Cortile condominiale: definizione tra giurisprudenza e dottrina

1. Cass. 2352/2017: la massima2. Definizione di cortile e brevi accenni critici sul concetto unitario di cortile, avallato dalla giurisprudenza di legittimità3. Parti comuni ed onere probatorio4. Il fatto5. Il cortile nel particolare caso della sentenza n. 2532/2017 della Corte di Cassazione

1. Cass. 2532/2017: la massima

“Il cortile condominiale identifica l’area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di uno o più edifici ed assolve alla funzione di dare luce ed aria agli ambienti circostanti; secondo un’accezione più generica il cortile comprende, invece, anche gli spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell’edificio, quali: gli spazi verdi; le zone di rispetto; le intercapedini; ed, infine, i parcheggi”.

2. Definizione di cortile condominiale e brevi accenni critici sul concetto unitario di cortile, avallato dalla giurisprudenza di legittimità

Il cortile rientra nel novero delle parti comuni, indicate dall’art. 1117 c.c. e descrive lo spazio scoperto, circondato dai corpi di fabbrica di uno o più edifici, che oltre a dare aria e luce, consente l’accesso alla via pubblica.

Il termine cortile viene spesso usato in modo generico nella prassi, ricomprendendo al suo interno anche figure affini, quali: le chiostrine; le intercapedini; ed, infine, i giardini.

Le chiostrine sono cortili interni destinati a dare aria e luce a determinati piani o porzioni di piano, attribuite per titolo in proprietà esclusiva ai proprietari dei piani superiori (Cass. 11435/1993).

Costituiscono, invece, le intercapedini, quelle zone di rispetto tra diversi edifici prescritte per esigenze di contemperamento di interessi contrapporti dei proprietari vicini, quali: l’igiene e la sicurezza pubblica/privata (Cass. 3380/1977).

I giardini svolgono invece le seguenti funzioni: fornire aria e luce alle finestre che si affacciano sullo stesso; ed, infine, concorrere al decoro architettonico dell’edificio comunale.

Tutto ciò premesso evidenzia come il concetto di cortile mal tollera una commistione ontologica e terminologica con altri istituti, seppur affini; però la nozione tautologica di cortile non è disdegnata dalla giurisprudenza di legittimità.

La Corte di Cassazione con sentenza 16241/2003, ha difatti, aderito all’orientamento maggioritario, che recepisce una nozione unitaria di cortile, comprendente le chiostrine, le intercapedini ed i giardini.

Il suddetto indirizzo seppur più agevole per la risoluzione dei casi giudiziari, reca con sé determinate conseguenze, di certo non trascurabili.

Con riferimento alle chiostrine si rileva che queste fin dai lontani anni 90 sono sempre state considerate dalla giurisprudenza come oggetto di proprietà esclusiva di determinati proprietari di un piano; mentre adesso godono di una presunzione di comunione che grava su tutti i condomini, in quanto annoverate quali parti comuni.

Considerevoli sono le differenze tra un bene in regime di proprietà esclusiva o di comunione dal punto di vista delle regole per la sua amministrazione, utilizzazione e ripartizione delle spese.

Un po’ di leggerezza si evince anche dal ricomprendere le intercapedini all’interno del cortile. Le esigenze di igiene e di sicurezza pubblica/privata, proprie delle intercapedini, non corrispondono affatto alle funzioni di dare aria e luce, svolte invece dal cortile.

Per analogia al ragionamento di cui sopra potremmo ricomprendere le vedute all’interno delle distanze, seppur tale accorpamento rende futili le loro differenze funzionali.

3. Parti comuni ed onere probatorio

La Legge n. 220/2012 ha modificato in gran parte la disciplina delle parti comuni, non solo ampliando l’art. 1117 c.c. ma ha anche introdotto nuovi articoli nel codice civile, quali: 1117 bis; 1117 ter; ed, infine, 1117 quater.

L’art. 1117 c.c. individua nell’edificio in condominio due distinti insiemi di beni:

  • le unità immobiliari in proprietà esclusiva
  • le res condominiali

L’elenco dei beni condominiali, contenuto nell’art. 1117 c.c. non è tassativo (Cass. 18344/2015. Per ulteriori approfondimenti sul punto vedi anche il commento a Cass. 133/2017).

Un bene, infatti, anche se non ricompreso nel predetto elenco può avere natura condominiale attraverso la presenza di due condizioni:

  • la funzione dell’utilità comune ugualmente fornita (ex multis Cass. 5324/2016)
  • l’esistenza di una relazione di accessorietà tra i beni, gli impianti od i servizi comuni (Cass. 27145/2007).

I beni, descritti nell’elenco dell’art. 1117 c.c., possono essere anche oggetto di titolarità esclusiva attraverso la sussistenza di un titolo contrario, quale un accordo tra tutti gli aventi diritto di natura contrattuale.

L’esistenza di questo titolo contrario sul bene, indicato dall’art. 1117 c.c., deve essere, però, dedotta e dimostrata dal condomino che vanti la proprietà esclusiva del bene, potendosi a tal fine utilizzare il titolo salvo che si tratti di un acquisto a titolo originario solo se da esso si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione.

La natura esclusiva o condominiale di un bene rientrante nel novero dell’art. 1117 è rilevante per ripartizione delle spese.

Le parti comuni dell’art. 1117 c.c. sono soggette ad uno schema generale di ripartizione delle spese tra i condomini, disciplinato dall’art. 1123 c.c.; mentre le scale e l’ascensore dall’art. 1124 c.c.; i soffitti dall’art. 1125 c.c.; ed, infine, i lastrici solari, ai sensi dell’art. 1126 c.c..

Tutto ciò evidenza come tra l’art. 1123 c.c. e gli articoli 1124, 1125 e 1126 c.c. esista un rapporto di genere a specie.

4. Il fatto

A.A. compravendeva da Ge.Id., con atto notarile, un appartamento insieme ai relativi diritti di comproprietà sulle parti comuni comprese le aree scoperte.

Successivamente A.A. interpellava l’amministratore del condominio sui criteri di utilizzazione delle aree scoperte, in quanto erano occupate da autovetture in sosta; A.A. apprendeva, pertanto, che condomini avevano locato la predetta area a F.R..

A.A. esponeva criticamente questa situazione ai condomini locatori dell’area scoperta, i quali sostenevano di esserne proprietari e replicavano, inoltre, che A.A. non avesse alcun diritto su tale area.

A.A. citava i suddetti condomini di fronte il Tribunale di Napoli per sentire accogliere le seguenti domande: declaratoria di nullità ed inefficacia del contratto di locazione delle aree scoperte in quanto era stato stipulato senza il consenso di Ge.Id., ex-comproprietaria dell’area comune; condanna di F.R., quale conduttore, al rilascio dell’area; ed, infine, risarcimenti sia nei confronti di F.R. per danno dell’uso del bene comune e sia nei confronti degli altri condomini per il danno per illecita disposizione del bene.

Alcuni dei condomini costituiti in giudizio chiedevano il rigetto della domanda attorea. Il Tribunale di Napoli con sentenza n. 7454/2004 respingeva la domanda di A.A. e lo condannava al pagamento delle spese di giudizio.

All’orientamento del giudice di prime cure si uniformava anche la Corte di Appello di Napoli, la quale con sentenza n. 2537/2011 rigettava il gravame con condanna alle spese del relativo giudizio.

A sostegno di questa decisione la Corte di Appello rilevava che la domanda di A.A. fosse carente dal punto di vista probatorio, poiché con riferimento alla condanna al risarcimento dei danni per l’uso della cosa A.A. non aveva dimostrato di essere comproprietario.

A.A. ricorreva in cassazione con tre motivi; con il primo lamentava che la Corte avrebbe dovuto rimettere la causa di fronte al Tribunale, poiché il contraddittorio non era stato instaurato in modo regolare, considerata l’assenza di alcuni condomini e dell’amministratore.

Con il secondo sosteneva che la Corte di Appello nell’aver considerato l’area scoperta destinata a verde non rientrante nel novero dell’art. 1117 c.c. non avesse fatto buon governo dell’orientamento giurisprudenziale che ricomprende nel termine cortile gli spazi esterni al fabbricato.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 2532/2017 rigettava il primo motivo del ricorso, rilevando che in un giudizio per l’accertamento della natura condominiale di un bene, occorre estendere il contraddittorio agli altri condomini, solo nell’eventualità in cui il convenuto con apposita domanda riconvenzionale vanti la proprietà esclusiva su quel bene.

Accoglieva, invece il secondo motivo, statuendo che il cortile rientra nelle parti comuni; e che, perciò, è soggetto ad una presunzione legale di comunione, che può essere superata solo dalla prova di un titolo contrario.

Quest’onere probatorio non era stato assolto dalle parti resistenti perciò la Corte di Cassazione ha dovuto rinviare la causa ad un’altra sezione della Corte di Appello di Napoli.

5. Il cortile nel particolare caso della sentenza n. 2532/2017 della Corte di Cassazione

A.A. attore già in primo grado e ricorrente nel giudizio dinanzi la Corte di Cassazione rileva che le aree scoperte, locate dagli altri condomini, rientravano nell’elenco delle cose comuni dell’art. 1117 c.c., ciò comportava che questi ultimi avrebbero dovuto dimostrare l’esistenza di una proprietà esclusiva su quelle aree per locarle.

La Corte di Cassazione accoglie questo motivo del ricorso, sostenendo appunto che le aree scoperte di un condominio sono parti comuni, ai sensi dell’art. 1117 c.c. e che quindi si trovano in regime di comunione.

Facendo buon governo di tale tesi la Corte di Cassazione rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli, in quanto tale corte distrettuale non aveva accertato l’eventuale sussistenza di un titolo contrario che escludesse la natura condominiale delle aree scoperte, locate da alcuni condomini a terzi.

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