Con la sentenza n. 11290 del 09/05/2017, la II sezione civile della Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di ritornare sulla natura giuridica del c.d. “vitalizio alimentare”, riconfermando il proprio consolidato indirizzo interpretativo secondo cui tale figura si differenzierebbe dalla figura tipica di rendita vitalizia, prevista dal nostro Codice civile agli artt. 1872 e seguenti.
Tale decisione costituisce, peraltro, un’occasione per evidenziare brevemente le differenti classificazioni operate da dottrina e giurisprudenza circa le varie figure che presentano analogie con la rendita, nonché per provare ad effettuare un quadro riepilogativo di sintesi.
La riconferma giurisprudenziale della differenza tra “vitalizio alimentare” e rendita vitalizia
Con la decisione in commento il Giudice di legittimità si sofferma ancora una volta sulla natura del “vitalizio alimentare”, che sarebbe quel contratto atipico con il quale “una parte si obbliga, in corrispettivo dell’alienazione di un immobile o della attribuzione di altri beni od utilità[1], a fornire all’altra parte vitto, alloggio ed assistenza, per tutta la durata della vita ed in correlazione ai suoi bisogni”.
Tale figura contrattuale, secondo l’ormai consolidato indirizzo della Suprema Corte[2], si differenzierebbe dal contratto tipico di rendita vitalizia principalmente per tre ordini di ragioni:
1) la differente natura delle prestazioni all’interno delle due figure (solo dare nella rendita vitalizia; dare e facere nel vitalizio alimentare);
2) il carattere “accentuatamente spirituale” delle prestazioni all’interno del vitalizio alimentare (a differenza che nella rendita);
3) la differente alea riscontrabile nelle due figure, senz’altro più marcata nel vitalizio alimentare: in quest’ultimo contratto infatti le esigenze del beneficiario, che dovranno essere soddisfatte dall’obbligato, saranno maggiori e più varie, e dunque non determinabili a priori (ciò a differenza che nella rendita vitalizia, dove l’entità delle prestazioni è predeterminata fin dall’inizio e normalmente invariabile, essendo solo incerto per quanto tempo dovranno essere erogate al beneficiario).
Nel vitalizio alimentare, secondo la Suprema Corte, fondamentale sarebbe il riferimento allo stato di bisogno del vitaliziato, in mancanza del quale (come è accaduto nel caso di specie) non sarebbe possibile ritenere sussistente tale figura contrattuale.
In buona sostanza, il vitalizio alimentare è, a differenza della rendita vitalizia, un contratto fondato sull’intuitus personae, nel quale il vitaliziante è tenuto a tutta una serie di prestazioni non predeterminate né predeterminabili (poiché attinenti, ad esempio, alla salute del beneficiario o, più in generale, alla cura della sua persona da un punto di vista sia materiale che morale).
Dette prestazioni sono dunque, a differenza che nella rendita, di carattere infungibile, il che comporta tutta una serie di conseguenze quali:
- l’intrasmissibilità tra vivi e a causa di morte del credito e, soprattutto, del relativo obbligo;
- l’ineseguibilità in forma specifica ex art. 2932 dell’obbligo di stipulare un vitalizio alimentare nei confronti degli eredi del promissario deceduto;
- l’inoperatività delle prelazioni legali (es. agraria) rispetto all’alienazione del bene immobile dato in corrispettivo per l’obbligo di mantenimento.
Le differenti classificazioni delle figure analoghe alla rendita in dottrina e giurisprudenza
La giurisprudenza ormai consolidata, dunque, è conscia della diversità tra le due suddette figure, ed in ciò aderisce a quella che è l’impostazione dottrinaria prevalente[3].
Va tuttavia notato che il Giudice di legittimità utilizza prevalentemente, per definire la suddetta figura contrattuale, la denominazione di “vitalizio alimentare”[4], mentre secondo la dottrina[5] il vitalizio alimentare corrisponderebbe ad una tipologia differente rispetto a quella fin qui esaminata, che viene invece definita “contratto di mantenimento”.
Più precisamente, secondo la citata dottrina:
– il contratto di mantenimento corrisponderebbe alla figura fin qui esaminata, avente ad oggetto una prestazione infungibile di dare et facere, ad esecuzione continuata, consistente in un’assistenza non solamente materiale, ma anche morale, che sarebbe svincolata, peraltro, dallo stato di bisogno del mantenuto (dovendosi piuttosto assicurare a quest’ultimo un certo tenore di vita) ;
– il vitalizio alimentare, invece, avrebbe ad oggetto la corresponsione, vita natural durante, degli alimenti (intesi come quanto necessario per vivere: cibo, vestiario, alloggio, cure mediche), e avrebbe dunque ad oggetto un’assistenza meramente materiale (e non anche morale), di carattere più limitato di quanto accade nel contratto di mantenimento, rispetto al quale la prestazione è collegata all’insorgenza dello stato di bisogno in capo al beneficiario.
Il vitalizio alimentare non andrebbe poi confuso con la rendita alimentare (figura rientrante invece a pieno titolo nell’alveo della rendita vitalizia, della quale costituisce solo una specie, avendo ad oggetto derrate alimentari anziché somme di denaro).
E neppure con quella del vitalizio assistenziale (che è una figura, diversa dalla rendita vitalizia e creata dall’autonomia contrattuale, avente ad oggetto la sola assistenza morale-spirituale in favore del beneficiario, mentre assente o del tutto marginale sarebbe l’assistenza materiale).
Conclusioni
Volendo provare a tracciare dei punti fermi:
– il contratto di mantenimento (definito dalla giurisprudenza di legittimità come “vitalizio alimentare”) è una figura che si differenzia dalla rendita vitalizia sotto il profilo della prestazione di assistenza, poiché:
– ha ad oggetto una prestazione ad esecuzione continuata (e non periodica come quella della rendita): infatti nella rendita vitalizia la prestazione è sempre la medesima e viene erogata a scadenza fissa, mentre nel mantenimento le prestazioni vengono erogate a seconda delle esigenze del beneficiario, senza scadenze fisse e senza soluzione di continuità;
– è un contratto fondato sull’intuitus personae, poiché ha ad oggetto una prestazione di carattere infungibile, comprendente un’assistenza di carattere sia materiale (cibo, vitto, alloggio, spese mediche ecc.) che morale (es. compagnia).
Di conseguenza: il credito di mantenimento non può essere ceduto e il relativo debito non si trasmette nè tra vivi né a causa di morte.
L’obbligo di stipulare un contratto di mantenimento, derivante da preliminare, non si trasmette agli eredi del promissario deceduto.
Rispetto all’alienazione di immobile prevista come corrispettivo per l’obbligo di mantenimento, non operano le prelazioni legali.
– Per quanto si è detto, il mantenimento presenta, rispetto alla rendita, un’alea più accentuata poiché le prestazioni sono indeterminabili non solo rispetto alla durata complessiva (correlata alla vita del vitaliziato), ma anche rispetto alla loro qualità e quantità (correlate alle esigenze del beneficiario e variabili in relazione alla sua situazione, alle sue condizioni di salute ecc.).
Per il resto, il contratto di mantenimento presenta anche alcune affinità con la rendita (tra cui la possibilità di prevedere, come corrispettivo, l’alienazione di un immobile o di un capitale), il che comporta l’applicabilità al primo, in via analogica, delle norme codicistiche sulla rendita vitalizia, seppur nei limiti di compatibilità (ad esempio, stante l’infungibilità delle prestazioni, la cui mancanza non potrebbe essere supplita da un’esecuzione coattiva sul patrimonio dell’obbligato, viene esclusa l’applicabilità al contratto di mantenimento dell’art. 1878 c.c., e dunque, in caso di inadempimento della prestazione di mantenimento, troverà applicazione il normale rimedio della risoluzione per inadempimento[6]).
– Il vitalizio alimentare vero e proprio, viene distinto in dottrina dal contratto di mantenimento per la diversa tipologia di assistenza: nel mantenimento sarebbe infatti un’assistenza sia materiale che morale, mentre nel vitalizio alimentare si limiterebbe ad un’assistenza solamente materiale, consistente nella prestazione degli alimenti (intesi come quanto necessario per vivere: cibo, vestiario, alloggio, cure mediche).
Inoltre, mentre nel vitalizio alimentare la prestazione – trattandosi di alimenti – è collegata allo stato di bisogno ed è soggetta dunque al principio di mutabilità di cui all’art. 440 c.c. (potendo essa venir meno o variare in relazione al venir meno o al variare dello stato di bisogno del beneficiario), nel contratto di mantenimento, invece, sarebbe avulsa da tale elemento[7], e l’assistenza dovrà essere prestata in modo continuativo in relazione alle esigenze del beneficiario.
Ciò si spiega considerando che mentre nel vitalizio alimentare deve essere assicurato al beneficiario solamente quanto necessario per vivere, nel mantenimento, invece, gli deve essere assicurato un certo tenore di vita, adeguato a quella che è la sua posizione sociale al momento della conclusione del contratto[8].
Chiaramente il vitalizio alimentare è, al pari del contratto di mantenimento, una figura distinta dalla rendita vitalizia (la quale ha ad oggetto una prestazione fissa e indifferente allo stato di bisogno del vitaliziato, soggetta, a differenza che nel vitalizio alimentare, al principio nominalistico e insuscettibile di rivalutazione salvo diversa previsione delle parti).
– non rientra nell’alveo della rendita vitalizia nemmeno il c.d. “vitalizio assistenziale”, caratterizzato dalla prestazione di un’assistenza solamente morale al beneficiario (mentre l’assistenza materiale è inesistente o del tutto marginale)[9];
– la “rendita alimentare” rappresenta invece un tipo di rendita vitalizia, in cui l’oggetto è costituito da derrate alimentari intese come cose fungibili[10].
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[1] Ma non è escluso che il contratto in questione venga configurato come a titolo gratuito – n.d.r.
[2] Già espresso, ex plurimis, in Cassaz. civ., sez. II, n. 8209/2016; Cassaz. civ., sez. II, n. 15848/2011; Cassaz. civ., sez. II, n. 10859/2010; Cassaz. civ., sez. III, n. 6395/2004.
[3] CIAN – TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile – XI ediz., Padova, 2014, 2060 ss.; RUOTOLO, Studio n. 1773 del Consiglio Nazionale del Notariato, “Contratto di mantenimento e comunione legale”, approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 18 novembre 1997; MARINI, La rendita perpetua e la rendita vitalizia, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, 13, Torino, 1982, 34 ss.; VALSECCHI – La rendita perpetua e la rendita vitalizia, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1961, 193 ss.
[4] Ciò fa, ad esempio, nella decisione in commento, oppure in Cassaz. civ., sez. II, n. 8209/2016, Cassaz. civ., sez. II, n. 10859/2010, Cassaz. civ., sez. III, n. 6395/2004, e Cassaz. civ., sez. II, n.7033/2000; in altre decisioni, come ad esempio in Cassaz. civ., sez. II, n.22009/2016 e Cassaz. civ., sez. II, n. 15848/2011, invece, si utilizzano indifferentemente le espressioni “vitalizio alimentare” e “contratto di mantenimento”.
[5] CIAN – TRABUCCHI, op. cit.; RUOTOLO, op. cit.
[6] In tal senso Cassaz. civ., sez. III, n. 6395/2004; Cassaz. civ., S.U., n. 8432/1990.
[7] Sebbene tale punto sia discusso: in senso favorevole v. RUOTOLO, op. cit., e CIAN – TRABUCCHI, op. cit.; in senso contrario è la decisione in commento della Cassazione, come si è visto.
[8] CIAN – TRABUCCHI, op. cit.
[9] CIAN – TRABUCCHI, op. cit.
[10] ibidem