La pronuncia della Prima Sezione Civile, qui annotata, si innesta, senza soluzione di continuità, in quel filone della giurisprudenza di legittimità[1], ormai, invero, consolidatosi, che compie una perimetrazione dell’onere probatorio nell’ambito dei rapporti di conto corrente, definendo una ripartizione sostanzialmente coincidente con l’archetipo codicistico, ex art. 2697 c.c.: distribuzione che, su di un piano più strettamente pragmatico – operativo, si pone in una condizione di conflittualità con l’evidente disparità tra l’ontologica posizione del correntista e quella, antitetica, dell’Istituto di credito[2], circostanza sostanzialmente elusa, optando per l’archiviazione del criterio di vicinanza della prova e del c.d. “saldo zero”.
L’occasione per questa ricognizione normativa, tra il dato meramente letterale e un’interpretazione più sistematica e applicativa, origina dal ricorso proposto da un Istituto di credito, avverso una sentenza della Corte d’Appello di Catania, che, a giudizio dello stesso ricorrente, violando gli artt. 1832, 1857, 2033, 2220 e 2697 c.c., nonché 633 e 645 c.p.c. e 119 D. Lgs. n. 385/1993), aveva erroneamente provveduto a rideterminare il saldo del conto corrente intrattenuto col resistente e condannato al pagamento dell’importo così ottenuto. In particolare, la Banca ricorrente lamentava una grave violazione della ripartizione dell’onere probatorio e la sostituzione arbitraria del saldo debitore passivo con il “saldo zero”.
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Siffatto motivo di ricorso, a giudizio della Prima Sezione Civile si rivela fondato e, pertanto, meritevole di accoglimento[3].
1. La ripartizione dell’onere probatorio: l’archetipo codicistico e l’impostazione paritaria
Premessa necessitata, dell’iter argomentativo adottato dal Collegio è il principio per cui alle controversie insorte tra Banca e correntista, introdotte su domanda del secondo allo scopo di contestare il saldo negativo e di far rideterminare i movimenti e il saldo finale del rapporto (alla luce della pretesa invalidità delle clausole contrattuali costituenti il regolamento pattizio e, così, ottenere la condanna della Banca al pagamento delle maggiori spettanze), gravi su quest’ultimo il corrispondente onere probatorio, attinente agli aspetti oggetto della contestazione[4].
La Prima Sezione, quindi, sceglie scientemente di dare continuità all’orientamento, ormai pressoché granitico, manifestatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità[5], in ossequio del quale il correntista, che agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito, sia tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti, sia della mancanza, rispetto a questi, di una valida causa debendi, sicché risulti, fondamentalmente, gravato dall’onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che concorrano a evidenziare le singole rimesse suscettibili di ripetizione, in quanto riferite a somme non dovute[6].
Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva affermato che, avendo la Banca versato in atti, in ottemperanza dell’emesso ordine di esibizione, ex art. 210 c.p.c., gli estratti conto inerenti al rapporto, riferiti a un periodo temporale intercorrente tra un momento successivo a quello dell’apertura e la chiusura del conto corrente, il credito fosse rimasto certamente indeterminato nell’an, con riferimento al periodo non attenzionato, compreso tra la data di apertura del conto corrente e il primo periodo refertato: tale mancanza era ascrivibile processualmente allo stesso Istituto di credito, conseguendone l’azzeramento di tutte quelle risultanze negative del primo estratto conto disponibile, in quanto non provate, e che, quindi, contestualmente, il calcolo dei rapporti di dare/avere sarebbe dovuto essere computato a partire dalla prima data documentata, da saldo zero. Una siffatta statuizione si pone in evidente e irriducibile conflittualità con il principio sopra richiamato, introitando, surrettiziamente, nel panorama ordinamentale, in capo al correntista attore un esonero dall’onere probatorio, che risulta illegittimamente traslato sulla Banca convenuta.
Il Collegio, a tal riguardo, evidenzia che, se sia vero che la stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione, con diverse pronunce, abbia affermato, ma solo con riferimento alle ipotesi in cui la banca sia attrice (e, quindi, consequenzialmente, soggetta all’onere di provare il credito vantato), che s’imponga la rideterminazione del saldo finale mediante la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, sulla base degli estratti conto, a partire dalla sua apertura dell’intero andamento del rapporto, non potendosi, viceversa, ritenere provato il credito in conseguenza della mera circostanza che il correntista non abbia formulato rilievi in ordine alla documentazione prodotta nel procedimento monitorio[7], corrisponda, parimenti, a verità la circostanza per cui il richiamato orientamento non possa essere fatto ragionevolmente valere in relazione alla diversa ipotesi in cui sia il correntista ad agire con azione di ripetizione dell’indebito e sia, pertanto, ontologicamente (in quanto parte attrice) gravato dell’onere di provare la pretesa creditoria fatta valere, attraverso la produzione degli estratti conto relativi all’intero periodo del rapporto, cui si riferisca la domanda d’indebito.
Di conseguenza, non può neppure legittimamente ritenersi (come, invece, erroneamente statuito dalla Corte territoriale nel caso di specie) che, qualora il primo estratto conto disponibile, sia pure in ottemperanza di un ordine giudiziale di esibizione rivolto alla banca, ex art. 210 c.p.c., evidenzi un saldo negativo, il calcolo dei rapporti di dare e avere tra correntista e banca decorrano dalla data della posta iniziale a debito annotata nel primo estratto conto disponibile, previo azzeramento di detto saldo negativo in quanto non provato, dovendo, invece, detto calcolo essere effettuato proprio partendo dal primo saldo a debito del cliente documentalmente riscontrato.
2. La lettura più “funzionale” dell’approdo: la disparità di posizioni e la vicinanza della prova
Nihil sub sole novum. La statuizione cui perviene la Prima Sezione, lungi dall’avere una portata normativamente dirompente e dall’inaugurare un filone più “intraprendente” nella lettura dinamica dei rapporti bancari tra Istituto e correntista, si inserisce, come già anticipato in premessa, in quell’alveo di ermeneutica rigidamente letterale e codicistica, che, perlomeno astrattamente, potrebbe penalizzare la posizione del cliente – correntista.
La lettura fornita dal Collegio è, in un certo qual senso, in egual misura, tradizionale e limitativa, perché, esattamente come le precedenti attestazioni, si specchia nella certificazione dell’inderogabilità, anche in materia bancaria e finanziaria, dell’archetipico principio di ripartizione dell’onere probatorio, delineato, laconicamente, dall’art. 2697 c.c.[8]: chiunque voglia far valere, in giudizio, un proprio diritto deve addurre elementi tali da comprovare le circostanze fattuali fondative[9], e, del tutto specularmente, chi voglia eccepire l’inefficacia dei fatti addotti (ovvero la modificazione o l’estinzione del diritto) deve provare i fatti sui quali l’eccezione si fondi[10]. Un’equilibratura statica, quasi laboratoriale, ma che mal si attaglia con la connaturata disparità fisiologica (nonché contrattuale) tra i due poli del rapporto.
Come rilevato prontamente da autorevole dottrina, conseguenza diretta e immediata dell’impostazione proposta dalla Cassazione è che, qualora l’attore – correntista proponga (come nel caso di specie) una domanda di accertamento negativo del credito, risultante dal saldo passivo di un rapporto di conto corrente bancario, nonché di ripetizione dell’indebito, relativamente agli interessi pagati in eccedenza rispetto al dovuto, e l’Istituto di credito convenuto, a sua volta, formuli domanda riconvenzionale (non limitandosi, dunque, a chiedere solo il rigetto della pretesa attorea) per conseguire il credito negato dalla controparte, si addiverrebbe alla situazione, per certi versi paradossale, che entrambe le parti processuali risultino gravate dall’onere di provare la fondatezza delle rispettive confliggenti pretese[11]. La giurisprudenza di legittimità ha sostanzialmente incardinato, nel più pedissequo rispetto dei canoni codicistici, in capo alla parte attrice, qualunque essa sia, l’onere probatorio di produrre (e, quindi, allegare) tutti gli estratti conto relativi alla durata integrale del rapporto (oltre che, di provare, specificamente, la presunta esistenza e corrispettiva entità dell’indebita appostazione di passività)[12].
Questo contenuto ricognitivo e letterale, sanza infamia e sanza lodo[13], è da assumersi, pur tuttavia, come premessa necessitata di un’indagine a più ampio spettro, che, transitando su di un piano più strettamente funzionale, possa valutare l’atteggiarsi concreto dell’onere della prova, tra l’impianto codicistico e una sua ermeneutica fattivamente manutentiva.
A prescindere dalla formale e formalistica ripartizione e distribuzione dell’onus probandi[14], non si può certamente eludere una lettura improntata alla diversa posizione di partenza propria dei due contendenti processuali, che, sebbene non possa, senz’altro, affermarsi che la prova del carattere solutorio di una rimessa possa presentare, di per sé, profili di particolare difficoltà per la Banca (stante i mezzi di cui la stessa fisiologicamente dispone, in ragione dell’attività d’impresa esercitata)[15], non può, comunque, tramutare la qualificazione officiosa dell’Istituto di credito quale “contraente forte” in una ripartizione totalmente iniqua dell’onere probatorio: la disparità lapalissiana sul piano sostanziale non deve ragionevolmente avere alcuna incidenza sulle dinamiche, parallele, di accesso alla prova, da parte del soggetto privato[16].
La soluzione proposta dalla Cassazione, pur non essendo esente da profili di criticità, lungi dal rappresentare un’irreale posizione di parità tra i due soggetti, ha la premura di limitare e contenere un intervento, senza dubbio, invasivo sul piano processuale, mirato a una riequilibratura manutentiva del piano sostanziale, che è contiguo, ma, al contempo, non amalgamabile al primo. L’applicazione rigida del criterio di riparto codicistico, peraltro, non rischia di tradursi neppure in una negazione, tranchant, della tutela riconosciuta alla parte debole del rapporto, che, viceversa, continua a rappresentare asintoto valido del sistema, improntato a un diffuso paternalismo legislativo[17]; l’unica preoccupazione è non snaturare il complesso quanto sensibile equilibrio procedimentale, traghettando surrettiziamente discipline sostanzialistiche in ambito processuale[18].
La produzione integrale della documentazione, gravante sul cliente – attore, è, peraltro, opera monumentale meno di quanto, prima facie, possa apparire, concorrendovi meccanismi di normazione atti a smussarne i profili più problematici. Trattasi, quindi, di una probatio diabolica[19] “servoassistita”.
3. Le risultanze documentali, tra richieste stragiudiziali e ordine di esibizione.
A tal riguardo, l’art. 119, quarto comma, TUB introita, nel panorama ordinamentale, la possibilità per il cliente, per colui che gli succeda a qualunque titolo e per colui che subentri nell’amministrazione dei suoi beni, di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, specificando puntualmente che al richiedente possano essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione.
La pretesa di ricevere copia della documentazione bancaria si configura alla stregua di un diritto autonomo, riconosciuto al cliente, che, pur derivando dal contratto, resta estraneo alle obbligazioni tipiche che ne costituiscono lo specifico contenuto: origina, difatti, dai generali obblighi di buona fede, correttezza e solidarietà[20], accessori a ogni prestazione contrattualmente dedotta e consente alla parte interessata di conseguire ogni utilità programmata (anche oltre quelle riferibili alle prestazioni convenute), proprio in quanto prestazione ulteriore, direttamente imposta ex lege a ciascuna delle parti contraenti[21].
Ciò premesso, pare opportuno, se non addirittura necessario, dare menzione dell’importante revirement cui è pervenuta recentemente la giurisprudenza di legittimità, nella compenetrazione delle possibilità di ottenimento della documentazione contabile stragiudiziali con quelle, contrariamente, propriamente corroborate da provvedimento giudiziale. Il riferimento è, segnatamente, alla problematica coesistenza del dettame dell’art. 119 TUB con l’ordine di esibizione documentale, ex art. 210 c.p.c.
Il quarto comma della disposizione del Testo Unico Bancario, è, senz’altro, una norma importante, dal momento che, come anticipato, è finalizzata a consentire al cliente di poter recuperare, con una “relativa facilità”[22], quanto, per le più disparate causa, abbia perduto, incentrando la sua efficacia propria su quella fisiologica vicinanza della Banca alla disponibilità, sempiterna (o quasi) della documentazione[23]. Rappresenta, in sostanza, un meccanismo eterodiretto di riavvicinamento del cliente alle prove documentali inerenti il rapporto intercorso, nel tempo, con l’Istituto di credito.
Centrando più accuratamente il focus dell’approfondimento, ai fini che qui più interessano, nell’assegnare puntualmente al cliente (così come a colui che gli succeda a qualsiasi titolo e/o che subentri nell’amministrazione dei suoi beni) la facoltà di ottenere opportuna documentazione dei propri rapporti bancari, l’art. 119 TUB non contempla, né, tantomeno, dispone, di per sé, nessuna limitazione in qualche modo attinente alla fase di eventuale svolgimento giudiziale dei rapporti tra correntista e Istituto di credito: risulterebbe, peraltro, priva di ogni ragione giustificatrice, una limitazione forzosa dell’esercizio di un diritto (quale quello di richiedere copia della documentazione comprovante l’andamento del rapporto creditizio) in un determinato range temporale (ovverosia, necessariamente antecedente all’instaurazione del processo).
Limitare una siffatta possibilità equivarrebbe a mutare l’intrinseca natura della disposizione de qua, da presidio (invero tra i più importanti) a tutela del cliente – investitore, in un primo e più immediato momento[24], e della trasparenza, quale valore sovraordinato e sistematico, a costrizione fortemente penalizzante dello stesso, con una sottesa trasformazione della di quella congeniata originariamente come facoltà in un vero e proprio onere prodromico alla successiva azione giudiziaria. In maniera non dissimile e sempre in un’ottica di efficientamento, l’esercizio della facoltà de qua non è neppure subordinato al rispetto di determinare formalità espressive o di date vesti documentali, poiché anche siffatte imposizioni si tradurrebbero in ingiustificati appesantimenti, non previsti dalla legge e frontalmente confliggenti con l’immediatezza connaturata all’istituto.
L’unico vincolo, legittimamente rinvenibile, permane, quindi, la necessità di formulare l’istanza, per un’esigenza d’indubbia ottimizzazione della stessa, nella fase istruttoria del processo cui accede[25].
In maniera pressappoco distonica, la stessa giurisprudenza di legittimità, statuendo che tra gli atti di cui si chieda la specifica esibizione non possano essere inclusi gli estratti conto dei rapporti bancari (laddove siano genericamente mirati alla ricostruzione della contabilità del rapporto di conto corrente), senza che ne venga addotta specificamente l’utilità della loro acquisizione, ai fini della dimostrazione della domanda giudiziale, introduce, di fatto, un contingentamento della facoltà de qua; sarebbe, infatti, fuorviante compiere un’operazione ermeneutica che conduca al principio c.d. “di prossimità” (o vicinanza della prova)[26] l’assunto per cui debba essere sempre l’Istituto di credito convenuto a dover fornire la documentazione che il cliente – correntista ha periodicamente ricevuto, ma, per negligenza, non conservato[27].
Sebbene sia evidente come il principio de quo si ponga come criterio di costruzione probatoria diverso da quello dell’onere secondo allegazione[28] e, quindi, rappresenti, in attuazione dell’art. 24 Cost.[29], una fattiva attenuazione del rigore della ripartizione probatoria, ex art. 2967 c.c., stabilendo che la mancata dimostrazione di una circostanza fattuale, rimasto incerta nel giudizio, debba essere “addossata” alla parte che si sarebbe dovuta trovare nelle migliori condizioni per provarla, siffatto meccanismo solutorio non può trarre semplicistica legittimazione unicamente dalla disparità economica delle parti[30], ovverosia non può irragionevolmente esaurirsi nella diversa forza economica, evidente ictu oculi, intercorrente tra contendenti, ma deve, invece, esigere l’impossibilità della fisiologica acquisizione[31].
Che sia possibile, aderendo all’inaugurato filone interpretativo, presentare la richiesta stragiudiziale anche a giudizio pendente non è circostanza da confondersi con la facoltà istruttoria di richiedere l’esibizione documentale della rendicontazione contabile. La richiesta de qua, infatti, non può, parallelamente, assumere ruolo suppletivo della carenza documentale a supporto della domanda attorea e, quindi, dell’inerzia dello stesso correntista[32]: il mezzo istruttorio, infatti, non può essere funzionalizzato, in maniera evidentemente distorsiva, al superamento delle inadempienze istruttorie di una parte che avrebbe potuto, al di fuori e prima del giudizio, ottenere la documentazione[33].
Di tal guisa, è evidente sottolineare come sia da considerarsi inammissibile l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. di un documento del quale non si conosca l’esistenza effettiva o che la parte avrebbe potuto richiedere stragiudizialmente, non avendolo, invece, fatto[34]. Situazione significativamente diversa sarebbe, invece, quella in cui all’istanza correttamente presentata dal cliente l’Istituto abbia opposto un diniego (o un silenzio) ingiustificato, lasciando inevasa la richiesta[35]: condotta che, appalesandosi improntata a un’evidente negligenza ed essendo in aperto contrasto con i suesposti principi di buona fede e correttezza nelle relazioni contrattuali, potrebbe concorrere a un perentorio recupero dei corollari della vicinanza della prova, in particolare di quello comportante l’addebito del mancato raggiungimento dell’allegazione documentale[36].
La rilevata esigenza di specificità, imposta dall’art. 94 disp. att. c.p.c., assume maggior rilievo con riferimento a un ordine di esibizione emesso nei confronti delle Banche, stante l’indubbia sensibilità degli interessi sottostanti: posto, infatti, che indefettibile condizione di ammissibilità dell’istanza sia, ai sensi del combinato disposto degli artt. 118 e 210 c.p.c., l’inidoneità a procurare grave nocumento, una richiesta “esplorativa” (ovverosia, non necessaria e che, quindi, non si diriga in via diretta e immediata all’accertamento delle circostanze fattuali)[37] concorrerebbe a determinare un pregiudizio del diritto alla riservatezza, per la divulgazione di notizie estranee alla causa e che, in quanto tali, i soggetti interessati avrebbero legittimo interesse a mantenere private e segrete[38].
L’ordine di esibizione, in definitiva, può essere impartito a una delle parti del processo, con esclusivo riferimento ad atti la cui acquisizione sia oggettivamente necessaria per lo sviluppo del procedimento, nonché ove questi siano concernenti la controversia; deve trattarsi, quindi, di documentazione puntualmente individuata (o, quantomeno, individuabile), con un contenuto preciso e, in qualche modo, rilevante ai fini della risoluzione della controversia[39].
4. Conclusioni
In definitiva, pur con la convinta adesione della giurisprudenza di legittimità all’archetipo codicistico della ripartizione di stampo codicistico dell’onere probatorio (con un ripetuto e avvalorato diniego, quindi, verso una responsabilizzazione probatoria “da posizione”), il sistema ordinamentale pare coerentemente improntato a un bilanciamento, borderline tra il giudiziale e lo stragiudiziale, che, pur non sovvertendo i canoni processuali classici (art. 2697 c.c.) fornisce all’utente asseritamente in posizione svantaggiata gli strumenti (artt. 119 TUB e 210 c.p.c.), i principi generali (buona fede e correttezza, nell’esecuzione contrattuale, ai sensi dell’artt. 1374 – 1375 c.c.), che, associati a oneri puntuali normativamente imposti alla controparte contrattuale forte (su tutti, la tenuta delle scritture contabili, da leggere sempre in chiave paternalistica, di fattiva cooperazione e collaborazione), concorrono a manutenere il delicato sinallagma contrattuale.
La conclusione cui si giunge, senza aggravi per nessuna delle due parti del rapporto, è, all’interno di una lettura dinamica e funzionalmente diretta, che debba essere il titolare del diritto di cui si chieda l’accertamento a doverne comprovare, diligentemente, la fondatezza, qualunque sia la tipologia di controversia.
[1] V. Cass. Civ., Sez. I, 7 maggio 2015, n. 9201, con nota di F. Greco, Rapporti bancari ed onere della prova: il punto della Corte di Cassazione, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 4, 2016, 1257. Si veda anche G. Tarantino, Azione di accertamento negativo: all’attore la prova dell’insussistenza del debito rivendicato, in Diritto & Giustizia, 9 maggio 2015, 58; F. Dell’Anna Misurale – G. Dell’Anna Misurale, La Cassazione boccia l’applicazione del saldo zero nell’azione di accertamento negativo promossa dal correntista, in Rivista di diritto bancario, 2015, In senso conforme, Cass. Civ., Sez. I, 2 febbraio 2016, n. 1955; Cass. Civ., Sez. I, 8 febbraio 2016, n. 2404.
[2] Disparità che, invero, è temperata dalla previsione, ex art. 117 TUB, della redazione per iscritto dei contratti bancari e della consegna di una copia cartacea al cliente – sottoscrittore.
[3] La vicenda processuale, difatti, termina con la cassazione delle sentenze impugnate e il rinvio alla stessa Corte territoriale, in composizione diversa, per la statuizione in ossequio ai principi di diritto enunciati in sentenza.
[4] Così come più volte statuito dalla stessa Corte, in diverse pronunce.
[5] In tal senso, Cass. Civ., Sez. VI, 23 ottobre 2017, n. 24948.
[6] Contra, App. Lecce, 12 novembre 2015, con nota di L. Albanese, Conto corrente, azione accertamento negativo e onere della prova, in ilcaso.it, sez. Giurisprudenza, 14727 – pubb. 13/04/2016. La Corte evidenzia come dall’impossibilità di ricostruire le poste attive e passive, sin dalla fase iniziale del rapporto, a causa della mancanza di idonea documentazione (esattamente come verificatosi nel caso di specie), non possa farsi derivare una sanatoria degli addebiti illegittimi, eventualmente operati dall’Istituto di credito. In senso conforme, Cass. Civ., Sez. I, 30 novembre 2017, n. 28819, con nota di L. Albanese, Conto corrente, anatocismo, azione accertamento negativo e onere della prova, in ilcaso.it, sez. Giurisprudenza, 18686 – pubb. 22/12/2017.
[7] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 19 settembre 2013, n. 21466; Cass. Civ., Sez. I, 11 giugno 2018, n. 15148.
[8] V. Cass. Civ., Sez. II, 8 gennaio 2018, n. 180.
[9] V. da ultimo Trib. Siena, 5 ottobre 2018, n. 1149. V. anche Cass. Civ., Sez. VI, 4 dicembre 2017, n. 28945. In senso conforme, Cass. Civ., Sez. III, 13 novembre 2003, n. 17146; Cass. Civ., Sez. III, 14 maggio 2012, n. 7501; Cass. Civ., Sez. Lav., 10 novembre 2010, n. 22872; Cass. Civ., Sez. III, 17 marzo 2006, n. 5896.
[10] Così, F. Greco, op. cit.
[11] In tal senso, F. Greco, op. cit.
[12] V. Cass. Civ., Sez. I, 11 gennaio 2017, n. 500, con nota di L. Colombo, Onere del prova del correntista ed esclusione del c.d. saldo zero, in Diritto Bancario, Giurisprudenza – Banca e Finanza, 22 febbraio 2017, http://www.dirittobancario.it/giurisprudenza/banca-e-finanza/conto-corrente/onere-del-prova-del-correntista-ed-esclusione-del-cd-saldo-zero.
[13] Come testualmente definito da F. Greco, op. cit.
[14] Quella che da autorevole dottrina è stata definita come una “applicazione meccanicistica”: così A. A. Dolmetta – U. Malvagna, Vicinanza della prova in materia di contenzioso bancario. Spunti (I. il saldo zero), in Rivista di diritto bancario, dirittobancario.it, 15, 2014.
[15] Così, A. A. Dolmetta, Prescrizione della ripetizione di «rimesse solutorie»: onere e vicinanza della prova, in ilcaso.it, 15 luglio 2014. Lo stesso Autore, invero, evidenzia come «La vicinanza è nozione che indica, in radice, un particolare rapporto – di facilità di accesso e recupero – tra un soggetto e la prova. Tale rapporto può essere assunto come direttamente fermato su una vicenda processuale in essere, ma anche come riferito al versante sostanziale della relativa fattispecie (e rilevare, allora, non in termini di «essere», ma pure in termini di «dover essere», di agire diligente e professionale, cioè): come solo dotato di potenzialità processuale, dunque. Quasi sempre, in realtà, la posizione di vicinanza si conforma (già) sul piano sostanziale della fattispecie, poi solo materializzandosi nell’eventualità del processo. In ogni caso, la fattispecie può venire ad articolarsi in maniera assai varia: non solo nel senso che una posizione di vicinanza può essere di più o meno accentuata consistenza e forza; ma anche nel senso che – a contare – è pure la posizione di controparte (nel rapporto sostanziale; in quello processuale): e quindi, la maggiore o minore lontananza che questa vive dalla prova (= misura della difficoltà di prova di controparte). Può anche accadere che le diverse parti della fattispecie si trovino in rapporti equidistanti con la prova: tra le altre, pure questa rientra tra le possibili evenienze della realtà materiale. Quando la fattispecie attiene ai contratti e prodotti di impresa, peraltro, è del tutto fisiologico che quest’ultima risulti vicina alla prova – posto, se non altro che il riferimento è diretto proprio sul prodotto da essa «creato» -; e che, per la medesima ragione, vicino non si trovi il cliente, che il prodotto si trova ad assorbire. Nel caso del contratto di c/c, che nel presente lavoro sale in particolare interesse, il rapporto della banca con la prova prende poi i toni specifici della vicinanza peculiare. Non è discutibile la rilevanza estrema che – nello svolgimento esecutivo di tale contratto – riveste la documentazione di conto, della medesima la banca possiede senz’altro il «monopolio»: già sul piano fenomenologico del prodotto, in effetti, risulta proprio impensabile che sia il cliente a tenere il conto [e la cosa mostra, da sola, quanto sia superficiale e delusivo ogni accostamento tra il conto bancario e quello ordinario, quand’anche promosso dalla legge (art. 1857 c.c.). Del resto, la stessa previsione dell’art. 119, comma 4, TUB sarebbe disposizione oggettivamente impensabile, ove non sussistesse in punto di operatività – e pure di c/c, quindi, di quella bancaria prodotto primario – una radicale diversità di posizione tra banca e cliente rispetto alla raccolta delle prove documentali che alla detta operatività per l’appunto attengono.».
[16] In tal senso, Trib. Arezzo, sez. dist. Montevarchi, 30 maggio 2013, in Ex Parte Creditoris – www.expartecreditoris.it – ISSN: 2385-1376.
[17] Per un approfondimento, F. Greco, L’onere/obbligo informativo: dalla normazione paternalistica all’information overload(ing), in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 2, 1 febbraio 2018, n. 0398B.
[18] Così, F. Dell’Anna Misurale – G. Dell’Anna Misurale, op. cit. Gli Autori evidenziano il potenziale rischio che il criterio di vicinanza della prova possa diventare una sorta di cavallo di Troia.
[19] In questi termini, Trib. Prato, 8 ottobre 2015, in ilcaso.it, Sez. Giurisprudenza, 16106 – pubb. 08/11/2016.
[20] È d’uopo rilevare come l’eventuale sottrazione all’ordine di esibizione sarebbe circostanza valutabile ai sensi dell’art. 116 c.p.c.
[21] Cfr. Cass. 11004/2006; Cass. 12093/2001; Cass. 4598/1997)
[22] Così, A. A. Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, 108.
[23] In tal senso, A. A. Dolmetta – U. Malvagna, op. cit.
[24] Sussiste, peraltro, uno speculare dovere di protezione, in capo all’Intermediario, tenuto, nella sua veste istituzionale, a fornire alla propria clientela, tutti i supporti idonei (anche, quindi, di natura documentale), connotato da ultrattività (essendo destinato a durare anche oltre all’intera durata del rapporto, nel limite di dieci anni dal compimento delle operazioni interessate).
[25] V. Cass. Civ., Sez. I, 11 maggio 2017, n. 11554, con nota di G. Tarantino, Il cliente chiede, la banca deve rispondere: la documentazione contabile va consegnata anche in pendenza di giudizio, in Diritto & Giustizia, fasc. 83, 2017, 12.
[26] Criterio, invero, applicabile anche al procedimento arbitrale: v., ex multis, ABF, Collegio di Napoli, 5 ottobre 2016, n. 8702.
[27] Dal momento che, come in precedenza evidenziato, per i contratti bancari sia prevista la forma scritta ad substantiam, per giovarsi della esibizione iussu iudicis, l’attore dovrebbe, quanto meno, dimostrare di aver perduto, senza colpa, il documento oggetto della richiesta, giusta il combinato disposto degli artt. 2725 e 2724, n. 3, c.c.: così, M. Stella, Osservazioni a Tribunale di Verona, 12 marzo 2018, e a Tribunale di Oristano, 9 marzo 2017, n. 209, in tema di onere della prova ed ammissibilità dell’esibizione istruttoria nel giudizio di ripetizione d’indebito., in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 5, 2018, 550.
[28] Così, A. A. Dolmetta – U. Malvagna, Vicinanza della prova e prodotti d’impresa del comparto finanziario, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 6, 2014, 659.
[29] Disposizione costituzionale che connette al diritto di azione in giudizio il divieto di interpretare la legge in modo da renderne impossibile o troppo difficile l’esercizio: così Cass. Civ., Sez. Un., 10 gennaio 2006, n. 141 e Corte Cost., 21 aprile 2000, n. 114.
[30] In tal senso, ABF, Collegio di Coordinamento, 29 giugno 2017, n. 7716.
[31] Così, F. De Santis, Oneri di allegazione e oneri probatori nel contenzioso bancario, con particolare riferimento alle azioni di nullità e di ripetizione dell’indebito, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 6, 1 dicembre 2017, 757. Lo stesso Autore evidenzia come l’istanza di esibizione degli estratti conto bancari di soggetti mutuanti, proposta al solo fine di provare (da parte del mutuatario) l’intervenuta estinzione del mutuo, debba reputarsi inammissibile per genericità, ove formulata con riferimento a un certo periodo di tempo, senza l’indicazione di date certe e importi versati.
[32] In tal senso, Cass. Civ., Sez. Lav., 8 agosto 2006, n. 17948. V. anche Cass. Civ., Sez. Lav., 25 maggio 2004, n. 10043.
[33] Così, Trib. Modena, 19 gennaio 2018, n. 27, con nota di A. Grassigli, Onere probatorio del correntista nell’azione di accertamento negativo del credito e di ripetizione dell’indebito, in Diritto Bancario, Giurisprudenza – Banca e Finanza, 22 febbraio 2018, http://www.dirittobancario.it/giurisprudenza/banca-e-finanza/conto-corrente/onere-probatorio-del-correntista-nell-azione-di-accertamento-negativo-del-credito.
[34] V. Trib. Modena, 18 luglio 2017, con nota di A. Tandoi, Limiti alla richiesta di esibizione degli estratti conto ex 210 c.p.c. ed onere della prova per la ripetizione dell’indebito, in Diritto Bancario, Giurisprudenza – Commenti, 15 novembre 2017, http://www.dirittobancario.it/giurisprudenza/credito/limiti-alla-richiesta-di-esibizione-degli-estratti-conto-ex-210-cpc-ed-onere-della-prova-la-ripetizione.
[35] In tal caso, si concretizzerebbe una presunzione di adempimento a favore del correntista che abbia agito a norma del comma 4 dell’art. 119 TUB e la cui richiesta sia rimasta inevasa senza giustificato motivo: così, F. Greco, op. cit.
[36] In siffatta ipotesi, la ridistribuzione dell’onere probatorio, con conseguente azzeramento del saldo, equivarrebbe a una sanzione civile indiretta irrogata nei confronti della Banca negligente.
[37] V. Trib. Avellino, 6 giugno 2016, con nota di C. La Torraca, Ordine esibizione: l’istanza deve contenere la specifica indicazione dei documenti utili a provare il fatto controverso, in Ex Parte Creditoris – www.expartecreditoris.it – ISSN: 2385-1376, 2016.
[38] Così, F. De Santis, op. cit.
[39] In tal senso, Cass. Civ., Sez. I, 8 settembre 2003, n. 13072.