverso la creazione di un vincolo tra i contratti che, nel rispetto della causa dell’individualità di ciascuno, l’indirizza al perseguimento di una funzione unitaria che trascende quella dei singoli contratti e investe la fattispecie negoziale nel suo complesso. La Suprema Corte inoltre, con sent. n. 10722/2017 ha avuto modo anche di tracciare una linea di confine tra collegamento funzionale e collegamento solo occasionale: “il collegamento deve ritenersi meramente occasionale, quando le singole dichiarazioni -per quanto finanche causalmente riunite- siano poi strutturalmente e funzionalmente autonome e mantengano l’individualità propria di ciascun tipo negoziale in cui esse si inquadrano, sicché la loro messa in relazione non influenza la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano. Il collegamento è invece funzionale quando i diversi e distinti negozi, cui le parti danno vita nell’esercizio della loro autonomia negoziale, pur conservando l’individualità propria di ciascun tipo, vengono concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza, per cui le vicende dell’uno debbano ripercuotersi sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia. Ai fini della qualificazione giuridica della situazione negoziale, per accertare l’esistenza, l’entità, la natura, le modalità e le conseguenze di un collegamento funzionale tra negozi realizzato dalle parti – comunque – occorre un accertamento del giudice di merito che passi attraverso l’interpretazione della volontà contrattuale e che, se condotto nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto, si sottrae al sindacato di legittimità”.

[12] Cass. sent. n. 638 del 1976

[13] Un esempio per chiarire: Tizio vuole donare 1000 euro a Caio e fa ciò rimettendogli il debito di uguale entità. In tal caso vi è l’adozione dello schema negoziale della remissione, ma in pratica viene raggiunto lo scopo della donazione.

[14] Nell’esempio riportato alla nota 13) se Tizio per donare 1000 euro a Caio gli rimette il debito di pari importo, troveranno applicazione la normativa sulla remissione del debito e la normativa sostanziale sulle donazioni.

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