Convalida dell’obbligazione da parte del debitore principale: si estende anche alla garanzia fideiussoria?

La questione

Ai sensi dell’art. 1939 c.c., “la fideiussione non è valida se non è valida l’obbligazione principale, salvo che sia prestata per un’obbligazione assunta da un incapace”.
La questione da affrontare è se, nel caso in cui l’obbligazione principale (annullabile) venga convalidata, debba intendersi automaticamente convalidata anche la fideiussione.
Un simile effetto estensivo dell’obbligazione principale nei confronti dell’obbligazione di garanzia, è prevista in materia di ipoteca: ai sensi dell’art. 2824 c.c, “l’iscrizione di ipoteca eseguita in virtù di un titolo annullabile rimane convalidata con la convalida del titolo”.
Ebbene, il suddetto effetto, mentre nel caso dell’ipoteca è espressamente previsto dalla legge, nel caso della fideiussione non trova un’espressa disciplina.

Argomenti a favore dell’effetto estensivo della convalida

Ai sensi dell’art. 1197 comma 3 c.c., quando il debitore, anziché eseguire la prestazione dedotta in contratto, ne esegue un’altra (con il consenso del creditore), “non rivivono le garanzie prestate dai terzi”.
La garanzia del terzo decade quando il debitore, con il consenso del creditore, abbia sostituito l’obbligazione originaria con un’altra, determinando pertanto una “novazione” della prima, ex art. 1230 c.c., a norma del quale, appunto, “l’obbligazione si estingue quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso”.
Invece, la convalida è un atto con cui il debitore, unilateralmente e cioè senza il consenso del creditore, rinuncia a domandare l’annullamento del contratto e comunica pertanto la propria volontà di adempiere alla medesima obbligazione originaria nonostante il vizio di annullabilità di quest’ultima. Pertanto, nel caso della convalida non si verifica alcuna sostituzione dell’obbligazione originaria, e quindi non risulta applicabile l’art. 1197 comma 3 c.c., ragion per cui la garanzia del fideiussore dovrebbe persistere.
L’art. 1950 c.c. prevede che “il fideiussore che ha pagato ha regresso contro il debitore principale, benché questi non fosse consapevole della prestata fideiussione”. Se il fideiussore ha diritto alla restituzione, da parte del debitore principale, di quanto pagato in adempimento dell’obbligazione, anche nel caso in cui quest’ultimo non sia mai stato a conoscenza della fideiussione, allora si dovrebbe ritenere, per un principio di parità tra garante e garantito, che quest’ultimo (ossia lo stesso debitore principale), nel caso in cui abbia deciso di convalidare l’obbligazione pur essendo questa annullabile, abbia il diritto a che la fideiussione permanga anche dopo la convalida, e cioè dopo la sua decisione di voler comunque adempiere.

Argomenti contro l’effetto estensivo della convalida

La fideiussione ha un punto di contatto con quella che è l’espromissione.
La prima, a norma dell’art. 1936 comma 2 c.c., è efficace anche se il debitore non ne è a conoscenza, e la seconda, in base all’art. 1272 comma 1 c.c., si caratterizza per il fatto di operare senza una “delega” da parte del debitore, e quindi è contrassegnata dal fatto che il terzo (espromittente) assume su di sé il debito per sua libera scelta, ossia a prescindere da un mandato o comunque da una richiesta del debitore.
Pertanto, questi due istituti sono accomunati dal fatto che l’assunzione del debito da parte del terzo rappresenta una libera scelta di quest’ultimo.
Ebbene, l’art. 1247 c.c. prevede che il fideiussore può opporre al creditore, in compensazione, il debito che il creditore ha verso il debitore principale, mentre invece, ai sensi dell’art. 1272 ultimo comma c.c., l’espromittente non può opporre al creditore la compensazione che avrebbe potuto opporre il debitore originario, quantunque si sia verificata prima dell’espromissione.
L’osservazione è la seguente: se, nonostante che i due istituti siano similari (per la ragione sopra indicata), il fideiussore può opporre un’eccezione (ossia la compensazione) che invece l’espromittente non può opporre, ciò probabilmente significherà che al fideiussore debba essere riconosciuta una certa libertà in merito all’opponibilità delle eccezioni, ivi compresa quella relativa all’annullabilità dell’obbligazione principale, e che quindi l’eventuale convalida da quest’ultima da parte del debitore sia inefficace nei suoi confronti, potendo egli comunque eccepire, dinanzi al creditore, la medesima annullabilità e quindi sciogliersi dal vincolo.
Il fatto che fideiussione ed espromissione nascano sostanzialmente allo stesso modo (ossia senza richiesta del debitore), e che però, nonostante ciò, al fideiussore sia riconosciuto il diritto di poter opporre un’eccezione (vedi la compensazione) che invece all’espromittente è preclusa, indica il diritto del fideiussore di poter opporre al creditore eccezioni in maniera ampia, e quindi anche quello di revocare la garanzia nel caso in cui l’obbligazione principale, pur annullabile, venga ad essere convalidata dal debitore.
Ai sensi dell’art. 1945 c.c., “il fideiussore può opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, salva quella derivante dall’incapacità”. Tra le eccezioni previste dalla norma rientra anche quella basata sull’annullabilità del contratto. Il fatto è che il debitore principale, convalidando l’obbligazione, ha rinunciato ad eccepire tale vizio, e quindi vi è da chiedersi se il fideiussore possa sollevare la suddetta eccezione anche nel caso in cui il debitore vi abbia rinunciato. La parola “spettano” indurrebbe a ritenere che la facoltà del fideiussore di opporre al creditore le medesime eccezioni “spettanti”al debitore, possa essere esercitata solo per le eccezioni che quest’ultimo potrebbe ancora opporre (ossia, appunto, quelle “spettanti”), e non anche per quelle che, a seguito della rinuncia del debitore, non sono da quest’ultimo più opponibili (e che, quindi, non gli spettano più): se si è deciso di rinunciare ad una facoltà, ciò significa che tale facoltà non spetta più.
Tuttavia, il codice civile prevede un caso nel quale il terzo può opporre al creditore anche le eccezioni “non opposte” dal debitore, e cioè anche quelle a cui quest’ultimo abbia rinunciato. E’ il caso dell’art. 2859 c.c., il quale prevede che il terzo acquirente di un bene ipotecato, nel caso in cui abbia trascritto il suo titolo di acquisto prima che il creditore ipotecario trascrivesse la domanda giudiziale di condanna contro il debitore, può opporre al creditore stesso tutte le eccezioni non opposte dal debitore ed anche quelle che spetterebbero a quest’ultimo dopo la condanna.
Il fatto che, nel caso dell’art. 2859 c.c., il “terzo” sia l’acquirente di un bene sul quale, a favore del creditore, era stata costituita una garanzia (l’ipoteca), e che invece, nel caso della fideiussione, il “terzo” sia colui che garantisce l’adempimento dell’obbligazione (il fideiussore), non sembra essere di ostacolo al riconoscimento, in capo al fideiussore, della possibilità di opporre l’annullabilità del contratto pur essendo quest’ultimo stato convalidato dal debitore principale. In entrambi i casi, il “terzo” è comunque un soggetto che “deve avere a che fare” con il creditore.
Inoltre, il codice civile prevede altri casi in cui si stabilisce che il terzo possa opporre al creditore non già le eccezioni “spettanti” al debitore, ma le eccezioni “che spetterebbero” a quest’ultimo. L’uso del condizionale induce a ritenere che il terzo possa opporre le suddette eccezioni in quanto “astrattamente spettanti” al debitore, a prescindere dal fatto che questo poi abbia rinunciato ad opporle.
P.es. l’art. 2805 c.c. prevede che il debitore del credito dato in pegno può opporre al creditore pignoratizio le eccezioni che “gli spetterebbero” contro il proprio creditore.
L’art. 1941 comma 3 c.c. stabilisce che “la fideiussione eccedente il debito o contratta a condizioni più onerose è valida nei limiti dell’obbligazione principale”.
Il principio della perfetta corrispondenza tra obbligazione principale ed obbligazione fideiussoria viene sancito solo per quel che riguarda l’importo, l’ammontare (“eccedenza del debito” e/o “maggiore onerosità”).
La norma non prevede che la suddetta corrispondenza debba aver luogo anche nel caso in cui il debitore decida di convalidare l’obbligazione principale, ossia non stabilisce che, nel caso di convalida di quest’ultima, rimanga convalidata anche la fideiussione. 

Necessità di distinguere a seconda che il termine per l’adempimento fosse o meno “essenziale”

L’art. 1957 c.c. stabilisce che “il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”.
Il fideiussore rimane obbligato anche dopo che l’obbligazione principale sia venuta a sua naturale scadenza. La norma pone, quale condizione per la permanenza della fideiussione, il fatto che il creditore, entro 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, abbia chiesto (“proposto”) ed abbia continuato a richiedere, al debitore principale, l’adempimento. Essa non prevede espressamente, quale condizione, che il creditore, prima che l’obbligazione principale scadesse, abbia richiesto più volte, e quindi in maniera reiterata, al debitore di adempiere. Tant’è vero che la norma dice “purchè il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore”, e non dice “purchè il creditore entro sei mesi abbia continuato a proporre contro il debitore le istanze che egli aveva già rivolto contro quest’ultimo prima della scadenza dell’obbligazione principale”.
Quindi, dalla lettera della norma, si ricava che l’obbligazione del fideiussore permane anche se il creditore, prima della scadenza dell’obbligazione principale, non aveva reiterato le proprie richieste di adempimento contro il debitore principale.
Allora il discorso potrebbe essere questo: la fideiussione, se permane dopo la scadenza dell’obbligazione principale anche nel caso in cui il creditore non abbia reiterato la propria richiesta di adempimento, potrà permanere anche nel caso in cui il debitore principale abbia, volontariamente, convalidato l’obbligazione principale (in realtà annullabile). L’obbligazione fideiussoria, se permane anche nel caso in cui il creditore non abbia dimostrato un così poi grande interesse all’adempimento (mancata reiterazione della richiesta di pagamento), potrà permanere anche nel caso in cui il debitore abbia deciso, in modo del tutto consapevole, di convalidare il vizio di annullabilità dell’obbligazione principale. Essa, nel primo caso, permane nonostante una certa “inerzia” del creditore nell’esigere l’adempimento, e, nel secondo caso, permane in virtù della ferma volontà del debitore di adempiere.
Tuttavia, in merito a questo punto, si potrebbe anche fare una distinzione.
Se il termine per l’adempimento non era “essenziale” (art. 1457 c.c.), nel senso che il creditore avrebbe potuto esigere il pagamento anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, ciò vuol dire che il creditore non era “contrattualmente obbligato” a reiterare, prima della scadenza dell’obbligazione principale, la richiesta di adempimento. Pertanto, in tal caso, vale quanto detto sopra: il creditore, non reiterando la richiesta, non ha adottato un comportamento contraddittorio con quanto previsto dal contratto, perché quest’ultimo non prevedeva affatto l’essenzialità del termine per il pagamento; egli, quindi, può, legittimamente, continuare ad esigere la prestazione anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, e, di conseguenza, si giustifica il permanere dell’obbligazione fideiussoria previsto dalla norma; stando così le cose, allora, questo permanere si giustifica anche nel caso in cui il debitore principale decida di convalidare l’obbligazione (che in teoria sarebbe annullabile).
Se, invece, il termine per l’adempimento era “essenziale”, nel senso che, in base al contratto, la scadenza dell’obbligazione principale avrebbe automaticamente fatto venir meno, in modo definitivo, l’interesse del creditore all’adempimento, allora in tal caso sarebbe sproporzionato pretendere che l’obbligazione del fideiussore permanga anche nel caso in cui il debitore principale abbia deciso di convalidare l’obbligazione. Ciò vorrebbe dire che il fideiussore rimane obbligato pure nel caso in cui il creditore, pur avendo previsto egli stesso come “essenziale” il termine per il pagamento, sia poi rimasto inerte nel reiterare la richiesta di adempimento, e quindi si sia comportato in modo contrario all’interesse che aveva manifestato inserendo la clausola di “essenzialità” del termine. In questo secondo caso, la decisione, pur legittima, del debitore principale, di convalidare l’obbligazione, non dovrebbe essere tale da continuare ad obbligare il fideiussore, in quanto dall’altra parte vi è stata la conclamata inerzia del creditore nel perseguire e nel tutelare i suoi interessi, nonostante che quest’ultimo nel contratto avesse dichiarato che “quel” termine per lui era, appunto, “essenziale”.
Il debitore principale può anche decidere – e, lo si ripete, è legittimo – di rinunciare a chiedere l’annullamento del contratto, ma il garante, dinanzi alla dimostrata inerzia del creditore nel richiedere il pagamento, dovrebbe ritenersi libero di sciogliersi dal vincolo. Non per caso, l’art. 1955 c.c. stabilisce che “la fideiussione si estingue quando, per fatto del creditore, non può avere effetto la surrogazione del fideiussore nei diritti, nel pegno, nelle ipoteche e nei privilegi del creditore”. Per “fatto del creditore” si intende che quest’ultimo ha adottato un comportamento tale da ostacolare l’adempimento dell’obbligazione, il che ha posto il debitore principale nella condizione di poter contestare la fondatezza della pretesa creditoria, ragion per cui il fideiussore, se pagasse, non potrebbe poi rivalersi sul debitore. Pertanto, la sussistenza dell’obbligazione fideiussoria è legata all’effettivo interesse del creditore ad ottenere l’adempimento, e non si può certo sostenere che tale interesse venga “dimostrato” da un creditore il quale, sebbene avesse previsto che il termine di scadenza dell’obbligazione era “essenziale”, non si è premurato di reiterare, prima di tale scadenza, la richiesta di adempimento al debitore.

Necessità di distinguere a seconda che sia stato o meno previsto il beneficio della previa escussione del debitore principale

Si potrebbe poi anche distinguere tra le due seguenti situazioni.
Quando il fideiussore abbia rinunciato al beneficio della previa escussione del debitore principale (ciò che p. es. accade per la garanzia fideiussoria costituita a favore dell’affidatario di appalti pubblici, anche se in quel caso si tratta di una rinuncia forzata, ossia imposta dalla legge), e quindi abbia stabilito di essere lui “il” debitore al quale il creditore si rivolgerà per il pagamento, dovrebbe essere previsto, come contrappeso di tale assunzione di responsabilità, che l’eventuale convalida dell’obbligazione da parte del debitore principale non determini la permanenza della fideiussione. Ciò poichè il fideiussore sceglie di far fronte in prima linea alle pretese del creditore in quanto crede di dover adempiere ad un’obbligazione che è stata assunta validamente dal debitore, e non ad un’obbligazione che poi si è scoperto essere invalida, altrimenti egli, probabilmente, non avrebbe accettato non soltanto di rinunciare al beneficio dell’escussione ma forse neanche di costituire la garanzia.
Quando, invece, è stato pattuito il beneficio della previa escussione del debitore principale, ossia nel caso in cui sia il debitore principale il soggetto al quale il creditore, primariamente, chiederà il pagamento, l’obbligazione del fideiussore viene ad assumere, sostanzialmente, un carattere “condizionale”, ossia egli dovrà rispondere solo nel caso in cui il debitore principale non abbia pagato. Ed allora questo carattere “subordinato”, e cioè di secondo livello, dell’obbligazione fideiussoria, potrebbe giustificare il permanere di quest’ultima anche nel caso in cui il debitore decida di convalidare l’obbligazione principale (che in teoria sarebbe annullabile).

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Monica Mandico
Avvocato Patrocinante in Cassazione, Founder di Mandico&Partners. Gestore della Crisi, DPO e advisor di 231/01. Autrice di libri sul diritto bancario e finanziario, sovraindebitamento e GDPR. Presidente del Centro Tutele Consumatori e Imprese. Docente di corsi di formazione accreditati dall’Università e dagli ordini professionali. Componente designato dalla CCIAA di Napoli della Commissione per la Nomina di Esperto Negoziatore.
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