Canone di locazione superiore rispetto a quello stabilito nel contratto: le Sezioni Unite sulla sua legittimità

Il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobile ad uso non abitativo stabiliscono in modo occulto un canone superiore a quello già dichiarato è affetto da nullità.

E ciò anche nel caso di tardiva registrazione dello stesso.

Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 23601 del 9 ottobre 2017.

Il caso in esame

Una signora concedeva in locazione ad uso diverso da quello abitativo due immobili ad una società.

In seguito, intimava sfratto per morosità nei confronti di quest’ultima, specificando che le parti avevano stipulato un contratto di locazione, registrato che prevedeva un canone pari ad Euro 1.200,00 mensili.

In pari data le parti avevano altresì sottoscritto un ulteriore accordo integrativo, registrato un mese dopo, nel quale si pattuiva che se questo accordo integrativo fosse stato registrato il canone effettivo e reale sarebbe stato di Euro 5.500,00; mentre, nel caso in cui fosse stato registrato il contratto di locazione con canone pari ad Euro 1.200,00, tale somma di denaro sarebbe aumentata ad Euro 3.500,00.

La società conduttrice si opponeva allo sfratto per morosità ed il Tribunale, previo mutamento del rito, emanava la sentenza con la quale dichiarava la nullità dell’accordo integrativo e determinava il canone dovuto dalla conduttrice nella misura di Euro 1.200,00.

La Corte di Appello riformava poi la decisione del primo grado statuendo la risoluzione del contratto per inadempimento della società conduttrice e la relativa condanna al pagamento del canone pari ad Euro 5.500,00.

L’obbligo di registrazione

La sentenza passata in rassegna ha affrontato in maniera esaustiva il panorama giurisprudenziale e legislativo inerente all’obbligo di registrazione dei contratti di locazione, perciò occorre ripercorrerne alcuni dei tratti salienti.

Il fondamento dell’obbligo di registrazione del contratto di locazione si rinviene nel combinato disposto degli artt. 2 lett. A, B ed 3 lett. A del D.P.R. 131/86 i quali estendevano tale obbligo a tutti i contratti di locazione con l’eccezione di quelli con durata non superiore a trenta giorni l’anno.

Questi articoli sono stati integrati dall’art. 68 della L. 342/2000 che ha imposto il termine perentorio di trenta giorni per la registrazione del contratto di locazione con decorrenza dalla data di sottoscrizione oppure nell’ipotesi di contratto di locazione di fatto dalla data di esecuzione.

A questo obbligo di registrazione non seguiva però alcuna sanzione in caso di inottemperanza, il diritto vivente era infatti unanime nel ritenere che la violazione di una norma tributaria non potesse comportare una nullità del contratto di locazione.

L’orientamento giurisprudenziale sopra riferito fu ripreso dall’art. 10 della L. 212/2000 a mente del quale le violazioni di rilievo esclusivamente tributario non possono determinare la nullità del contratto.

Tale quadro legislativo e giurisprudenziale è mutato con l’introduzione dell’art. 1 comma 346 della L. 311/2004 che imponeva la nullità per i contratti di locazione non registrati.

Successivamente invece il D.Lgs. 23/2011 statuiva all’art. 3 comma ottavo e nono che l’omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione oppure di un contratto con canone inferiore a quello pattuito comportava la rideterminazione legale della durata del rapporto in anni quattro rinnovabili dal momento della registrazione tardiva; e la fissazione del canone in misura pari al triplo della rendita catastale dell’immobile.

I commi di tale articolo stati dichiarati incostituzionali dalla sentenza n. 80/2014 della Corte Cost. e successivamente sono stati sostituiti dall’art. 1 comma 59 della L. 208/2015; che modificando l’art. 13 della L. 431/1998 ha concesso al conduttore la facoltà di adire il giudice per l’accertamento dell’esistenza del contratto della rideterminazione del canone in misura non superiore al minimo nel caso in cui non sia stato rispettato il termine perentorio di registrazione del contratto.

Le conseguenze della tardiva registrazione di un patto che prevede un canone di locazione maggiorato ed ulteriore rispetto a quello già determinato nel contratto di locazione

Sul punto, la Cassazione, ravvisava un contrasto giurisprudenziale, ponendolo all’attenzione delle Sezioni Unite.

La questione da chiarire era se nei contratti ad uso diverso da quello abitativo la tardiva registrazione del separato accordo che prevede canone maggiorato rispetto a quello già indicato in altro contratto, sani la nullità del separato accordo oppure se si escluda un’efficacia sanante della registrazione tardiva come nel caso delle locazioni ad uso abitativo.

Dopo una lunga digressione legislativa e giurisprudenziale sull’obbligo di registrazione in tema di locazioni ad uso abitativo e non, la Corte di Cassazione ha affrontato il caso di specie risolvendolo attraverso l’analisi di due questioni:

  1. la prima costituita dalle conseguenze in tema di legittimità del patto che prevede un canone di locazione ulteriore e maggiorato;
  2. e poi se la registrazione tardiva di tale patto produca effetti retroattivi o meno.

In merito alla prima problematica la Corte ha rilevato che la disciplina delle locazioni ad uso diverso da quelle abitative difetta di una norma che imponga la nullità del patto di maggiorazione del canone, mentre nel caso delle locazioni abitative tale ipotesi è specificatamente regolamentata dall’art. 13 della L. 492/1998.

Tale nullità però non produce alcun effetto sul primo contratto di locazione che rimane perciò valido ed efficace salvo il caso che non sia registrato altrimenti opera la sanzione di cui all’art. 1 comma 346 della L. 311/04.

La Corte nel decidere la questione si è attenuta agli insegnamenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità nel 2015, anno nel quale si è affermata la nullità del contratto di locazione a causa della mancata registrazione; tale nullità sarebbe stata sanata però in caso di registrazione tardiva.

Pertanto la Corte si interroga sull’estensibilità di tale ragionamento anche ai contratti di locazione ad uso diverso da quello abitativo.

La soluzione al quesito è fornita dalla Corte con il riferimento alla normativa tributaria ed alla legge di stabilità del 2016; sotto il profilo tributario non è considerato perentorio il termine di trenta giorni per il pagamento dell’imposta di registro, ed in caso contrario si applica l’istituto del ravvedimento operoso.

Mentre la legge di stabilità del 2016 ha innovato l’art. 13 della L. 431/98 consentendo in caso di mancata registrazione del contratto la facoltà del conduttore di chiedere al giudice l’accertamento del contratto e la rideterminazione del canone in misura non superiore al minimo.

La Corte di Cassazione risolve il primo interrogativo dichiarando la nullità, ai sensi dell’art. 1 comma 346 della L. 311/2004, del contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo per mancata registrazione; ma la tardiva registrazione dello stesso sana la relativa nullità in conformità con quanto dettato dalla normativa tributaria.

Successivamente la Corte esamina se la registrazione tardiva del patto che prevede un canone maggiorato ed ulteriore rispetto a quello già indicato nel contratto produca effetti retroattivi o meno; ma la risposta a tale interrogativo non è univoca, poiché la Corte valuta in modo differente il caso in cui il contratto di locazione contenga un canone reale ed a seconda che venga, invece, registrato l’accordo integrativo che contiene un ulteriore canone maggiorato.

Nel primo caso infatti si assiste alla mancata attuazione di un obbligo conseguente alla nascita del contratto che può essere adempiuto anche in via tardiva con produzione di effetti sanatori dal momento in cui la registrazione è avvenuta.

Nel caso in cui vi sia invece un accordo integrativo che preveda un ulteriore e maggiorato canone di locazione rispetto al primo si è in presenza di un vizio genetico del contratto, sanzionato dall’art. 79 della L. 392/1978; ed in tal caso la registrazione tardiva di tale patto non sana questo vizio genetico senza la produzione di effetti retroattivi.

La Corte di Cassazione ha dunque accolto il secondo motivo di ricorso, cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte di Appello.

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