Delibazione sentenza ecclesiastica: è efficace la sentenza di nullità del matrimonio per cause psichiche

Con la sentenza n. 13883 del 6 luglio 2015, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito, in tema di delibazione della sentenza ecclesiastica, che può essere riconosciuta nel territorio della Repubblica l’efficacia della sentenza del Tribunale ecclesiastico di nullità del matrimonio per grave difetto di discrezione di giudizio per cause psichiche, per assenza di contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento italiano.

Nel caso di specie, l’ex moglie si era opposta alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica italiana della sentenza del Tribunale ecclesiastico con la quale era stata dichiarata la nullità del matrimonio concordatario contratto tra lei e l’ex marito, per grave difetto di discrezione di giudizio, circa i diritti e doveri matrimoniali essenziali, dovuto a cause di natura psichica in capo al marito, a lei sconosciuti al momento del matrimonio. In particolare, la ricorrente si dogliava del fatto che la Corte d’Appello avesse escluso il contrasto rispetto all’ordine pubblico nonostante la mancata conoscenza del deficit psichico e l’intervenuta convivenza coniugale per oltre un anno. Inoltre la Corte territoriale non avrebbe applicato il principio di salvaguardia della validità del vincolo coniugale fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità, senza tenere peraltro in alcun conto l’affidamento incolpevole della ricorrente, a conoscenza esclusivamente dell’handicap motorio del marito.

La Suprema Corte ha primo luogo rilevato che non trovano applicazione nella specie i principi elaborati nella recente pronuncia delle S.U. 16379 del 2014 dal momento che non risulta eccepita tempestivamente la convivenza coniugale come causa ostativa al riconoscimento della sentenza canonica. Peraltro la durata indicata dalla medesima parte ricorrente è inferiore a quella minima, indicata in tre anni nella citata pronuncia delle Sezioni Unite.

Quanto alla riconoscibilità del vizio, secondo la Corte di legittimità, nel caso in cui la causa di nullità matrimoniale accertata in sede canonica sia costituita dall’incapacità psichica di fornire un consenso effettivo al matrimonio (“non essendo risultato in grado il resistente di comprenderne ab origine il complesso di diritti e doveri“) non può trovare applicazione il limite di ordine pubblico relativo all’affidamento incolpevole dell’altro coniuge.

Al riguardo la stessa Corte di Cassazione ha infatti ribadito anche di recente che “in tema di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario per difetto di consenso, le situazioni di vizio psichico assunte dal giudice ecclesiastico come comportanti inettitudine del soggetto, al momento della manifestazione del consenso, a contrarre il matrimonio non si discostano sostanzialmente dall’ipotesi d’invalidità contemplata dall’art. 120 c.c.” (Cass. 6611 del 2015; cfr. anche 19691 del 2014; 1262 del 2011).

Di conseguenza, è da escludere che il riconoscimento dell’efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo in principi fondamentali dell’ordinamento italiano. In particolare, tale contrasto non è ravvisabile sotto il profilo del difetto di tutela dell’affidamento della controparte, poichè, mentre in tema di contratti la disciplina generale dell’incapacità naturale dà rilievo alla buona o malafede dell’altra parte, “tale aspetto è ignorato nella disciplina dell’incapacità naturale, quale causa d’invalidità del matrimonio, essendo in tal caso preminente l’esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio psichico“.

Alla luce di tale ragionamento, la Cassazione ha dunque rigettato il ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento.

(Corte di Cassazione, I sez. civile, sentenza n. 13883 del 6 luglio 2015)

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