La recente sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, n. 3608 del 4 ottobre 2024, ha suscitato un grande dibattito sul tema del consenso informato in ambito sanitario, in particolare in relazione all’interruzione volontaria di gravidanza. Il giudice ha rigettato la domanda di risarcimento presentata da una donna che sosteneva di non essere stata informata tempestivamente del suo stato di gravidanza da parte della struttura sanitaria. La sentenza ha sottolineato l’importanza della prova della volontà abortiva e ha escluso che la precedente interruzione di gravidanza e l’intervento di sterilizzazione tubarica potessero costituire presunzioni sufficienti. Questo articolo mira ad analizzare i dettagli del caso, la decisione del tribunale, le sue implicazioni sul consenso informato e sui diritti delle pazienti.
Il Caso
Nel caso in esame, una donna, madre di quattro figli, si è rivolta al Tribunale di S. Maria Capua Vetere chiedendo il risarcimento dei danni per violazione del consenso informato. L’attrice sosteneva che durante un intervento di sterilizzazione tubarica, effettuato nell’agosto del 2018, non fosse stata informata della sua gravidanza in corso, emersa durante gli esami pre-operatori. La struttura sanitaria, pur avendo acquisito conoscenza della gravidanza, non comunicò l’informazione né alla donna né al marito.
Dopo mesi di perdite ematiche lievi e un controllo ambulatoriale a dicembre 2018, la donna venne a conoscenza della gravidanza, ormai giunta al quinto mese. Sostenendo che, se informata tempestivamente, avrebbe potuto decidere di interrompere la gravidanza, l’attrice lamentava di non aver potuto esercitare il proprio diritto di scelta, costringendola così a portare a termine una gravidanza indesiderata.
La difesa della struttura sanitaria ha contestato le affermazioni dell’attrice, sostenendo che ella avesse avuto notizia della gravidanza già nel settembre 2018 e che avesse trascurato i segnali di una gravidanza, come l’assenza di cicli mestruali regolari.
La decisione del Tribunale
Il Tribunale ha ritenuto infondata la domanda risarcitoria della donna, decidendo di compensare le spese di lite. Il giudice ha riconosciuto che la struttura sanitaria non avesse informato la donna della gravidanza, ma ha sottolineato che l’attrice non ha dimostrato di aver realmente intenzione di abortire se informata.
Secondo il tribunale, né l’aborto precedente né la decisione di sottoporsi a sterilizzazione tubarica costituivano presunzioni sufficienti per dimostrare una volontà abortiva. Infatti, il giudice ha osservato che la decisione di interrompere una gravidanza è una scelta complessa, influenzata da molteplici fattori personali, e che l’attrice non aveva fornito prove concrete della sua intenzione di abortire in caso di conoscenza anticipata della gravidanza.
L’analisi della sentenza pone in evidenza l’importanza della prova della volontà abortiva. La mancanza di un legame diretto tra la gravidanza non comunicata e l’effettiva decisione di abortire ha portato alla conclusione che, pur in presenza di una violazione del consenso informato, non vi fossero elementi sufficienti a giustificare il risarcimento richiesto.
Considerazioni giuridiche sul caso
La sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere si inserisce in un contesto giuridico complesso, dove il consenso informato gioca un ruolo cruciale nelle relazioni tra pazienti e strutture sanitarie. Secondo l’art. 1 della Legge n. 219/2017, il consenso deve essere informato e il paziente ha diritto a essere messo in condizione di prendere decisioni consapevoli riguardo alla propria salute. Tuttavia, nel caso in esame, il giudice ha chiarito che la mera omissione dell’informazione non giustifica automaticamente un risarcimento se non è provata la volontà di intraprendere un’azione specifica, come l’aborto.
Le implicazioni della sentenza riguardano non solo le modalità di comunicazione tra medici e pazienti, ma anche il modo in cui si devono valutare le prove di una volontà abortiva. La decisione della donna di sottoporsi a sterilizzazione tubarica, pur indicativa di un desiderio di non avere ulteriori figli, non è stata sufficiente a dimostrare la volontà di abortire nel caso specifico.
Conclusioni
La sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, n. 3608 del 4 ottobre 2024, offre molti spunti significativi per una riflessione più ampia sulle dinamiche del consenso informato in ambito sanitario e sulla protezione dei diritti delle donne in situazioni delicate come quella dell’interruzione di gravidanza. Sebbene la struttura sanitaria abbia violato l’obbligo di informazione, la mancanza di prove sufficienti della volontà abortiva ha portato al rigetto della domanda risarcitoria.
Questa decisione sottolinea l’importanza di un approccio rigoroso nella valutazione delle prove e nella definizione del consenso informato. Le donne devono essere messe in condizione di prendere decisioni consapevoli e libere riguardo alla loro salute riproduttiva, e ciò richiede una comunicazione chiara e tempestiva da parte delle strutture sanitarie. La sentenza, pur nella sua severità, invita a una riflessione profonda sul ruolo del medico, della paziente e dei diritti che ne derivano, ponendo l’accento sull’importanza di una consapevolezza condivisa nei percorsi di cura.
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https://giuricivile.it/consenso-informato-la-sentenza-n-3608-2024-del-tribunale-di-s-maria-capua-vetere/
Egregio Direttore, mi consenta una replica all’articolo di Maria Federica Santoli, dell’11 novembre scorso, pubblicato su Giuricivile- Rassegna di diritto e giurisprudenza civile, rileva il dibattito che si è sollevato a proposito di consenso informato dopo la pubblicazione della sentenza n. 3608/2024 del Tribunale di S. Maria Capua Vetere.
Il giudice non ha riconosciuto il diritto al risarcimento a una donna che, in occasione dell’intervento subito per la legatura delle tube, non era stata avvisata di una gravidanza in corso. Se ne è accorta quando era ormai al quinto mese e non ha quindi potuto abortire. A quanto pare la sentenza è di primo grado, quindi può anche darsi che la Cassazione riconosca anche in questo caso il danno per la nascita di un figlio non voluto. Ma intanto il giudice di merito ha sottolineato che la donna non ha provato di aver espresso la volontà di abortire, al momento dell’intervento, e tale volontà evidentemente non può essere presunta.
Ci sembra consolante questa ultima notazione: se una donna è incinta si presume (ancora) la naturale volontà di avere un figlio.
A proposito di consenso informato, però, ci sembra corretto ampliare il dibattito in corso: alle donne che chiedono di abortire viene spiegato in modo completo, veritiero e corretto che nel suo grembo c’è un essere vivente appartenente alla specie umana? Viene spiegato in modo completo, veritiero e corretto che l’aborto chirurgico, e ancor più quello chimico, può comportare una serie di effetti collaterali e avversi sulla sua salute fisica? Viene spiegato in modo completo, veritiero e corretto che in ogni caso l’aborto comporta effetti collaterali e/o avversi sulla salute psichica delle donne?
Si tratta di dati di realtà comprovati da abbondante letteratura scientifica che però viene ideologicamente e pervicacemente ignorata, a discapito della salute sessuale e riproduttiva delle donne. Perché? Ma soprattutto: come può la “scelta” essere libera se non è consapevole?
Prof. Francesca Romana Poleggi
Per Comitato “ Pro-life insieme “
http://www.prolifeinsieme.it
Egregio Direttore,
Mi consenta un commento all’articolo ( https://giuricivile.it/consenso-informato-la-sentenza-n-3608-2024-del-tribunale-di-s-maria-capua-vetere/ ) in relazione alla recente sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere, n.3608 del 4 ottobre 2024, con la quale è stata respinta la domanda di risarcimento di parte attrice ( una donna sottoposta ad intervento alle tube nell’agosto 2018) per l’asserita omissione nel cosiddetto “consenso informato” del suo stato di gravidanza, è necessario preliminarmente ribadire, anche se è un dato banale, che tutti gli ordinamenti giuridici presuppongono, dal punto di vista ontologico- pur con alcune eccezioni come l’aborto, tra l’altro in contrasto con il divieto di uccidere promanante dalla Legge morale naturale – la difesa del gruppo sociale per il benessere delle persone, finalizzato alla perpetuazione delle generazioni, ed è parimenti utile rammentare che, nella previsione legislativa, il sintagma “consenso informato”, oltre alla necessaria illustrazione dei rischi e benefici dell’intervento, esprime dal punto di vista della norma penale una causa di giustificazione per i chirurghi i quali, senza consenso dell’avente diritto (paziente che si sottopone ad intervento) commetterebbero reati violenti contro la persona ( lesioni ) con i conseguenti risarcimenti per le “ferite” inferte al paziente durante l’intervento.
Il “consenso informato” non è una parola “talismano” utilizzabile in modo pretestuoso al di fuori della volontà del Legislatore che mira alla tutela della persona, sia dal punto di vista penalistico sia per la conoscenza – anche se normalmente sussiste l’ inevitabile problema di un “velo di ignoranza” che non permette la conoscibilità del sapere medico- e dunque per avere le informazioni necessarie al fine di prendere “decisioni” per la propria salute in ossequio alla garanzia costituzionale (art. 32 Cost.)
La gravidanza non è una malattia
E’ palmare che la gravidanza non sia da considerare in generale “una malattia”, come del resto risulta nel caso specifico che questa condizione per la valutazione dei medici non costituisse un pericolo per la donna; oltre a ciò va rilevato che-secondo quanto riportato dai documenti processuali- la paziente che ha proposto la causa per risarcimento danni ” per non essere stata informata tempestivamente del suo stato di gravidanza da parte della struttura sanitaria, era a conoscenza della gravidanza come risulta dalla ricostruzione (ndr.articolo su Giuricivile del giorno 11 novembre 2024,Maria Federica Santoli) in cui si attesta “che la donna avesse gia’ avuto notizia della gravidanza dal settembre 2018 e quindi in tempi utili per ogni decisione”. Il Giudice competente dunque ha chiarito che ” la mera omissione dell’informazione” su un aspetto a giudizio dei medici non pregiudizievole per la salute della donna, non giustifica un risarcimento, anche perché non è stata dimostrata la volontà di abortire nel caso specifico competente abbia rigettato la domanda.
Per Comitato “ Pro-life insieme “
Dottor Ruggero Valori
Giurista cattolico