Con la sentenza n. 7306 del 13 aprile 2016, la sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha ribadito, in tema di notificazioni, che la notifica di un atto a una persona giuridica è regolare quando sia ritirato da un soggetto legato ad essa da un qualunque rapporto.
A tal riguardo, secondo un principio ormai consolidato, ai fini della regolarità della notificazione di atti a persona giuridica, ai sensi dell’art. 145 c.p.c., presso la sede legale ovvero presso quella effettiva ex art. 46, co. 2, c.c., è sufficiente che il consegnatario sia legato alla persona giuridica stessa da un particolare rapporto che, non dovendo necessariamente essere di prestazione lavorativa, può risultare anche dall’incarico, eventualmente provvisorio o precario, di ricevere la corrispondenza.
Ne deriva che, qualora dalla relazione dell’ufficiale giudiziario risulti la presenza di una persona che si trovava nei locali della sede stessa, è da presumere che tale persona fosse addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica, anche se da questa non dipendente. E la società, per vincere tale presunzione, ha l’onere di provare che la stessa persona, oltre a non essere un suo dipendente, non era neppure addetta alla sede per non averne mai ricevuto incarico alcuno: in altre parole, “la prova dell’insussistenza di un rapporto siffatto non è adempiuto con la sola dimostrazione dell’inesistenza d’un rapporto di lavoro subordinato tra la persona in questione ed il destinatario della notifica, attesa la configurabilità di altri rapporti idonei a conferire la richiesta qualità“.
Per quanto riguarda, poi, la difformità tra il luogo di notificazione e la sede legale della società, la Suprema Corte ha inoltre rilevato che quando l’ufficiale giudiziario attesti di non avere rinvenuto la società destinataria della notifica presso la sua sede legale, perché, secondo quanto appreso, questa aveva la sua sede effettiva altrove, e recatosi presso la sede effettiva, abbia fatto consegna a persona qualificatasi come “addetta” alla ricezione per la società, le attestazioni in parola sono da ritenersi assistite da fede fino a querela di falso, riguardando esse circostanze frutto della diretta attività e percezione del pubblico ufficiale.
In conclusione, sulla scorta di quanto affermato, la Corte ha quindi rigettato il ricorso, con condanna del ricorrente ai pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Leggi la sentenza integrale: Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, sentenza n. 7306 del 13 aprile 2016