Con la sentenza n. 15024 del 21 luglio 2016, la prima sezione civile della Corte di Cassazione, ha chiarito che, a seguito del decesso della madre che ha partorito nell’anonimato, l’interesse della stessa alla segretezza diviene recessivo di fronte al diritto del figlio adottato di conoscere le proprie origini biologiche e le circostanze della propria nascita.
Sguardo alla normativa e alla giurisprudenza europea e internazionale
Preliminarmente, la Suprema Corte ha affermato che il diritto del figlio adottato trova un riconoscimento sempre più ampio a livello internazionale (art. 7 della Convezione di New York del 20 novembre 1989; art. 30 convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993; Raccomandazione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio di Europa n. 1443 del 2000) e a livello sovranazionale, sia con riferimento ad alcune legislazioni europee, che con riguardo alle pronunce della Corte Europea dei diritto dell’Uomo.
In particolare, la Corte di legittimità ha richiamato la sentenza del 25 settembre 2012, caso Godelli contro Italia, con cui la Corte Europea dei diritti dell’uomo, nell’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione EDU, ha affermato che il diritto alla conoscenza delle proprie origini rientra nell’alveo della vita privata e, specificatamente, nella sfera di protezione del diritto all’identità personale e della realizzazione personale, considerato che la nascita e le sue circostanze costituiscono elementi della vita privata del bambino e dei genitori.
Ciò chiarito, la Suprema Corte ha, quindi, richiamato la sentenza del 13 febbraio 2012, caso Odievre contro Francia, con la quale la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha statuito che, nell’ipotesi in cui la madre versi in una situazione di difficoltà tale da non consentirle di assumere il ruolo genitoriale, l’interesse all’anonimato della madre prevale sul diritto alla conoscenza delle proprie origini con cui entra in conflitto, qualora consenta, per il tramite di un parto in condizioni igenico-sanitarie appropriate di salvaguardare e proteggere la salute di lei e del figlio, evitando che tale condizione porti all’aborto.
Il rapporto tra il diritto all’anonimato della madre e il diritto del figlio adottato di conoscere le proprie origini
Tuttavia, la Suprema Corte, aderendo alla dottrina maggioritaria, ha specificato che la Corte Europea non ha compiuto un’effettiva ponderazione tra gli interessi, assicurando un equilibrio tra i diritti in gioco, considerato che al minore non è stato concesso alcuni strumento giuridico per contrastare la volontà del rifiuto unilateralmente espressa dalla madre, con la conseguenza che il diritto all’accesso alle informazioni sulle origini personali del bambino resta subordinato alla decisione esclusiva della madre.
In altri termini, la Corte di legittimità ha rilevato che il diritto all’anonimato, a seguito del parto, è strumentale a proteggere la madre dalle conseguenze negative che potrebbero ripercuotersi su di lei. Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto che al diritto fondamentale di conoscere la propria identità si oppone un interesse alla segretezza della maternità biologica cui l’ordinamento ha, indebitamente, riconosciuto una tutela in modo assoluto, rimettendo la scelta alla sola volontà della madre, atteso che la rilevanza del diritto del bambino dovrebbe essere inversamente proporzionale, più ci si allontana dal momento in cui la madre ha operato la propria scelta.
La decisione della Corte: con il decesso della madre cessa il segreto della maternità biologica
La Suprema Corte, pertanto richiamando la pronuncia del 18 novembre 2013 n. 278 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità con gli artt. 2 e 3 della Cost. con l’art. 117 co. 2 D.L.vo 196 del 2003 nella parte in cui esclude la possibilità per la persona adottata di accedere alle informazioni sulle proprie origini senza aver prima accertato la persistenza della volontà della madre biologica di non voler essere nominata, ha ritenuto che la cristallizzazione della scelta per l’anonimato operata dalla madre non possa eccedere il limite della vita della stessa.
In altri termini, la Suprema Corte ha affermato che il decesso della madre assurge a presunzione della volontà della stessa di rimuovere il segreto della maternità biologica, atteso che, in caso contrario, l’evento morte non garantirebbe in alcun modo la reversibilità del segreto stesso, quale elemento rilevante e decisionale per la Corte Costituzionale, comportando la perdita definitiva del diritto fondamentale del figlio alla tutela della interesse costituzionale alla personalità.
Di conseguenza, il decesso della madre, determinando un affievolimento, se non addirittura una scomparsa, delle ragioni di protezione che l’ordinamento ha riconosciuto come meritevoli di tutela per tutta la vita della donna, “comporta il venir meno dell’immobilizzazione della scelta dell’anonimato della maternità biologica“.
In conclusione, la Corte ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata, autorizzando la ricorrente ad accedere alle informazioni relative all’identità della propria madre biologica.