Le azioni possessorie: reintegrazione e manutenzione
Il possessore che sia spogliato da altri del possesso della cosa, ovvero che da altri sia stato molestato nel suo possesso, può rivolgersi al giudice e ottenere un provvedimento che ordini la reintegrazione del possesso o la cessazione delle molestie.
Siffatta tutela è applicabile non solo nei confronti del possessore che non sia proprietario, ma anche in relazione a una cosa che non può formare oggetto di proprietà.
Infatti, ai sensi dell’art. 1145 c.c., nei rapporti tra privati le azioni di manutenzione e di spoglio sono riconosciute anche al possessore di beni demaniali[1].
L’azione di reintegrazione
L’azione di reintegrazione (o di spoglio) è concessa, ai sensi dell’art. 1168 c.c., al possessore (sia di buona che di mala fede)[2] che sia stato violentemente od occultamente spogliato del possesso di una cosa (mobile o immobile).
Parte della dottrina ritiene che per “violentemente” debba intendersi l’utilizzo della forza o delle minacce; con “occultamente” debba farsi riferimento allo spoglio avvenuto di nascosto, clandestinamente; “spogliato del possesso” equivale, invece, alla privazione del corpus possessionis (quindi, il possessore deve essere privato della disponibilità, del potere di fatto sulla cosa)[3].
Lo spoglio può essere totale ovvero anche parziale[4] (ad esempio, Tizio occupa una porzione del fondo del vicino, oppure restringe la strada oggetto della servitù di passaggio).
Legittimato attivo è, oltre il possessore, anche il detentore che non detenga la cosa per ragioni di servizio o di ospitalità (art. 1168, comma 2).
Il detentore può anche agire nei confronti dello stesso possessore, purché la sua detenzione sia autonoma, cioè sia acquisita nel proprio interesse (Cass. n. 16136/2010).
L’azione di reintegrazione si prescrive dopo un anno dall’avvenuto spoglio e, nel caso in cui è clandestino, dal giorno della scoperta dello spoglio (art. 1168, commi 1 e 3).
Con l’esercizio dell’azione di reintegrazione il possessore spogliato può ottenere, sulla base della notorietà del fatto in sé dello spoglio, la reintegrazione del possesso, consistente nell’ordine del giudice all’autore dello spoglio di restituire la cosa al possessore[5], anche mediante riduzione in ripristino dello stato dei luoghi (Cass. n. 1896/2011).
Inoltre, si ritiene[6] che è possibile esperire, congiuntamente con siffatta azione, anche quella di risarcimento del danno eventualmente subito dal detentore o dal possessore per l’avvenuto spoglio, ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Una volta trascorso l’anno, l’azione di reintegrazione si prescrive[7] e il possessore potrà recuperare la cosa oggetto dello spoglio solo se è anche proprietario, con l’azione di rivendicazione[8].
Azione di manutenzione
Passando all’azione di manutenzione, questa è prevista dall’art. 1170 c.c. ed è esercitabile solo dal possessore. Inoltre, riguarda solo i beni immobili e le universalità di mobili.
Secondo l’art. 1170, comma 1, l’azione di manutenzione spetta al possessore che sia stato molestato (ossia, impedito, ostacolato, turbato) nel possesso della cosa. Per molestie della cosa, si intende sia qualsiasi azione materiale che arrechi un apprezzabile disturbo al possessore, come ad esempio, la violazione delle norme sulle distanze legali o le immissioni che superano la normale tollerabilità, provenienti dal vicino[9]; ma può anche intendersi qualsiasi atto giuridico (molestia di diritto) che faccia temere imminenti azioni materiali che si pongono in contrasto con la situazione possessoria (Cass. n. 20800/2011).
Inoltre, l’azione di manutenzione spetta al possessore che abbia subito uno spoglio non violento o clandestino[10].
Tale azione si prescrive nel termine di un anno dalle molestie o dallo spoglio. Tuttavia, per quanto riguarda la turbativa, secondo la Cassazione tale termine decorre dall’avvenuto impedimento od ostacolo nel possesso, non dalla sua conoscenza da parte del possessore[11].
Nel primo caso il giudice ordinerà la cessazione delle molestie ed, eventualmente, la riduzione in ripristino; nel secondo caso, ordinerà la restituzione della cosa.
Da una lettura combinata delle disposizioni del codice civile a tutela del possesso, è facile notare che solo il possessore immobiliare o di una universalità di mobili è protetto dei confronti dello spoglio non violento o clandestino (c.d. spoglio semplice) e contro le molestie del possesso[12].
Tuttavia, un orientamento giurisprudenziale ha esteso la tutela ex art. 1170 (azione di manutenzione avverso lo spoglio semplice e le molestie) anche in favore del possessore e del detentore di cosa mobile.
Infatti, è stato interpretato estensivamente il concetto di violenza o clandestinità di cui all’art. 1168, comma 1, c.c. ed è stato, quindi, ritenuto che per spoglio violento deve intendersi uno spoglio effettuato contro la volontà, espressa o presunta, del possessore[13]; per spoglio clandestino è stato inteso quello effettuato all’insaputa del possessore.
Se si considera il fatto che non c’è spoglio se l’impossessamento della cosa viene fatto con il consenso del possessore, ci si rende immediatamente conto di come la suddetta interpretazione abbia determinato una sostanziale coincidenza tra lo spoglio violento o clandestino con lo spoglio semplice (i quali sono, però, disciplinati da due norme differenti).
Ma vi è di più. Infatti, la Cassazione, come già esposto in precedenza, è arrivata ad estendere lo stesso concetto di spoglio, facendo sì che questo ricomprenda situazioni che, in verità, sono da qualificare come molestie.
Infatti, si è ritenuto che lo spoglio sia la privazione totale o parziale del possesso, non richiedendosi altresì che il possessore si impossessi della cosa[14].
Pertanto, la distinzione tra spoglio e molestia consiste nel fatto che il primo incide direttamente sulla cosa, mentre la seconda incide sul godimento di essa.
Prevalente giurisprudenza non richiede l’elemento intenzionale dello spoglio o delle molestie, ritenendo sufficiente la volontarietà del contegno dell’autore, considerata insita nel fatto materiale dello spoglio o delle turbative[15]. Altra giurisprudenza, invece, ritiene necessario il requisito psicologico del dolo o della colpa nell’atto[16].
È irrilevante la qualifica assunta dall’azione di spoglio, in quanto può configurarsi tale anche quello effettuato tramite ufficiale giudiziario, pur rivestendo un apparente garanzia di legalità ma sia, in verità, realizzato in mancanza del titolo esecutivo o in eccesso dei limiti in esso fissati, ovvero sulla base di un titolo invalido e inefficace per sospensione dell’esecuzione o per altra causa.
La lesione del possesso può anche consistere in un comportamento negativo, ad esempio nella mancata restituzione della cosa da parte del detentore per ragioni di servizio o di ospitalità, che configura una interversione del possesso. In tal caso sorge in capo al detentore l’animus possidenti, legittimando così il possessore ad attivare l’azione di reintegrazione.
Invece, nel caso in cui il soggetto detenga nel proprio interesse, lo spoglio non è configurabile[17].
L’azione di reintegrazione è, come già esposto, esperibile da qualsiasi possessore, a prescindere dalla durata del suo possesso e dal come si è era impossessato della cosa[18].
L’azione di manutenzione, come dispone il secondo comma dell’art. 1170, è data se il possesso dura da oltre un anno, continuo e non interrotto, e non è stato conseguito in modo violento o clandestino; se è stato conseguito con siffatte modalità, deve essere trascorso almeno un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità sono cessate.
Fondamento della tutela del possesso
Ci si chiede il motivo per il quale il possesso, che è solo una situazione di fatto, debba ricevere una tutela da parte del legislatore.
A dire il vero, è ben possibile che chi si veda spogliato di una cosa, a sua volta si sia procurato il possesso per spoliazione altrui. È evidente che il possessore spogliato non debba necessariamente essere più meritevole di tutela dell’autore dello spoglio[19].
A fondamento della protezione del possesso ci sono le superiori esigenze di ordine pubblico e di pace sociale (ne cives ad arma ruant). Infatti, se chiunque potesse liberamente impossessarsi di cose possedute da altri, sarebbero legittime tutte le spoliazioni e si determinerebbero spoliazioni a catena, con evidente pregiudizio per l’ordine pubblico.
Quindi, il possessore, anche se non è proprietario, può chiedere al giudice la tutela della situazione di fatto acquisita per esigenze non direttamente collegabili al possessore, ma all’ordine pubblico.
Parte della dottrina ritiene che l’espressione della “protezione del possesso” sia impropria in quanto anche l’autore dello spoglio è un possessore (tant’è che anch’egli può agire con l’azione di reintegrazione se viene a sua volta spossessato in modo violento o clandestino).
Pertanto, è più corretto sostenere che il legislatore abbia introdotto un criterio di disciplina dei conflitti relativi al possesso dei beni. Il criterio consiste nel fatto che il possesso antecedente prevale su quello successivo, ad eccezione del caso in cui quest’ultimo possesso non sia durato almeno un anno senza che il primo possessore esercitasse l’azione di reintegrazione[20].
Le azioni a tutela del possesso possono essere esercitate anche dal proprietario possessore della cosa, che in questo caso agirà solo nella qualità di possessore. Il vantaggio è costituito dal fatto che tali azioni seguono il procedimento cautelare e, quindi, hanno un decorso più rapido di quelle a difesa della proprietà, essendo l’attore dispensato dall’onere di provare di essere proprietario del bene[21].
Le azioni possessorie possono essere esperite dal possessore anche nei confronti del proprietario. A fondamento di siffatta conclusione, l’art. 705 c.p.c. dispone che il convenuto nel giudizio possessorio non può difendersi eccependo di essere proprietario della cosa. Pertanto, ogni azione o eccezione relativa alla legittimità del possesso è estranea al giudizio possessorio.
Naturalmente, l’azione di reintegrazione nei confronti del proprietario assicura una tutela soltanto provvisoria, considerato che quest’ultimo potrà riottenere la cosa con un giudizio petitorio.
Tuttavia, il divieto di proporre il giudizio petitorio in pendenza del giudizio possessorio è venuto meno a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 3 febbraio 1992, n. 25, la quale ha stabilito che il comma 1 dell’art. 705 c.p.c. è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui subordina l’esercizio dell’azione a difesa della proprietà alla definizione della controversia possessoria o all’esecuzione della decisione “nel caso che derivi o possa derivarne un pregiudizio irreparabile al convenuto”.
Pertanto, ad oggi il convenuto in un giudizio possessorio ben può evitare di restituire la cosa al possessore al termine del giudizio, promuovendo un sequestro giudiziario. Può, altresì, in caso di possibile pregiudizio irreparabile a seguito dell’azione possessoria, proporre eccezioni di natura petitoria allo scopo di dimostrare l’infondatezza dell’azione dell’attore.
L’eccezione feci sed iure feci è stata ritenuta ammissibile per il detentore qualificato, solo ai fini del giudizio possessorio, nei confronti del possessore mediato[22]. In questo modo, ad esempio, il locatario può contrastare l’azione di spoglio adducendo il non ancora sopraggiunto termine di scadenza del contratto ovvero la proroga della durata dello stesso (Cass. n. 7621/2002).
Legittimato passivo alle azioni possessorie, oltre all’autore materiale dello spoglio, è anche l’autore morale, ovverosia il mandante o chi ha autorizzato ovvero successivamente ratificato lo spoglio, traendone vantaggio (Cass. n. 6785/2012).
Cassazione n. 4448/2012 ha stabilito, infatti, che l’azione di reintegrazione, per la sua natura reale e per il suo carattere recuperatorio, può essere proposta anche nei confronti di chi abbia acquistato la detenzione in virtù di un rapporto giuridico, nella consapevolezza dello spoglio.
Tutela della detenzione
L’azione di reintegrazione è esperibile anche per il detentore, ai sensi dell’art. 1168, comma 2, purché non detenga per ragioni di servizio o di ospitalità. Pertanto, è ammissibile solo per coloro che detengano nel proprio interesse, che dovranno provare il possesso di colui in nome del quale detengono la cosa.
Quindi, non è necessario che il detentore, che si veda spogliato della cosa, si rivolga al possessore per fargli esperire l’azione di reintegrazione, potendo egli stesso esercitare tale azione autonomamente.
Tuttavia, il detentore dovrà rivolgersi al possessore nel caso di spoglio non violento né clandestino, in quanto l’azione di manutenzione è prevista solo per il possessore.
L’azione di reintegrazione è esperibile anche nei confronti del possessore, ad esempio dall’inquilino che si è visto buttato fuori dall’appartamento o, ancora, dall’appaltatore nei confronti del committente, nel caso in cui quest’ultimo gli impedisca l’accesso al cantiere.
È stato detto che al detentore, in linea di principio, non spetta l’azione di manutenzione ex art. 1170 c.c. Tuttavia, l’art. 1585, comma 2, c.c. attribuisce al locatario (detentore) la facoltà di agire in nome proprio di fronte alle molestie dei terzi che non pretendono di avere diritti sulla cosa.
[1] V. A. Saia, Il possesso e la detenzione. La guida completa di giurisprudenza, in Giuricivile, 2017, 5 (ISSN 2532-201X), par. 1
[2] Cass. n. 1551/2009.
[3] Cass. n. 8275/2011 ha stabilito che per spoglio debba intendersi qualsiasi azione che si risola nella duratura privazione del possesso o, comunque, nella modifica della situazione oggettiva preesistente tale da compromettere, in modo apprezzabile, l’esercizio del possesso.
[4] Cass. n. 1494/2013.
[5] Ai sensi dell’art. 1669 c.c., la reintegrazione può domandarsi anche nei confronti dell’acquirente della cosa, consapevole dell’avvenuto spoglio; v. Cass. n. 4488/2012.
[6] A. TORRENTE, P. SHLESINGER, Manuale di Diritto privato, Giuffrè Editore, Milano, 2013, p. 353.
[7] Se viene eccepita l’avvenuta prescrizione, spetta all’attore provare la tempestività dell’azione (Cass. n. 6428/2014).
[8] L’azione di rivendicazione è, infatti, imprescrittibile, ad eccezione del caso in cui il bene si astato usucapito da altri (art. 948, comma 3, c.c.).
[9] E’ stata, come ulteriore esempio, qualificata come spoglio, l’azione del condomino, senza il consenso degli altri partecipanti, di effettuazione di scavi in profondità del sottosuolo dell’edificio condominiale di proprietà comune, attraendolo così nell’orbita della sua disponibilità esclusiva (Cass. n. 6154/2016).
[10] E si ricordi che lo spoglio violento e clandestino è, invece, soggetto a reintegrazione ex art. 1168 c.c.
[11] Cass. n. 1146/2003.
[12] Quindi, il possessore mobiliare e il detentore mobiliare e immobiliare sono tutelati solo contro lo spoglio violento o clandestino, con l’azione di reintegrazione.
[13] Cass. n. 22174/2012; Cass. n. 2667/2001.
[14] Cass. n. 1494/2013 (cit.);Cass. n. 2433/1986.
[15] Cass. n. 16236/2011; Cass. n. 15381/2000.
[16] Cass. n. 18216/2013.
[17] Infatti, la mera mancata riconsegna del bene al comodante, nonostante le reiterate richieste di questi, a seguito di estinzione del comodato, è inidonea a determinare l’interversione della detenzione in possesso, traducendosi nella inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, suscettibile, in sé, di integrare un’ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale all’obbligo restitutorio gravante per legge sul comodatario (Cass. n. 8213/2016).
[18] A differenza del codice previgente che, invece, richiedeva che il possesso fosse legittimo. L’attuale codice civile richiede la legittimità del possesso soltanto ai fini dell’usucapione e per l’azione di manutenzione.
[19] Cass. n. 13417/2013 ha stabilito che l’azione di reintegrazione è esperibile anche da chi possiede la cosa per mezzo di altra persona alla quale abbia trasferito la detenzione qualificata del bene e può essere esercitata anche nei confronti del detentore che abbia mutato la propria detenzione in possesso.
[20] Si ricorda che l’azione di reintegrazione, ai sensi dell’art. 1168 c.c., si prescrive dopo un anno dall’avvenuto spoglio o dalla sua scoperta. Cfr. F. Galgano, Trattato di diritto civile, vol. I, Padova, 2015, pp. 480-481. Si può, altresì, pensare al doppio spoglio consecutivo. Ad esempio, Tizio spoglia Caio, che si vendica spogliando a sua volta Tizio. Quest’ultimo, che ha subito il contro-spoglio, ha azione di reintegrazione nei confronti di Caio. Ci si chiede, tuttavia, se Caio possa formulare una domanda riconvenzionale di reintegrazione basata sul precedente spoglio da lui subito. Il Sacco dà risposta affermativa sulla base del fatto che Tizio non potrebbe pretendere di conseguire il possesso di una cosa che avrebbe comunque l’obbligo di restituire a seguito di una successiva azione di Caio. Tuttavia, si obietta che Caio, essendo attualmente possessore della cosa, non sarebbe legittimato alla domanda, anche riconvenzionale, di reintegrazione. Caio è esposto all’exceptio doli di Tizio. Cfr. Sacco, Il possesso, Milano, 1988, p. 290 ss.
[21] Prova che, alcune volte, può anche essere ardua.
[22] Cass. n. 4198/2016 ha stabilito che tale eccezione è ammessa solo ove tenda a far valere lo ius possessionis (e, cioè, l’esistenza di un possesso nello spogliatore) e non anche lo ius possidendi (e, cioè, il diritto, in capo al medesimo, di possedere), non potendosi la prova del possesso desumere, dal regime, legale o convenzionale, del corrispondente diritto reale.
Buoansera un quesito
l’azione di reintegro di possesso puo essere esercitata se una persona ha subito uno spoglio violento e clandestino entro l’anno in cui si è reso conto di questo spoglio.
l’azione di manutenzione, i presupposti se non erro sno che chi lo richiede abbia il possesso..
La mia domanda è, come è mai possibile che nello stesso atto venga richiesto in primis la possesoria, e poi sul finale lasciare al giudice nel caso non ritenesse idoneo lo spoglio e quindi la pretesa avanzata del reintegro del possesso , concedere l’azione di manutenzione???
da quanto ho letto sopra, e scritto in chiare lettere che l’azione di manutenzione deve essere chiesta eslcusivamente da chi ha gia il possesso..
inoltre entrambe le azioni , devono essere depositate al tribunale entro un anno dalla prima molestia turbativa o spoglio …senno l’azione non potrebbe essere presentata..giusto??
Grazie per una eventuale risposta
Salve.
Per quanto riguarda il termine prescrizionale, L’azione di reintegrazione si prescrive dopo un anno dall’avvenuto spoglio e, nel caso in cui è clandestino, dal giorno della scoperta dello spoglio (art. 1168, commi 1 e 3). Invece, l’azione di manutenzione si prescrive nel termine di un anno dalle molestie o dallo spoglio. Tuttavia, per quanto riguarda la turbativa, secondo un orientamento della Corte di Cassazione, tale termine decorre dall’avvenuto impedimento od ostacolo nel possesso, non dalla sua conoscenza da parte del possessore.
Le ricordo, inoltre, che l’azione di reintegrazione ha ad oggetto la cosa di cui il possessore sia stato spogliato violentemente od occultamente. L’azione di manutenzione, invece, tutela il possesso dalle molestie o dallo spoglio non violento e non clandestino. Inoltre, l’azione di manutenzione ha ad oggetto solo i beni immobili e le universalità di mobili.
Ancora, Le ricordo che lo spoglio consiste nella privazione totale o parziale del possesso e incide sulla cosa, mentre la molestia incide sul godimento della cosa (turbandolo o impedendolo).
In tutta onestà, bisognerebbe conoscere il caso concreto per coglierne ogni sfumatura e potersi fare un’idea chiara della situazione. Pertanto, Le consiglio di rivolgersi ad un legale di fiducia così che lui possa avere una conoscenza completa del problema.
Buonasera, una domanda, l’onere probatorio di chi presume di essere privato del possesso in prossimità dell’asserito spoglio, come puo essere dimostrato? bastano i sommari infomatori dei ricorrenti che sono in primis parenti, che non abitano nei luoghi, e che vantano di conoscere i resistenti e di aver parlato con loro, facendoli dire le cose che piu gli tornano comodo, per far tornare lo spoglio in data successiva???
Inoltre se in fase di giudizio, vengono cambiati i fatti, per poter spostare la data dell’ipotetico spoglio e far si che non venga accettata la decadenza dell’azione stessa.. è possibile per queste situazioni, vengano influenzate da mere dicerie di chi ha palesemente un interesse in causa ( parente/erede)? che la giustizia italiana si basi su dichiarazioni cosi “leggere” che precludono i diritti degli altri?
saluti
g
Cara Giuditta,
ti ringraziamo innanzitutto per averci contattato. Devo tuttavia comunicarti che il tuo quesito non può essere risolto in un commento e richiede una vera e proprio consulenza legale.
Per riceverla ti consiglio di accedere al nostro servizio qui ==> Consulenza legale
Un caro saluto
Gabriele Voltaggio