Il Processo Civile Telematico (PCT) è attivo ormai da oltre dieci anni e continua ad essere aggiornato nel tempo, da ultimo con le nuove specifiche tecniche in vigore dal 30 settembre 2024. È innegabile che il PCT abbia contribuito a migliorare la produttività di ogni avvocato, facilitando soprattutto le operazioni di deposito e di consultazione dei fascicoli giudiziali e facendo risparmiare tempo ed energie ad ogni operatore del diritto. D’altra parte, parliamo pur sempre di una procedura digitale che cela spesso insidie e criticità e che negli anni ha indotto in errori, soprattutto materiali, molti Colleghi.
Che succede se l’avvocato non ha dimestichezza con il PCT e commette un errore di deposito? Quali sono le conseguenze nel caso in cui venga depositato un atto in un fascicolo errato? A quali conseguenze va incontro l’avvocato che depositi una seconda comparsa di risposta, nonostante ne abbia già depositata una prima?
Mi chiamo Gabriele Voltaggio, sono un avvocato di Roma e questa è una raccolta di giurisprudenza utile e pratica sul PCT e, in particolare, sugli errori materiali di deposito telematico più frequenti (e sulle conseguenze che ne derivano) che ho preparato per tutti i Colleghi avvocati e per i professionisti del settore, per aiutarli ad orientarsi e comprendere cosa fare per evitare di incorrere in vizi compromettenti.
La scarsa esperienza nell’uso dello strumento
In primo luogo, la scarsa esperienza e la poca dimestichezza nell’uso degli strumenti digitali e, in particolare, quelli applicativi riguardanti il deposito PCT, non costituisce errore giustificabile ed incolpevole per l’avvocato.
È infatti, in ogni caso, onere della parte che non sia dotata della perizia necessaria e delle dotazioni informatiche indispensabili per visionare il documento inviato dall’ufficio giudiziario in formato pdf, prendere tempestiva cognizione del provvedimento stesso custodito presso la relativa Cancelleria.
In tali ipotesi, pertanto, la parte non può essere rimessa in termini al fine di provvedere all’adempimento posto a suo carico dall’organo giudicante e contenuto nel documento non visionato (Tribunale Firenze, Sez. III, 19/02/2015, n. 542).
Deposito eseguito ad un indirizzo PEC non più attivo
Il deposito telematico viene eseguito normalmente con software che impostano automaticamente la PEC dell’ufficio giudiziario destinatario del deposito.
Può accadere tuttavia che il deposito telematico di un atto venga effettuato ad un indirizzo, generato automaticamente dal software utilizzato dall’avvocato, non più attivo perché sostituito da altro. Nel caso in esame, il sistema aveva peraltro generato una RdAC formalmente regolare.
Ebbene, secondo la Cassazione, l’errore nel deposito telematico dell’atto – eseguito ad un indirizzo PEC non più attivo – deve ritenersi scusabile se è provocato da un software e l’utente non è in grado di prevenirlo o intercettarlo con l’ordinaria diligenza esigibile da un individuo medio, non potendosi pretendere un grado di competenza tecnica specialistica in un settore ancora connotato da forte tecnicismo e difficile intuizione delle relative modalità di funzionamento (Cass. civ., Sez. III, Ordinanza, 13/06/2024, n. 16552)
Deposito eseguito con indicazione errata dell’RG nell’atto
Se ad essere errato è solo il numero di ruolo inserito nell’intestazione e l’atto sia stato depositato nel fascicolo corretto, laddove la cancelleria rifiuti il deposito, l’avvocato depositante può richiedere la rimessione in termini: l‘errore materiale riguardante il numero di R.G. del procedimento è infatti “banale” e rimediabile facilmente dalla cancelleria (peraltro, nel caso in esame, nell’ambito di un Ufficio a sezione civile unica) (Trib. Pescara, ord. 2 ottobre 2015).
Deposito eseguito nel fascicolo telematico errato
La Corte di legittimità ha recentemente affrontato un caso in cui il ricorrente in Cassazione aveva depositato tempestivamente il deposito telematico della memoria illustrativa in vista dell’adunanza in camera di consiglio (v. art. 380 bis.1, comma 1, c.p.c.) ma indicando in fase di inserimento dei dati necessari per la predisposizione del deposito telematico (mediante il software di “redazione atti” utilizzato) il numero di RG errato.
La memoria confluiva così all’interno di un fascicolo informatico diverso da quello pertinente, relativo ad altra controversia pendente presso la medesima sezione della
Corte. Il deposito telematico errato superava, dunque, i controlli previsti dal sistema informatico ministeriale e veniva accettato dalla cancelleria (ma inserito nel fascicolo informatico di altro giudizio). Accortosi dell’errore, il ricorrente aveva provveduto ad effettuare, a termini ormai scaduti, un secondo deposito, formulando contestuale istanza di rimessione in termini.
Ebbene, la Cassazione, ha qualificato il vizio alla stregua di una mera irregolarità,
sul duplice presupposto che manca una espressa comminatoria di nullità del vizio in questione e che può dirsi in concreto raggiunto lo scopo del deposito (telematico), identificabile nella presa di contatto tra parti e ufficio giudiziario e nella possibilità che l’atto risulti consultabile dalle controparti, una volta che sia stato inserito nei registri informatizzati dell’ufficio, a seguito della generazione della c.d. “ricevuta di avvenuta consegna” del deposito (da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia).
Nonostante l’imperfezione del deposito telematico, la memoria tardivamente pervenuta nel fascicolo informatico di causa è stata dunque ritenuta ammissibile (Cass. Civ., 6 maggio 2024, n. 12090).
Indicazione RG errato sia nell’atto che nel deposito
In materia di processo civile telematico, il deposito di un atto, con modalità telematica, con l’indicazione di un numero di ruolo errato nell’intestazione, con errore ripetuto anche nella predisposizione del deposito telematico, deve configurarsi come errore “ERROR” e quindi come “anomalia bloccante, ma lasciata alla determinazione dell’ufficio ricevente, che può decidere di intervenire forzando l’accettazione o rifiutando il deposito“.
Uno dei casi in cui l’accettazione del deposito telematico non è possibile, non conoscendo la cancelleria il fascicolo corretto in cui inserire l’atto.
Ne consegue che, in tale ipotesi, la cancelleria non è tenuta a forzare l’accettazione del deposito, potendo limitarsi a rifiutare il deposito e a comunicarne l’esito negativo. Laddove, per l’effetto della indicazione di un numero di ruolo errato, il difensore incorra dunque in decadenza rispetto al termine perentorio fissato, non è ammissibile la rimessione in termini ex art. 153 c.p.c. (Tribunale Torino, Sez. VII, Ordinanza, 10/04/2016).
Deposito eseguito in un registro di cancelleria errato
Laddove l’avvocato esegua un deposito telematico presso un registro di cancelleria diverso da quello pertinente (nei casi di specie, volontaria giurisdizione anziché affari contenziosi, nel primo caso e contenzioso anziché lavoro nella seconda ipotesi), l’istanza di rimessione in termini formulata dal depositante deve essere accolta.
Secondo la Cassazione l’errore che affligge il deposito integra infatti una mera irregolarità, difettando una espressa comminatoria di nullità e potendo comunque dirsi raggiunto
lo scopo dell’attività di deposito (consistente nella presa di contatto tra parte e ufficio giudiziario e nella conoscibilità dell’atto ad opera delle controparti e del giudice) una volta che l’atto depositato sia stato comunque inserito nei registri informatizzati dell’ufficio giudiziario (Cass. 12 maggio 2022, n. 15243; Cass. 24 ottobre 2022, n. 31371).
Deposito di una seconda comparsa di risposta
Cosa accade se un avvocato provveda al deposito di una comparsa di risposta e, successivamente, ritenendo di voler inserire una domanda riconvenzionale (o una citazione di terzo) non formulata nella prima comparsa, provveda a farlo depositando una seconda comparsa completa, nei termini previsti dall’art. 167 c.p.c.?
Secondo la Cassazione, la condotta del convenuto non lederebbe il diritto di difesa dell’attore, il quale ha un riferimento temporale specifico ancorato al termine di cui all’art. 167 c.p.c., decorso il quale la parte attrice può nutrire un pieno affidamento in ordine all’operatività delle preclusioni dalla norma medesima previste.
Il diritto di reazione difensiva attoreo, del resto, trova piena facoltà di esercizio sia in sede di udienza di prima comparizione (articolo 183 c.p.c., comma 5) sia – seppur più limitato-nelle successive memorie (articolo 183 c.p.c., comma 6), da ciò derivando che l’eventuale deposito di una seconda comparsa di costituzione e risposta (nella quale sia inserita, a differenza della prima, una domanda riconvenzionale o una chiamata in causa di terzo) in nulla compromette le facoltà difensive e non arreca alcun vulnus all’affidamento della parte attrice.
Il deposito di una seconda comparsa di risposta – ad opera del medesimo difensore o del nuovo difensore eventualmente subentrato al primo – è quindi ammissibile, purché il deposito medesimo sia avvenuto nel rispetto del termine di cui all’articolo 167 c.p.c. e salvi i casi in cui sia ravvisabile uno specifico abuso dello strumento processuale, non potendosi ravvisare una consumazione del potere di difesa della parte convenuta sino al momento del maturarsi della barriera preclusiva di cui all’articolo 167 c.p.c. (Cass. Civ., Sentenza, 2 settembre 2022, n. 25934).
Mancata allegazione nel deposito di documenti citati nell’atto
Altro caso affrontato è quello di un avvocato che, depositata la memoria istruttoria ex art. 183, comma VI, numero 2 c.p.c., aveva omesso di allegare al deposito alcuni documenti citati all’interno dell’atto e nell’elenco dei documenti posto in calce a quest’ultimo.
Secondo il Collega, l’omesso inserimento di tale documentazione nel fascicolo informatico non poteva essere a lui imputabile, bensì da ascrivere alla Cancelleria e al giudice del Tribunale, rappresentando l’effetto di un mancato controllo formale ad opera dell’addetto alla ricezione dell’atto giudiziario. A suo dire, infatti, accettando l’atto, il funzionario aveva certificato la produzione di documenti in realtà non contenuti nel fascicolo informatico, così violando l’art. 74 disp. att. c.p.c..
La Corte d’Appello ha tuttavia ritenuto tale errore materiale imputabile all’avvocato. La modalità telematica comporta infatti che la produzione e trasmissione telematica dei documenti lasci sempre una traccia nel fascicolo telematico, senza bisogno di intervento alcuno da parte del Cancelliere. Lo stesso, non dovendo più garantire la conformità tra quanto prodotto e quanto esistente nel fascicolo processuale, non è dunque più tenuto a verificare l’afflusso di allegati all’atto difensivo e, al contempo, viene rafforzato il dovere di autoresponsabilità dell’avvocato, il quale ha l’onere di verificare la completezza del proprio fascicolo e la regolarità del deposito di atti e documenti. Accertata l’infondatezza della pretesa, la Corte ha dunque rigettato la richiesta di acquisire i documenti in questione per la prima volta in appello (Corte d’Appello di Palermo, sentenza n. 1774/2021).