Con l’ordinanza n. 23192, 4 ottobre 2017, La Cassazione è intervenuta ancora una volta sulla questione relativa alla possibilità di applicare la disciplina dell’usura bancaria sia agli interessi corrispettivi che a quelli moratori.
Il contrasto giurisprudenziale
La questione, assai dibattuta, vede contrapporsi due orientamenti.
Secondo una prima tesi, che muove dalla differente natura degli interessi corrispettivi (che hanno funzione remunerativa del capitale) e di quelli moratori (che hanno, invece, natura risarcitoria) gli unici interessi rilevanti sarebbero quelli corrispettivi.
Secondo questo orientamento, l’usura non può essere calcolata sulla base di un interesse virtuale, quale è quello moratorio (che viene corrisposto solo in caso di inadempimento) ma deve essere calcolata sulla base di un interesse reale ed effettivo, quale è l’interesse corrispettivo.
A sostegno di tale assunto, inoltre, si richiama l’argomento letterale secondo cui l’art. 644 c.p., nell’individuare la fattispecie oggettiva del reato di usura, qualifica gli interessi usurari quale “corrispettivo” di una prestazione di denaro o altra utilità.
Secondo altri autori, per contro, la disciplina dell’usura sarebbe applicabile sia agli interessi corrispettivi sia agli interessi moratori.
In particolare, la ratio sottesa alle due tipologie di interesse sarebbe la medesima: tanto gli interessi corrispettivi, quanto quelli moratori, avrebbero una funzione genericamente reintegrativa, intesa quale corrispettivo per la perdita di disponibilità di un capitale.
Tale orientamento è stato sposato dapprima dalla Corte di Cassazione ( civ. n. 5286/2000; Cass. civ. n. 350/2013) e successivamente dallo stesso legislatore che con la L. n. 24/2001 ha ricondotto nella nozione di interessi usurari quelli convenuti “a qualsiasi titolo” – e dunque anche quelli moratori – come peraltro previsto anche dalla norma di interpretazione autentica dell’art. 1815 co. 2 c.c. nonché dalla stessa relazione di accompagnamento al codice civile.[1]
Il caso in esame
Nel caso di specie, un istituto di credito – che aveva domandato l’ammissione al passivo fallimentare per un credito vantato in virtù di un contratto di mutuo fondiario – si opponeva allo stato passivo del fallimento per essersi vista ammettere al passivo dal Giudice delegato soltanto per la sorte capitale, non potendo essere riconosciuti gli interessi moratori.
Il Tribunale di Matera, tuttavia, rigettava l’opposizione della Banca, in quanto “come emerso dalla CTU, al momento della pattuizione il tasso degli interessi moratori era superiore al tasso soglia, vertendosi, così, in ipotesi di usura originaria (e non in quella di usura sopravvenuta come dedotto dalla banca) e, conseguentemente, ai sensi dell’art. 1815 c.c., la pattuizione del tasso di mora era considerata nulla e nessun interesse spettava”.
La Banca ricorreva pertanto in Cassazione, deducendo un unico motivo: “violazione e falsa applicazione dell’art. 1815 c.c. e della l. n. 108/1996, in quanto il Tribunale ha erroneamente rilevato che, al fine del superamento del tasso soglia, si deve valutare l’eventuale usurarietà del tasso di mora e posto che, nel caso di affermata nullità degli interessi usurari moratori, detta nullità, non potrebbe colpire gli interessi corrispettivi i quali non superino il tasso soglia”.
La decisione della Corte
La Cassazione, nel dichiarare il ricorso manifestamente infondato, ha ricordato che l’art. 1815, comma 2 c.c. stabilisce che “se sono dovuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.
Ha quindi precisato cosa si intende per interessi usurari: devono infatti considerarsi usurari gli interessi “che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento; il legislatore, infatti, ha voluto sanzionare l’usura perché realizza una sproporzione oggettiva tra la prestazione del creditore e la controprestazione del debitore”.
Ciò chiarito, la Suprema Corte ha richiamato la sentenza Cass. civ. n. 5324/2003 secondo cui “in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 legge n. 108/1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che gli interessi moratori”.
Richiamando i principi espressi da Cass. civ. n. 5598/2017 (v. anche Cass. civ. n. 14899/2000), ha infine precisato che il Tribunale avrebbe errato nello stabilire che il tasso soglia non fosse superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento di detto tasso.
In conclusione
In definitiva, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità è nel senso di ritenere che la disciplina dell’usura sia applicabile sia agli interessi moratori che agli corrispettivi, atteso che tali interessi rilevano nel momento della loro pattuizione indipendentemente dalla corresponsione in concreto.
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[1] F. CARINGELLA, L. BUFFONI, Manuale di Diritto Civile, p. 574.