Contatto sociale qualificato: definizione e ipotesi applicative

in Giuricivile, 2019, 1 (ISSN 2532-201X)

L’idea che da un rapporto di fatto tra soggetti nascano delle obbligazioni cui applicare la disciplina contrattualistica è sorta a seguito ad un’intuizione della dottrina tedesca ed è stata, poi, oggetto di successiva rielaborazione concettuale.

Empiricamente è, infatti, possibile osservare come nella realtà ben possano verificarsi situazioni in cui le parti entrino in contatto, pur in assenza di uno specifico vincolo di matrice contrattuale.

Queste ultime non possono, quindi, ragionevolmente considerarsi come “estranee”, alla stregua di quanto presupposto dall’art. 2043 c.c., norma cardine in materia di responsabilità aquiliana.

Il rapporto che in tal modo si instaura, infatti, non risulta limitato al solo rispetto del dovere scaturente dal precetto di ordine e portata generale del neminem laedere o alterum non laedere, ma costituisce un quid pluris che si sostanzia nell’obbligo di collaborazione in vista della realizzazione di un determinato scopo.

La nozione e il rilievo giuridico

In tal senso, si è più volte fatto riferimento, in dottrina, alla nascita di un’obbligazione non avente ad oggetto la prestazione contrattuale vera e propria, bensì il dovere di diligenza che impone l’osservanza, ad esempio, delle regole dell’arte che attengono ad una data professione e, nel contempo, il dovere di comportarsi secondo i dettami della buona fede oggettivamente intesa, quale regola comportamentale ex art. 1375 c.c. e della correttezza di cui all’art. 1175 c.c., tenendo una condotta tesa alla protezione della sfera giuridica altrui[1].

In altri termini, si afferma l’esistenza di un’obbligazione che scaturisce da una fonte atipica, non già da un vero e proprio contratto, eppure produce effetti che ne determinano la riconducibilità nell’alveo del modello della responsabilità contrattale, qualificandosi come tale il rapporto giuridico che si instaura tra i soggetti[2].

Non viene, tuttavia, attribuita rilevanza ad un contatto qualsiasi, ma ad una relazione qualificata dall’ordinamento giuridico e ad esso assolutamente conforme.

Il termine “obbligazione senza prestazione” che qui potrebbe venire in rilievo si riferisce alla nascita dell’obbligazione da un rapporto di fatto che non si sostanzia nella prestazione principale, ma nel dovere di rispettare quel concetto di tipicità sociale per cui dall’accettazione di una prestazione deriva, in colui che la riceve, il dovere di fornire la propria controprestazione[3].

Di contro, non va sottaciuto che, nonostante l’effettuazione di tale accostamento, ciò che in realtà caratterizza il contatto sociale qualificato è l’insorgenza di doveri di protezione nei confronti del soggetto con cui si instaura una relazione che abbia rilevanza per l’ordinamento, derivante dallo status o ruolo rivestito che, inevitabilmente, induce l’altro a confidare nella realizzazione di determinate aspettative, secondo il principio del legittimo affidamento.

Secondo quanto sostenuto da autorevole dottrina, anche in queste situazioni sarebbe corretto trattare comunque di prestazione, giacché il comportamento da tenersi e rispettoso delle regole di correttezza e buona fede oggettivamente intesa, ha lo scopo di far conseguire all’altro soggetto un certo risultato favorevole e, quindi, risulterebbe funzionale alla soddisfazione di un suo diritto[4].

Fermo il dovere di protezione e conservazione della sfera giuridica altrui, infatti, il professionista con cui questi si pone in relazione non potrà tenere una condotta differente rispetto a quanto avverrebbe nell’esecuzione di un contratto d’opera professionale[5].

Al di là dell’angolazione di visuale utilizzata per inquadrare il fenomeno, dottrina e giurisprudenza si sono interrogate circa la fonte normativa che potesse costituire la base giuridica della figura in esame che finisce per collocarsi in una zona di confine tra il contratto e l’illecito di natura extracontrattuale o aquiliana.

Infatti, pur in assenza di un contratto formalmente concluso e sottoscritto tra le parti, la relazione, o, se si preferisce, “il contatto” tra esse è idoneo, in ossequio ad una valutazione socialmente adeguata, a produrre obbligazioni in virtù dell’art. 1173 c.c.

Tale norma, come noto, prescrive che le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.

Orbene, nell’ambito di tale categoria residuale viene inquadrato il contatto sociale qualificato al fine di ricondurlo nell’alveo della responsabilità di matrice contrattuale e non extracontrattuale.

Allorquando due soggetti vengano in contatto, si scambino informazioni, inizino ad instaurare delle trattative, non può ragionevolmente ritenersi che essi si pongano alla stregua di due estranei che si relazionano solo al momento della realizzazione del fatto illecito, come in ipotesi di sinistro stradale o similari.

È vero, invece, il contrario, ovverosia che tra i soggetti in questione si instaura un rapporto specifico comportante l’esecuzione di prestazioni, per cui si ritiene che al prestatore sarà ascrivibile la responsabilità non solo di aver cagionato un danno, ma anche di non aver fatto conseguire al destinatario il risultato che questi poteva ragionevolmente attendersi, in particolar modo trattandosi da una persona che abbia acquisito le competenze tecniche e specialistiche necessarie per esercitare una determinata professione o ricoprire un certo ruolo[6].

Il rapporto in questione viene definito come “di fatto” proprio per sottolineare l’assenza di un formale accordo sottoscritto dalle parti e, ciononostante, in virtù della relazione che si instaura tra due o più soggetti, nasce un vincolo al quale l’ordinamento giuridico attribuisce comunque rilevanza.

I numerosi risvolti applicativi

Da anni, ormai, il tema del contatto socialmente qualificato è al centro di intensi dibattiti in letteratura e a livello pretorio anche per saggiarne, al di là degli aspetti più squisitamente definitori, la portata applicativa.

Inizialmente, si era sottolineato l’aspetto afferente al dovere di comportarsi secondo buona fede oggettiva, altresì, in ossequio al principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., nella fase delle trattative antecedente la stipulazione del contratto.

Contrariamente all’impostazione in base alla quale in questi casi si configurerebbe una responsabilità extracontrattuale, non essendo ancora stato firmato un contratto, la giurisprudenza e dottrina più recenti hanno evidenziato che, a prescindere dalla mancanza dell’atto formale, le parti sono in contatto tra loro e si scambiano reciproche informazioni entrando in relazione e non potendo il rapporto tra le stesse configurarsi solo alla stregua di un incontro tra estranei.

Peraltro, le predette sono tenute a portare a termine le prestazioni già iniziate secondo correttezza e buona fede.

La tematica ha interessato, altresì, i rapporti con la Pubblica Amministrazione.

Quest’ultima, nella fase di individuazione del contraente non risulta completamente libera, dovendo, di contro, seguire una particolare procedura di evidenza pubblica nel rispetto di regole stabilite anche a livello di diritto europeo.

La P.A., oltre al rispetto delle norme che regolamentano la sua azione, è tenuta a comportarsi secondo buona fede e correttezza. Così, allorquando la P.A. abbia indetto la gara pubblica, in caso di aggiudicazione illegittima, tale situazione è suscettibile di provocare la lesione dell’interesse del privato avente ad oggetto l’affidamento nella regolare esecuzione della gara e nella legittimità della sua aggiudicazione[7].

Non si fa, dunque, riferimento all’esercizio di discrezionalità amministrativa, ma al doveroso rispetto, anche da parte dell’ente pubblico in fase di trattative con un privato, degli obblighi di correttezza e buona fede, come previsto in sede civile agli artt. 1337 e 1338 c.c.

La Suprema Corte ha avuto modo di osservare che la responsabilità precontrattuale della P.A. non riveste natura extracontrattuale, ma da contatto qualificato ponendosi per l’effetto, al confine tra “contratto e torto” e determinando l’insorgenza fra le parti di correlativi obblighi di informazione e protezione[8].

Da tali situazioni scaturiscono non obblighi di prestazione, bensì di protezione che si ritengono riconducibili, pur in mancanza di atto negoziale, ad una forma di responsabilità diversa da quella extracontrattuale e accostabile, invece, all’area contrattuale[9].

Il risarcimento del danno che ne consegue deriva principalmente dalla violazione di una regola comportamentale, relativa, nello specifico, alla buona fede oggettiva.

Di recente la Suprema Corte ha ribadito l’inquadramento della responsabilità precontrattuale della P.A. nell’alveo della responsabilità da contatto sociale evidenziando la lesione del legittimo affidamento che il privato ripone nella correttezza dell’agere pubblico e nell’esigenza che questo soggetto tenga una condotta ispirata a correttezza[10].

Le ipotesi applicative in riferimento alla figura in esame non sono, tuttavia, solo riconducibili all’ambito della responsabilità precontrattuale, potendosi ritenere che, nel tempo, esse siano divenute molteplici.

Così, per quanto concerne la responsabilità dell’insegnante, oltre che dell’istituto scolastico, per autolesioni dell’alunno.

In consimili situazioni, se l’istituto risponde contrattualmente in virtù del vincolo negoziale che si instaura a partire dal  momento dell’accoglimento della domanda di iscrizione dell’allievo, il docente è comunque non un soggetto estraneo che non sia mai venuto in contatto con il discente sino al momento della verificazione del fatto illecito, ma, al contrario, una persona che riveste un particolare staus, collocandosi in posizione di garanzia rispetto all’alunno.

L’insegnante non è solo tenuto ad istruire ed educare l’allievo, ma anche a sorvegliarlo al fine di proteggerne la sfera giuridica da lesioni che egli possa cagionare a se stesso, oltre che agli altri[11].

Anche in questo caso, dunque, il soggetto inadempiente non è tenuto al risarcimento del danno per aver violato obblighi di prestazione ex art. 1174 c.c., ma un obbligo di condotta posto a presidio di ulteriori interessi[12].

Ciò detto, è necessario che il contatto socialmente rilevante possa, come anticipato, ritenersi qualificato, nel senso che è richiesto, al fine di far scaturire determinate obbligazioni, che i soggetti siano posti in una relazione specifica.

Pertanto, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto, ad esempio, che non generi responsabilità da contato sociale, ma extracontrattuale, l’illecito commesso in materia di sollecitazione al pubblico risparmio e offerta i prodotti finanziari, in quanto si tratta di tutela relativa ad un numero indistinto di soggetti[13].

Il terreno d’elezione di applicazione della figura del contatto sociale ha lungamente riguardato e per certi aspetti, riguarda ancor oggi, la responsabilità medica, in riferimento alla relazione che si instaura tra esercente la professione sanitaria e paziente.

Quest’ultimo dall’istante in cui viene in contatto con il medico pone in essere con il predetto una relazione e ciò a prescindere dalla formale stipulazione di un vero e proprio contratto tra le parti, che obbliga il professionista a comportarsi correttamente sin da subito allo scopo di salvaguardare l’altrui sfera giuridica.

D’altro canto, il paziente in un rapporto basato almeno tendenzialmente sull’elemento fiduciario, ripone il proprio legittimo affidamento sulla professionalità, capacità, competenza dell’esercente la professione sanitaria che riveste, rispetto al primo, una posizione di garanzia e su ci gravano, secondo l’ordinamento, determinati obblighi di protezione nei confronti i chi si sia affidato alle sue cure.

La giurisprudenza ha avuto modo a più riprese, negli ultimi anni, di sottolineare che medico e paziente non possono configurarsi alla stregua di due soggetti  completamente estranei solo in virtù dell’eventuale mancata stipulazione di un contratto, essendo piuttosto la situazione relazionale simile ad un modello di stampo contrattualistico, anche in considerazione del fatto che il professionista non potrà che comportarsi come se agisse nel quadro di un contratto d’opera professionale.

L’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza potrebbe essere messo in crisi dall’entrata in vigore della Legge n. 24/2017 c.d. Legge Gelli- Bianco, il cui art. 7 fa espresso riferimento all’art. 2043 c.c. in tema di responsabilità aquiliana.

Si è ritenuto che la norma abbia inteso scardinare la previgente impostazione di pensiero in favore di un ripensamento globale della responsabilità medica, agevolando, per l’effetto, il professionista vuoi sotto il profilo dell’onere della prova, decisamente più gravoso per il paziente – danneggiato, vuoi sotto il profilo prescrizionale, risultando applicabile solo il termine più breve di cinque anni previsto dall’art. 2947 c.c., anziché quello decennale ordinario.

L’intento del legislatore andrebbe ravvisato anche nella volontà di porre fine o, quantomeno di arginare, lo spiacevole fenomeno della medicina difensiva.

Di contro, si è obiettato che, fermo restando l’onere in capo al paziente di provare il nesso eziologico tra condotta ed evento di danno[14],  non potrebbe comunque ritenersi che il predetto non abbia avuto contatti con il medico -si pensi anche al tema del consenso informato- per cui quasi sempre a livello pratico di contatto sociale qualificato si potrà discorrere.

In disparte, l’annoso tentativo di trovare una soluzione ad una questione che, al momento, sembra essere ancora aperta, nonostante il riferimento all’art. 2043 c.c., un’altra recentissima applicazione della figura del contatto sociale qualificato si è avuta con riferimento alla responsabilità della banca per aver commesso l’errore di pagare l’importo dell’assegno non trasferibile a soggetto che abbia falsamente alterato i propri dati e sia, in realtà, diverso dal legittimo prenditore.

Anche in questo caso, può dirsi leso il legittimo affidamento che tutti i soggetti interessati al buon esito dell’operazione ripongono nella regolare circolazione e pagamento dell’assegno secondo le regole stabilite dalla legge.

Peraltro, la banca non è ogni caso tenuta, contrariamente a quanto si era argomentato secondo un’impostazione più risalente, a pagare nuovamente l’importo, ritenendosi invece che il debitore fosse sempre liberato in base all’art. 1189 c.c. in tema di pagamento al creditore apparente, ma, al contrario, l’istituto di credito è ammesso a provare l’eventuale assenza di colpa, quest’ultima valutata sulla base della regola della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, II comma c.c.

In definitiva, dalla panoramica emerge la perdurante attualità della tematica trattata che continua  a mantenersi  viva nell’interesse della giurisprudenza e della dottrina più recenti.


[1] Cfr. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, XVII edizione aggiornata, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2015, p. 866.

[2] Cfr. G. Chinè, M. Fratini, A. Zoppini, Manuale di diritto civile, IX edizione 2017/2918, Nel diritto editore, Molfetta (BA), 2017, p. 2181.

[3] Ibidem.

[4] Cfr. F. Gazzoni, op. cit., p. 866.

[5] Ibidem.

[6] Cfr. . G. Chinè, M. Fratini, A. Zoppini, op. cit., p. 2182.

[7] Cfr. Corte di Cassazione, sent. n. 24438 del 21.11.2011.

[8] Cfr. Corte di Cassazione, sent. n. 14188 del 12.07.2016.

[9] Ibidem.

[10] Cfr. Corte di Cassazione, sent. n. 25644 del 27.10.2017.

[11] Cfr. Corte di Cassazione, sent. n. 14701 del 19.07.2016.

[12] Cfr. Corte di Cassazione, sent. n. 24071 del 13.10.2017.

[13] Cfr. Corte di Cassazione, sent. n. 15707 del 14.06.2018.

[14] Cfr., quanto al nesso di causalità, Corte di Cassazione, sent. n. 19204/2018.

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