La rendita vitalizia ex art. 1872 cc e le altre prestazioni periodiche

Sommario: 1. Introduzione alla disciplina –  2. Alea – 3. Questioni giuridiche – 4. Altre prestazioni periodiche

1. Introduzione alla disciplina

La definizione di rendita vitalizia, come è ben noto, non viene offerta dal legislatore nel suo articolo di riferimento, cioè nell’art. 1872 c.c., ma viene mutuata all’art. 1861, che riguarda, in senso letterale, la rendita perpetua.

L’art. 1861 c.c. infatti recita: “Col contratto di rendita perpetua una parte conferisce all’altra il diritto di esigere in perpetuo la prestazione periodica di una somma di danaro o di una certa quantità di altre cose fungibili, quale corrispettivo dell’alienazione di un immobile o della cessione di un capitale[1].

La rendita perpetua può essere costituita anche quale onere dell’alienazione gratuita di un immobile o della cessione gratuita di un capitale”.

Per avere in concreto la definizione di rendita vitalizia, basterà sostituire il concetto di “prestazione perpetua” con quello di “prestazione commisurata alla vita di un determinato soggetto.[2]

Quanto alla sua disciplina, il primo articolo di riferimento, ovvero l’art. 1872 c.c., non si occupa del contenuto delle prestazioni del contratto in esame[3], ma dei modi di costituzione dello stesso.

Ai sensi dell’art. 1872 c.c., infatti, “La rendita vitalizia può essere costituita a titolo oneroso, mediante alienazione di un bene mobile o immobile o mediante cessione di capitale.

La rendita vitalizia può essere costituita anche per donazione o per testamento, e in questo caso si osservano le norme stabilite dalla legge per tali atti[4].”

Come si può notare, la rendita vitalizia può realizzarsi mediante istituti diversi, ma pur sempre in forma scritta ad substantiam[5].

Per quanto concerne i soggetti del contratto, questi sono essenzialmente due: il vitaliziante ed il vitaliziato. Il vitaliziante è colui il quale, a fronte del trasferimento oneroso dell’immobile o del capitale, o a titolo gratuito, si obbliga alla corresponsione della rendita. Il vitaliziato, invece, è colui che riceve la corresponsione della rendita.

Tale contratto, a natura consensuale[6], si fonda su di un rapporto obbligatorio a prestazioni fungibili, che si realizza mediante prestazioni periodiche, autonome tra loro, rientranti nella fattispecie dei frutti civili, ex art. 820, III comma, c.c., per cui si ritiene che siano assoggettate alla relativa disciplina.

Il rapporto obbligatorio della rendita vitalizia genera un debito di valuta[7], poichè la corresponsione del danaro non è soggetta per sua natura a rivalutazione.

La rendita vitalizia è un contratto di durata ad esecuzione periodica ed è commisurato alla vita di un determinato soggetto. In questo senso l’art. 1873 c.c. dice che “La rendita vitalizia può costituirsi per la durata della vita del beneficiario o di altra persona[8].

Essa può costituirsi anche per la durata della vita di più persone”.

Nonostante ciò si ritiene possibile anche una rendita a tempo determinato, quindi non vitalizia ma con durata predeterminata. Si tratta, in questo caso, di un contratto atipico non solo per la durata della prestazione di rendita ma anche per la natura, in quanto non sarebbe più un contratto aleatorio bensì un contratto commutativo.

L’art. 1874 c.c., titolato costituzione a favore di più persone prevede che “se la rendita è costituita a favore di più persone, la parte spettante al creditore premorto si accresce a favore degli altri, salvo patto contrario.”

Si tratta dell’unico caso di accrescimento per atto inter vivos successivo all’acquisto, fin tanto che si tratti di un unico rapporto di rendita. Infatti, non rientra nella disciplina dell’art. 1874 c.c. l’ipotesi in cui si dà luogo a tanti rapporti di rendita autonomi tra loro quanti sono i creditori, ognuno dei quali avrà diritto ad esigere, in modo distinto e separato dagli altri, soltanto la propria quota di rendita[9].

La fattispecie è assoggettata alla disciplina generale delle obbligazioni solidali con la differenza unica che il vincolo di solidarietà dovrà risultare dal titolo, in quanto solidarietà attiva[10].

Il nostro ordinamento, poi, vieta espressamente la possibilità di una rendita vitalizia successiva, cioè in favore di più soggetti vitaliziati in rapporto di successione tra loro, quando la rendita vitalizia è costituita per testamento[11], poiché ai sensi dell’art. 698 c.c. la rendita vitalizia produce effetti solo a favore di coloro che, alla morte del testatore, siano i primi ad essere chiamati a goderne.

Non è altrettanto esplicitamente indicato, ma si ricava dall’ordinamento, che l’ipotesi di rendita vitalizia successiva disposta per donazione è vietata, perché l’art 796 c.c., titolato riserva di usufrutto, prevede che “È permesso al donante di riservare l’usufrutto dei beni donati a proprio vantaggio, e dopo di lui a vantaggio di un’altra persona o anche di più persone, ma non successivamente”.

Ciò implica che, ai fini della validità dell’atto donativo in questione, è necessario che i soggetti beneficiari della rendita vitalizia siano indicati tutti nello stesso momento, ovvero al momento della costituzione dell’atto.

In sintesi, la fattispecie della rendita vitalizia successiva è vietata nel testamento e nella donazione, anche indiretta, ma è consentito per atto a titolo oneroso[12], in quanto, al di fuori dei limiti fin qui esposti, vige il principio di autonomia negoziale.

Con relazione al tema dell’inadempimento, invece, l’ordinamento prevede due fattispecie differenti.

Infatti, ai sensi dell’art 1877 c.c., “il creditore di una rendita vitalizia costituita a titolo oneroso può chiedere la risoluzione del contratto, se il promittente non gli dà o diminuisce le garanzie[13] pattuite”. 

Secondo, invece, l’art. 1878 c.c. “in caso di mancato pagamento delle rate di rendita scadute, il creditore della rendita, anche se è lo stesso stipulante, non può domandare la risoluzione del contratto, ma può far sequestrare e vendere i beni del suo debitore affinché col ricavato della vendita si faccia l’impiego di una somma sufficiente ad assicurare il pagamento della rendita”.

Il legislatore, quindi, prevede espressamente che il rimedio della risoluzione per inadempimento sia esperibile solo nel caso di diminuzione od assenza di garanzie stipulate pattiziamente. La ratio si basa sulla finalità assistenziale della rendita, che rende particolarmente dannosa per il creditore la risoluzione del contratto in caso di mancato pagamento delle rate del contratto stesso[14].

Proprio con riferimento al pagamento va sottolineato che ai sensi dell’art. 1880 c.c. la rendita si acquista giorno per giorno ma, con riferimento all’ipotesi di legato di rendita vitalizia, ex art. 670 c.c., la somma è erogata non prima della morte del testatore.

2. L’alea

L’elemento essenziale del contratto oneroso di rendita vitalizia è l’alea, che è rappresentata dall’incertezza in ordine alla durata della vita del soggetto a cui si commisura la rendita, comportando ciò l’impossibilità di determinare a priori le due prestazioni.

Sulla base di tale assunto si spiega il divieto del patto di riscatto, salvo patto contrario, e l’inammissibilità della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità[15].

La dottrina e la giurisprudenza[16] prevalenti ritengono che in sua assenza si generi la nullità del contratto di rendita vitalizia.

Quello che rileva ai fini della valutazione sulla sussistenza dell’alea e, quindi, sulla validità o nullità del contratto di rendita vitalizia è il momento della conclusione del contratto.

A tal proposito la giurisprudenza[17] ha affermato che “[…] la rendita vitalizia ha natura di contratto aleatorio postulando l’esistenza di una situazione di incertezza circa il vantaggio o lo svantaggio economico che potrà alternativamente realizzarsi nello svolgimento e nella durata del rapporto, con la conseguenza che la mancanza di alea rende nullo il contratto per difetto di causa.

La mancanza di alea è riscontrabile tutte le volte in cui l’entità della prestazione assicurata (cioè la rendita) sia inferiore o pari ai frutti o agli utili ricavabili dal cespite ceduto ovvero quando il beneficiario della rendita sia da ritenere prossimo alla morte per malattia o per età […]“.

Va sottolineato tuttavia che, in realtà, questi elementi altro non sono che indizi di mancanza di alea, che singolarmente non sono sufficienti a rendere nullo il contratto in quanto la fattispecie concreta va sempre verificata caso per caso, sulla base della c.d. equivalenza del rischio, ovvero, deve essere effettivamente un contratto in cui l’incertezza della durata della vita della persona non comporti a priori una sproporzione rispetto alla prestazione del vitaliziante, poiché le due prestazioni devono essere astrattamente in equilibrio al momento della conclusione del contratto[18].

La giurisprudenza, in tal caso, parla del c.d. negotium mixtum cum donatione, ovvero di quel negozio oneroso che “[…] può configurarsi in quanto nell’obbiettivo squilibrio tra le prestazioni corrispettive, l’uno dei contraenti addivenga l’assicurazione del contratto, con l’intento conosciuto e accettato dall’altro, di realizzare accanto ad uno scambio di attribuzioni patrimoniali integrante gli estremi tipici del contenuto del negozio di cui agli artt. 1872 e ss, anche un vantaggio a favore della controparte a titolo di liberalità.

Il riscontro di un’oggettiva e notevole sproporzione tra l’entità delle corrispettive prestazioni dedotte nel contratto nella mancata dimostrazione e addirittura indicazione di qualsiasi altro plausibile interesse della destinataria della rendita, cioè la vitaliziata, idoneo a giustificare il concordato squilibrato spostamento patrimoniale, può sempre ad avviso del collegio, essere considerato indizio di per sé sufficiente a rivelare la sussistenza dell’animus donandi nella vitaliziata e della consapevolezza dell’accettazione di tale animus nei vitalizianti in un contesto in cui con accertamento di fatto da avere per non sindacabile in questa sede, il giudice del merito abbia rilevato l’esistenza di un malanimo della prima nei confronti delle sue successibili legittimarie e quindi di una ben presumibile volontà della stessa di diseredarle a vantaggio di altri[…]”[19].

È chiaro che la difficoltà è quella di ravvisare in concreto la possibilità che nel contratto che le parti hanno chiamato di rendita vitalizia si celi un negozio misto con donazione.

Quindi, la giurisprudenza[20] afferma che “[…] il riscontro di una oggettiva notevole sproporzione fra le entità delle corrispettive prestazioni dedotte nel contratto nella mancata dimostrazione è indicazione di un qualsiasi altro possibile interesse della vitaliziata idonea a giustificare il concordato squilibrato spostamento patrimoniale[…]”, cioè quando non c’è altra causa giustificatrice della sperequazione tra le prestazioni può, essere considerato indizio di per sé sufficiente a “[…] rilevare la sussistenza dell’animus donandi nella vitaliziata e della consapevolezza dell’accettazione di tale animus nei vitalizianti[…]”.

Ovviamente, il contratto si può convertire in un valido negozio misto con donazione in quanto abbia i requisiti di forma.

3. Questioni giuridiche

La giurisprudenza e la dottrina hanno sollevato questioni giuridiche in relazione al rapporto esistente tra:

  1. rendita vitalizia e obbligazione contrattuale soggetta a prelazione;
  2. rendita vitalizia e comunione legale dei coniugi.

Quanto alla prima questione, essa si genera per la fattispecie in cui il bene oggetto del contratto di rendita vitalizia sia assoggettato all’eventuale prelazione ad opera di altri soggetti[21].

Nella rendita vitalizia, essendo la relativa prestazione di per sé fungibile, si ritiene che anche il contratto di rendita vitalizia possa essere soggetto a prelazione[22].

Diversamente non può dirsi per gli istituti affini del contratto atipico di mantenimento e dell’istituto dell’obbligo di alimenti poiché, data la natura strettamente personale della prestazione, questi contratti originano da prestazioni infungibili.

Quanto alla seconda questione, la fattispecie si riferisce al momento della conclusione del contratto, ovvero, quando il vitaliziante, coniugato in regime di comunione legale dei beni, a conclusione del contratto di rendita vitalizia riceve il trasferimento del bene.

La questione appare risolta ai sensi dell’art. 177 c.c., lett. a, in quanto gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali costituiscono oggetto di comunione legale.

È, tuttavia, possibile evitare che il bene cada in comunione dando luogo al contratto di separazione patrimoniale dei beni, prima di concludere il contratto di rendita vitalizia[23].

La giurisprudenza ha indagato sulla possibilità di ammettere, come soluzione alternativa, anche il rifiuto del co-acquisto[24] operato da parte di uno dei coniugi secondo quanto articolato dall’art 179, II comma, c.c. in cui si delinea l’ipotesi di escludere dalla comunione determinati beni immobili, o mobili registrati, mediante l’apposizione in sede di atto di acquisto[25] della dichiarazione di esclusione.

In realtà, prevalentemente si ritiene[26] che non sia possibile l’applicazione dell’art. 179, II comma, c.c., alla rendita vitalizia perché si tratta di un bene che non rientra nella fattispecie dello stesso comma e, altresì, perché quantunque vi fossero le condizioni necessarie alla realizzazione del comma II del suddetto articolo, il bene oggetto di rendita vitalizia non sarebbe, di per se stesso ed ab origine, a natura personale[27] del coniuge vitaliziante.

Nell’ipotesi della rendita vitalizia, quindi, per superare la questione della comunione legale, l’unica soluzione certa è quella della separazione patrimoniale dei beni da effettuarsi a monte.

4. Altre prestazioni periodiche

In realtà, le prestazioni periodiche che possono essere effettuate in favore di un determinato soggetto, non si esauriscono nella rendita vitalizia. Rilevano, infatti, anche l’obbligo di alimenti ed il contratto di mantenimento.

4.1 Obbligo degli alimenti

Nel nostro ordinamento è disciplinata una prestazione periodica tipica che può avere origine oltre che ex lege[28], anche da un negozio giuridico inter vivos o mortis causa.

Differisce dal contratto di rendita vitalizia in quanto il legislatore prevede l’obbligo di corresponsione di alimenti in proporzione al bisogno ed a quanto necessario per la vita dell’alimentando (coniuge, figli, genitori ecc.) che versi in uno stato di bisogno, tenendo conto delle condizioni economiche del somministrante e avuto riguardo per la posizione sociale dell’alimentando stesso.

Tanto la dottrina[29] quanto la giurisprudenza[30] prevedono che il bisogno dell’alimentando vada considerato non soltanto tenendo conto della sua persona, ma anche dei suoi più stretti familiari. Ciò significa che la prestazione non va erogata solo all’alimentando in quanto tale, ma anche ai suoi stretti congiunti.

Quanto al contenuto delle prestazioni il legislatore non ha previsto un elenco tipico[31] e, in merito, la giurisprudenza afferma che “[…] il contenuto atipico del cosiddetto vitalizio alimentare differisce da quello nominato della rendita vitalizia ex art. 1872 c.c. per l’accentuata spiritualità delle prestazioni assistenziali che ne costituiscono il contenuto e come tali eseguibili solo da un vitaliziante specificamente individuato alla luce delle sue proprie qualità personali e per il carattere più marcato dell’alea che lo riguarda, correlata non solo alla durata della vita del beneficiario ma anche alla variabilità e discontinuità delle prestazioni suddette, suscettibili di modificarsi, secondo i bisogni, anche in relazione all’età e alla salute del beneficiario[…][32].

Quando tale istituto è realizzato a mezzo di un atto mortis causa, l’ipotesi tipica si realizza nel legato di alimenti che, differentemente da quanto detto per il contratto di rendita vitalizia, dà luogo ad un debito di valore per cui la prestazione sarà soggetta a rivalutazione nel quantum.

In oltre, nel caso di specie e per rintracciare i parametri di rivalutazione, si deve distinguere l’ipotesi in cui l’onerato sia erede che accetta senza o con beneficio di inventario.

Nel caso in cui l’erede accetti senza beneficio di inventario, per la determinazione del quantum andrà preso in considerazione solo il parametro della condizione economica dell’onerato, poiché, verificandosi la confusione tra il proprio patrimonio ed il patrimonio ereditario del de cuius, non è possibile distinguere i beni originari da quelli pervenuti con l’apertura della successione. Conseguentemente, l’erede è obbligato per l’intero importo del legato alimentare.

Nel secondo caso, l’ammontare degli alimenti è originato dalla valutazione della condizione economica dell’onerato e dalla consistenza dell’eredità[33]. Ciò implica che l’onerato non è tenuto a versare più di quanto indicato dalla disposizione testamentaria, come disposto dall’art. 671 c.c. ed atteso che le due masse patrimoniali rimangono ben distinte l’una dall’altra.

4.2 Contratto di mantenimento o vitalizio alimentare (o assistenziale)

Il contratto di mantenimento è quel contratto atipico, a titolo gratuito od oneroso, differente dal contratto di rendita vitalizia in quanto una parte si obbliga a corrispondere in modo continuativo una serie di prestazioni di fare o di dare[34], per tutta la durata della vita del soggetto che beneficia di quelle prestazioni.

La giurisprudenza[35], in passato, sulla base dell’oggetto del contratto, inquadrava nello schema del contratto di rendita vitalizia il c.d. contratto di mantenimento, ovvero, l’accordo oneroso mediante il quale una parte, come corrispettivo dell’alienazione di un immobile, si obbliga a prestare l’assistenza morale e materiale all’altra parte.

La particolarità di questo contratto risiede nell’elemento dell’intuitus personae in quanto le parti fanno riferimento ad una serie di prestazioni legate imprescindibilmente alle qualità personali del somministrante.

Questo fa sì che la prestazione sia naturalmente infungibile, come detto per l’obbligo degli alimenti.

La giurisprudenza, quando si riferisce al contratto di mantenimento, spesso non parla di contratto di mantenimento ma di vitalizio alimentare o vitalizio assistenziale in quanto sinonimi, per cui, a partire da tale momento si farà riferimento al vitalizio alimentare per parlare di contratto di mantenimento.

Come per il contratto di rendita vitalizia, anche per il vitalizio alimentare si parla di alea.

In particolar modo, qui l’alea è duplice, perchè l’incertezza è sia relativa alla durata del contratto, che corrisponde alla durata della vita del soggetto cui è commisurata la durata del contratto di mantenimento, sia al contenuto delle prestazioni, ovvero, ai bisogni di vita del soggetto che riceve le prestazioni[36].

L’incertezza che ne deriva dall’alea va valutata sempre con riferimento alla proporzione tra le prestazioni, così come prima indicato per la rendita vitalizia ed “[…]ai fini dell’accertamento della simulazione di un contratto atipico di mantenimento, denominato anche vitalizio assistenziale, in quanto dissimulante una donazione, l’elemento essenziale della aleatorietà va valutato in relazione al momento della conclusione del contratto.

Essendo lo stesso caratterizzato da incertezze obiettive iniziali in ordine alla durata della vita del vitaliziato e dalla correlativa uguale incertezza del rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dal vitaliziante legate ad esigenze assistenziali del vitaliziato e il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio, potendosi peraltro ritenere presuntivamente provato lo spirito di liberalità tipico della dissimulata donazione, proprio tramite la verifica dell’originaria sproporzione tra le prestazioni[…][37].

La giurisprudenza, quindi, ammette che una volta stabilita la mancanza di alea derivante dalla sproporzione tra le due prestazioni, l’effetto che se ne produce è quello della nullità del contratto e, che la stessa sproporzione, se risulta che le parti l’avevano consapevolmente accettata, il contratto rimane valido ma va assoggettato alla disciplina del contratto di donazione, nel rispetto delle regole di forma, seppur dissimulata e con l’onere del mantenimento.

In ogni caso, l’accertamento rimane sempre una questione di fatto rimessa al giudizio del giudice di merito.

In relazione a questo tipo di contratto, ed al contratto di rendita vitalizia, è nata l’esigenza di stabilire se sia possibile modificare le prestazioni oggetto del contratto di rendita alimentare al mutamento delle esigenze del vitaliziato o in caso di eccessiva onerosità della prestazione.

La giurisprudenza ha affermato che l’atto modificativo va a porsi in contrasto con la natura aleatoria del contratto stesso. Infatti, il voler riequilibrare le prestazioni contrasta con la natura di contratto aleatorio.

Quanto alla sua disciplina, essendo un contratto non nominato nel nostro ordinamento, la dottrina prevalente ritiene che sia applicata la disciplina generale del contratto di rendita vitalizia solo in quanto sia compatibile con la natura e struttura del negozio di mantenimento.

A tal proposito, non si ritiene applicabile la regola disciplinata ex art. 1878 c.c. in tema di mancanza di pagamento delle rate scadute in quanto il creditore non può ristorarsi operando il sequestro e la vendita forzata dei beni del debitore assunto che la prestazione inadempiuta è di tipo infungibile.


[1] La cessione di un capitale è ipotesi assai poco praticata nella realtà.

[2] Da qui, la definizione di rendita vitalizia è la seguente: prestazione periodica di una somma di denaro o di una certa quantità di altre cose fungibili, quale corrispettivo dell’alienazione di un immobile o della cessione di un capitale.

[3] Il contenuto della prestazione è già previamente indicato ex art. 1861 c.c.

[4] La fonte del contratto di rendita vitalizia può essere anche derivante da: negozio giuridico (contratto di assicurazione, di divisione); legislazione sociale (pensioni, assegni vitalizi); sentenza (ex art. 2057); transazione. Queste fonti sono atipiche perché non rientrano nelle ipotesi previste dall’art. 1872, ma la prestazione sarà tipica perché sarà sempre prevista la corresponsione di una determinata somma di danaro o di una certa quantità di cose fungibili dal vitaliziante al vitaliziato.

[5] Ad eccezione dei casi in cui la specifica natura del negozio richiede una forma particolare, come ad esempio l’atto pubblico.

[6] Cfr. Andreoli, la rendita vitalizia, p. 7 ss.

[7] La distinzione tra debiti di valuta e debiti di valore è stata introdotta principalmente dall’ Ascarelli, La moneta, Padova, 1928, pp. 141 e ss.; cfr. anche Delle obbligazioni pecuniarie, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1959, pp. 170 e ss.

[8] È assai raro nella pratica che la durata della rendita sia commisurata alla vita di un soggetto diverso dal vitaliziato.

[9] Cfr. cassazione 82/3394.

[10] Nella solidarietà passiva vige la regola della presunzione di solidarietà, per cui, non è necessario che risulti dal titolo.

[11] Vedi art. 698 c.c.:“La disposizione, con la quale è lasciato a più persone successivamente l’usufrutto, una rendita o un’annualità, ha valore soltanto a favore di quelli che alla morte del testatore si trovano primi chiamati a goderne”. Cfr. Lener, il rapporto di rendita perpetua, Milano, 1967, circa l’ammissibilità della rendita perpetua successiva, poiché si costituisce un’unica rendita, ancorchè perpetua, che può essere trasmessa per atto inter vivos o per testamento.

[12] Cfr. Cassazione 3 giugno 1982. 3394: “Nella convenzione con cui una parte in corrispettivo della cessione di un’azienda commerciale e del trasferimento della relativa gestione, si obbliga a corrispondere una determinata somma mensile al’altra parte fino al decesso di costui, e successivamente una rendita in danaro di 1/3 vita natural durante sottoposta alla condizione risolutiva del suo eventuale matrimonio…… si configura una costituzione di rendita vitalizia a titolo oneroso, con costituzione di vitalizio successivo in cui più creditori della rendita sono chiamati a goderne non insieme, ma uno dopo l’altro”.

[13] Sia con riferimento alle garanzie reali, che a quelle personali.

[14] Cfr. Cassazione 5 maggio 2010 n. 10859, Trib. Salerno 12 maggio 2014, Trib. Lucca 10 gennaio 2014. Si tratta di un rimedio particolare che differisce dall’ipotesi di inadempimento della prestazione oggetto di contratto di mantenimento in cui, al contrario, è ammesso il rimedio della risoluzione del contratto per inadempimento ex artt. 1453 c.c. e ss.

[15] Cfr. art. 1879, II comma, c.c.

[16] Cassazione 95/8287; Torrente, rendita vitalizia, comm. SB, p. 81 e ss.

[17] Cassazione 9 gennaio 1999, n. 117.

[18] Cfr. Cassazione 11 marzo 2016, n. 4825 “[…]in tema di rendita vitalizia realizzata mediante il trasferimento di un bene immobile in favore dell’obbligato al versamento periodico, l’aleatorietà del contratto che sussiste a fronte di una effettiva incertezza, sui vantaggi e i sacrifici derivanti reciprocamente alle parti dalle prestazioni, va verificata tenendo conto del valore dell’immobile trasferito al vitaliziante rispetto all’importo della rendita da erogare al vitaliziato per la probabile durata della vita dello stesso e resta escluso ove ricorre un’obbiettiva sproporzione tra valore e rendita. […]”.

[19] Cfr. Cassazione 24 agosto 1998, n. 8357.

[20] Cfr. Cassazione 8357/1998.

[21] Rendita vitalizia e prelazione agraria, Foro it. 1987, I, p. 1085.

[22] Nel contratto di mantenimento le prestazioni sono quasi sempre prestazioni infungibili, legate alle qualità del vitaliziante, cioè del soggetto che esegue quelle prestazioni. Poichè la prelazione, solitamente, opera a parità di condizioni (fungibilità della prestazione), se la prestazione è infungibile non me la può dare il prelazionario.

[23] Si tratta di una mera scelta programmatica.

[24] Alla fine degli anni ’80, anche mantenendo intatto il regime della comunione legale dei beni, i coniugi potevano, caso per caso, esercitare il rifiuto dell’acquisto in comunione dei beni dichiarando espressamente che, pur avendo adottato il regime della comunione legale dei beni, volessero escludere il bene della comunione legale mediante rifiuto di acquisto in comune.

[25] Nell’atto devono necessariamente partecipare entrambi i coniugi.

[26] Cfr. cassazione ss. uu. 22775/09.

[27] La natura personale del bene è caratteristica imprescindibile affinché si producano gli effetti di cui all’art. 177, II comma, c.c.

[28] Cfr. artt. 433 e ss. c.c.

[29] Cfr. Azzariti, le successioni e le donazioni, libro secondo del codice civile, Napoli, 1990; Masi, Dei legati, Bologna – Roma, Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, 1979; Capozzi, Successioni e donazioni, ult. Ed., Milano.

[30] Cassazione 3925/1957.

[31] Il legislatore del 1965 aveva, invece, previsto una elencazione con la quale si indicava che l’alimentando aveva diritto al vitto, al vestito, all’abitazione ed a tutto quanto necessario alla vita e che poteva estendersi all’istruzione conveniente alla condizione dell’alimentando stesso.

[32] Massima Cassazione 31 ottobre 2016 n. 22009.

[33] Ovvero dalla consistenza del legato se si tratta di legatario e non di erede.

[34] Solitamente si tratta di vitto, alloggio, vestiario, ma anche le cure mediche, chirurgiche, infermieristiche, l’assistenza, la compagnia; cfr. cassazione 3925/1957.

[35] Cfr. Cassazione 82/1683

[36] Cfr. cassazione 23 novembre 2016, n. 23895; Cassazione 28 settembre 2016, n. 19214.

[37] Cfr. Cassazione 29 febbraio 2016, n. 3932.

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