Denuncia di danno temuto: esperibilità in ambito condominiale

Nel presente documento si esamina la tematica relativa alla legittimazione del singolo condòmino, nel caso in cui l’assemblea abbia deliberato di non approvare lavori che una relazione tecnica abbia invece attestato essere necessari ai fini della sicurezza e della stabilità del fabbricato, ad esperire, nei confronti del condominio e dell’Amministratore, la denuncia di danno temuto ex art. 1172 c.c. 

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La questione

Ai sensi dell’art. 1172 c.c., “il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o il possessore, il quale ha ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l’oggetto del suo diritto o del suo possesso, può denunziare il fatto all’autorità giudiziaria e ottenere, secondo le circostanze, che si provveda per ovviare al pericolo”.
Ci si chiede se la denuncia prevista dalla suddetta norma, nota come “denuncia di danno temuto”, sia proponibile anche da parte del singolo condòmino.
La proponibilità della denuncia da parte del singolo condòmino (Tizio) viene in rilievo nel caso in cui l’edificio condominiale presenti, a causa della vetustà del medesimo oppure della cattiva manutenzione da parte di alcuni condòmini, delle criticità strutturali tali da metterne in pericolo la stabilità, e, di conseguenza, da minacciare l’incolumità di tutti i condòmini (od anche di terzi che si trovino, per una qualsiasi ragione, a transitare nelle vicinanze di esso). Tale caso, nello specifico, potrebbe essere quello in cui, nelle varie delibere assembleari tenutesi nel corso di un arco di tempo medio – lungo, la maggioranza dei condòmini abbia sempre deliberato di non voler approvare i lavori di messa in sicurezza dell’edificio, mentre invece Tizio abbia sempre votato a favore dell’esecuzione dei medesimi; oppure quello in cui il condòmino proprietario dell’unità immobiliare la quale presenti le suddette criticità, non abbia ancora eseguito i lavori di messa in sicurezza di tale unità, nonostante che l’Amministratore lo abbia diffidato all’effettuazione dei medesimi.

Esperibilità della denuncia di danno temuto in ambito condominiale: fondamento sostanziale in base alla collocazione dell’art. 1172 c.c.

In primo luogo, la denuncia di danno temuto viene disciplinata nell’ambito del Libro Terzo del codice civile, dedicato al diritto di proprietà, che è lo stesso il quale disciplina il condominio.
In secondo luogo, non sembrerebbe che la formulazione letterale dell’art. 1172 c.c., il quale parla di “edificio, albero od altra cosa”, sia un ostacolo all’esperibilità della suddetta denuncia in ambito condominiale.
Ciò in quanto l’art. 833 c.c. – anch’esso, come l’art. 1172 c.c., inserito nel complesso delle norme disciplinanti il diritto di proprietà – prevede che “il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri”. Il termine “atti” identifica i “comportamenti”, ossia dei “fatti”.
Pertanto, allo stesso modo, l’art. 1172 c.c., con il termine “cosa”, si riferisce non soltanto ad un “bene materiale”, ma anche ad un “comportamento”, il quale minacci l’incolumità e la sicurezza del denunciante e/o dei beni di quest’ultimo.
Tale “comportamento” potrebbe essere quello degli altri condòmini, i quali, non approvando lavori che sono necessari alla sicurezza del fabbricato, ledono il diritto del singolo condòmino, che invece abbia votato a favore dell’esecuzione dei suddetti lavori, alla salvaguardia della propria persona e dei propri beni.
 

Esperibilità della denuncia di danno temuto in ambito condominiale: fondamento in base agli artt. 1137 comma 2 e 1117 ter c.c. .

L’art. 1137 comma 1 c.c. prevede che le deliberazioni adottate dall’assemblea con le maggioranze previste “sono obbligatorie per tutti i condomini”.
La domanda, pertanto, è la seguente: il fatto che l’assemblea abbia votato, con le maggioranze previste dalla legge, contro l’esecuzione dei lavori di messa in sicurezza, è sufficiente ad impedire al singolo condòmino dissenziente di proporre la denuncia ex art. 1172 c.c.?   
A norma dell’art. 1137 comma 2 c.c.,contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti …”.
Il problema è sapere a cosa esattamente si riferisca la suddetta norma quando parla di “legge”.
Se per “legge” si intende soltanto l’osservanza dei quorum costituitivi e deliberativi previsti ai fini della validità delle decisioni assembleari, si deve ritenere che il rispetto di tali quorum sia sufficiente a qualificare la delibera come conforme alla legge, e quindi come non impugnabile da parte del condòmino dissenziente.
Se, invece, con il termine “legge” ci si riferisce ad altre norme che possono essere violate nonostante che la delibera sia stata assunta con i quorum previsti, e quindi sia stata adottata validamente, allora si deve considerare come ammissibile l’impugnazione da parte del condòmino dissenziente.
Nella disciplina del condominio, il problema relativo alla sicurezza del fabbricato è affrontato in diverse norme.
L’art. 1117 ter c.c. prevede che l’assemblea, per “esigenze di interesse condominiale”, possa “modificare la destinazione d’uso delle parti comuni”, ma l’ultimo comma stabilisce che “sono vietate le modificazioni delle destinazioni d’uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato”.
Da tale norma si evince che l’assemblea, quand’anche dovesse ritenere necessaria la modifica della destinazione d’uso delle parti comuni per “esigenze di interesse condominiale”, e quindi dovesse votare a favore di tale modifica, non potrebbe comunque adottare una delibera il cui effetto sia quello di pregiudicare la sicurezza e la stabilità dell’edificio. Tale delibera, nel caso in cui venisse adottata, sarebbe destinata ad essere considerata come illegittima, altrimenti non si spiegherebbe il divieto previsto dalla norma.
Pertanto, il fatto che la delibera sia stata adottata con le maggioranze previste (in tal caso, 4/5 dei partecipanti e 4/5 del valore dell’edificio), non è sufficiente ad escludere che la stessa possa aver violato il divieto sopra citato.
Di conseguenza, il singolo condòmino dissenziente deve considerarsi pienamente legittimato ad impugnare la delibera, nonostante che questa sia stata adottata con i quorum previsti.

Il problema della compatibilità della denuncia di danno temuto, esperibile senza alcun termine decadenziale, con il termine dei 30 gg. previsto per l’annullabilità delle delibere assembleari: la tesi della nullità della delibera

Dall’art. 1117 ter c.c. si evince che la stabilità e la sicurezza del fabbricato costituiscono un diritto di “tutti” i condòmini: altrimenti la norma non prevederebbe il divieto assoluto di adottare delibere che pregiudichino tale diritto.
Pertanto, eguale diritto deve poter essere esercitato dal singolo condòmino quando l’assemblea abbia deciso di non approvare l’esecuzione di interventi che sono stati invece attestati, mediante relazione tecnica, come necessari a preservare la stabilità e la sicurezza dell’edificio.
Di conseguenza, si tratta di vedere se la delibera con la quale l’assemblea abbia deciso di non approvare l’esecuzione dei suddetti interventi, debba essere considerata come “annullabile” oppure come “nulla”.
Nel primo caso, vale quanto previsto dall’art. 1137 comma 2 c.c., e quindi l’impugnazione (domanda di annullamento) è proponibile entro 30 gg. dall’adozione della stessa.
La mancata impugnazione del condòmino entro il suddetto termine, potrebbe configurare una sostanziale acquiescenza alla delibera, il che potrebbe porre problemi in merito alla proponibilità della denuncia di danno temuto di cui all’art. 1172 c.c. . Il mancato utilizzo dello strumento di tutela (domanda di annullamento) previsto dalla disciplina del condominio, ossia dalla norma speciale, potrebbe ritenersi preclusivo dell’utilizzabilità dello strumento di tutela (denuncia di danno temuto) previsto dalla norma generale. Nel caso di specie, ciò comporta che il singolo condòmino, il quale aveva espresso il suo dissenso dalla delibera con la quale l’assemblea non aveva voluto approvare i lavori necessari alla messa in sicurezza del fabbricato, e che tuttavia non abbia impugnato tale delibera entro 30 gg. dall’adozione, non potrà far valere l’illegittimità di quest’ultima esercitando l’azione di danno temuto.
Nel secondo caso, invece, si dovrebbe poter richiamare l’art. 1422 c.c. dettato in materia di contratti, il quale stabilisce che l’azione di nullità è imprescrittibile, e quindi si dovrebbe ritenere che l’impugnazione proposta dal condòmino dissenziente non sia soggetta ad alcun termine decadenziale. Ciò aprirebbe quindi la strada all’esperibilità della denuncia di danno temuto, la quale, in base all’art. 1172 c.c., non risulta sottoposta ad alcun limite temporale. Pertanto, nel caso di specie, il singolo condòmino, anche se non ha impugnato entro i 30 gg. la delibera sopra citata, sarà comunque legittimato a far valere l’illegittimità di quest’ultima esercitando l’azione di danno temuto, e quindi chiedendo la condanna degli altri condòmini a sostenere le spese occorrenti per i lavori.

  • A favore della tesi della nullità della delibera, e quindi della imprescrittibilità della relativa impugnazione, si sostiene quanto segue.
    L’art. 1118 comma 3 c.c. stabilisce che “il condomino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare”. La “conservazione” delle parti comuni attiene essenzialmente al mantenimento delle medesime in condizioni di sicurezza. Tale mantenimento è un obbligo i cui effetti non sono limitati nel tempo, in quanto esso deve essere assolto ogni qual volta si verifichino fatti tali da mettere in pericolo la sussistenza delle suddette condizioni. Di conseguenza, l’obbligo del singolo condòmino di contribuire alle relative spese, assume il carattere di un vincolo “illimitato nel tempo”.
    Pertanto, il singolo condòmino, se ha un “obbligo permanente” a concorrere nelle spese a ciò necessarie, dovrà, coerentemente, ritenersi anche legittimato ad agire in giudizio senza alcun limite di tempo, e quindi in maniera “permanente”, per far sì che venga accertato, in capo all’intero condominio, l’obbligo di sostenere queste spese. Se così non fosse, si verificherebbe una discrasia tra l’obbligo individuale (partecipazione alle spese) e l’azione giudiziale volta ad ottenere, da parte degli altri condòmini, la piena attuazione del medesimo: mentre il primo è illimitato nel tempo, la seconda, la quale – è questo il punto – è finalizzata proprio a garantire la piena attuazione del primo, e non ad eludere l’osservanza del medesimo, si troverebbe invece soggetta ad un termine decadenziale (impossibilità di chiedere l’annullamento della delibera una volta decorsi i 30 gg. previsti dall’art. 1137 comma 2 c.c.). Il singolo condòmino, anziché eludere le spese relative alla conservazione delle parti comuni, desidera non soltanto pagarle per quella che è la propria quota, ma ottenere che tutti gli altri condòmini le sostengano, in quanto solo in tal modo il fine previsto dalla norma – ossia il mantenimento delle suddette parti in condizioni di sicurezza – potrà essere pienamente attuato. Egli, in questo caso, si rivolge all’Autorità Giudiziaria non per tutelare un proprio egoistico interesse (ossia sottrarsi alle spese), ma per tutelare un interesse comune, che non a caso è stabilito dalla legge come obbligo di carattere permanente. Egli, di conseguenza, dovrebbe considerarsi legittimato ad agire giudizialmente senza tempo per ottenere il pieno soddisfacimento di tale interesse, proponendo un’azione giudiziale – qual è la denuncia di danno temuto – che, per l’appunto, non è soggetta ad alcun limite decadenziale.
    Ne deriva, quindi, che il singolo condòmino, come può agire giudizialmente senza vincoli temporali per ottenere, da parte degli altri condòmini, il pagamento delle spese a loro carico per il mantenimento delle parti comuni in condizioni di sicurezza (art. 1118 comma 3 c.c.), così potrà agire giudizialmente senza i suddetti vincoli per sentir accertare dal Giudice l’invalidità della delibera con la quale siano state approvate modificazioni delle destinazioni d’uso delle parti comuni le quali pregiudichino la stabilità e la sicurezza del fabbricato (art. 1117 ter c.c.). Di conseguenza, il singolo condòmino deve ritenersi legittimato ad agire giudizialmente senza limiti di tempo anche per ottenere una sentenza la quale obblighi gli altri condòmini a sostenere le spese che sono necessarie al mantenimento delle parti comuni in condizioni di sicurezza, ossia quelle spese che invece i suddetti condòmini, nelle precedenti assemblee, non hanno mai voluto approvare.
    La denuncia di danno temuto è, quindi, esperibile da parte del singolo condòmino nei riguardi degli altri condòmini i quali, nonostante la presenza di criticità strutturali del fabbricato, non abbiano mai voluto votare a favore dell’esecuzione di interventi essenziali a preservarne la sicurezza e la stabilità. Essa, in tal caso, ha ad oggetto l’accertamento degli obblighi dei suddetti condòmini a concorrere nelle spese conseguenti a tali interventi.

 

Denuncia di danno temuto contro l’Amministratore di condominio

 

Ci si chiede se la denuncia di danno temuto sia esperibile, oltre che nei confronti dei condòmini che non hanno approvato la spesa per i lavori, anche nei riguardi dell’Amministratore di condominio.
L’art. 1135 comma 2 c.c. legittima l’Amministratore ad ordinare i lavori di manutenzione straordinaria i quali rivestano carattere di urgenza, fermo restando il suo obbligo di riferire in merito nella prima assemblea.
Ci si chiede se l’Amministratore possa invocare il carattere “urgente” dei lavori anche quando l’assemblea abbia deliberato di non approvarli.
Ai sensi dell’art. 1130 comma 1 n. 1) c.c., l’Amministratore è tenuto ad “eseguire le deliberazioni dell’assemblea”, e pertanto sembrerebbe che egli non possa agire in contrasto con il contenuto della delibera.
Tuttavia, a norma dell’art. 1131 comma 2 c.c., all’Amministratore sono notificati i provvedimenti dell’Autorità Amministrativa che si riferiscono alle parti comuni dell’edificio. Siffatti provvedimenti, poiché emanati dalla PA a tutela di un interesse evidentemente ritenuto di rilevanza primaria, hanno un carattere cogente, e pertanto producono effetto a prescindere da qualsivoglia volontà assembleare. Essi vengono notificati all’Amministratore proprio affinchè questi ne assicuri la piena applicazione.
I suddetti provvedimenti non avrebbero alcun senso se poi l’Amministratore, pur essendone il destinatario, non fosse legittimato a garantire la piena attuazione dei medesimi a causa di una pregressa volontà assembleare di contenuto contrario (ossia, la delibera con la quale i lavori di messa in sicurezza non sono stati approvati).
Ciò, del resto, è coerente quanto previsto dall’art. 1130 c.c., che, tra le attribuzioni dell’Amministratore, prevede quella di “compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio”, una norma, quest’ultima, la quale stabilisce che l’Amministratore “deve” provvedere a tale adempimento: sembra, quindi, configurabile in capo a quest’ultimo la sussistenza di un vero e proprio obbligo, ossia l’adempimento di un dovere inderogabile, che dovrebbe prevalere anche su un’eventuale difforme volontà assembleare.
Di conseguenza, la denuncia di danno temuto può essere esperita anche nei confronti dell’Amministratore di condominio che non abbia provveduto ad ordinare i lavori di messa in sicurezza.

 

La stabilità e la sicurezza degli edifici condominiali: competenza del Comune e sua correlativa responsabilità in caso di inerzia

L’art. 54 comma 4 bis D.lgs. 267/2000 (TUEL) prevede che i provvedimenti concernenti l’incolumità pubblica adottati dal Sindaco, in qualità di Ufficiale del Governo, ai sensi del comma 4 della medesima norma, “sono diretti a tutelare l’integrità fisica della popolazione”. Il fatto che ci si riferisca alla “popolazione”, induce a ritenere che tali provvedimenti possano essere invocati anche quando i soggetti da tutelare siano alcuni condòmini, i quali si vedono impossibilitati a far eseguire i lavori di messa in sicurezza dello stabile condominiale a causa dell’ostracismo manifestato dalla maggioranza dei condòmini, la quale ha impedito l’effettuazione degli urgenti ed improcrastinabili lavori. Vero è che i condòmini fruiscono di un bene privato e non di un bene pubblico, ma è altresì vero che tale bene si trova comunque sul territorio comunale e che il termine “popolazione” ricomprende “tutti” i cittadini residenti nel medesimo territorio, anche quelli che abitano in aree di proprietà privata.
Inoltre, a dimostrazione del fatto che anche la sicurezza di edifici privati quali i condomìni deve essere garantita dal Comune, vi è da dire che il condominio viene espressamente citato nel DPR 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
L’art. 132 comma 5 prevede che l’amministratore di condominio il quale non ottemperi a quanto stabilito dall’art. 129 commi 1 e 2 – e cioè alle norme sul contenimento energetico – è soggetto all’applicazione, da parte del Comune, di una sanzione amministrativa. Sarebbe assurdo che il Comune potesse irrogare sanzioni nel caso di mancato rispetto dell’obbligo del contenimento del consumo energetico, e non avesse alcun potere di ripristinare (o di far ripristinare) le condizioni di sicurezza e vivibilità dello stabile condominiale, addirittura quando, p.es., l’assenza di tali condizioni sia stata attestata da un rapporto dei VVFF.
A ciò va aggiunto che, in base all’art. 4 comma 1 del medesimo DPR, il Regolamento Edilizio Comunale disciplina le normative di “sicurezza e vivibilità degli immobili”, e quindi il Comune deve necessariamente essere titolare di un qualche potere di ordinare, anche ad un condominio, l’esecuzione di lavori tali da ripristinare le più elementari norme di sicurezza dello stabile condominiale.
Alla luce di quanto sopra esposto, al di là della competenza dei VVFF, dovrebbero potersi configurare gli estremi per l’esercizio del potere sostitutivo da parte del Comune, il quale dovrebbe considerarsi legittimato (anzi: obbligato) a far eseguire coattivamente i lavori, salvo poi rivalersi sui singoli condòmini.
La competenza del Comune dovrebbe, poi, considerarsi come sussistente a maggior ragione nel caso in cui i VVFF, a seguito del sopralluogo eseguito presso la palazzina, abbiano inoltrato il relativo verbale proprio al Comune, il quale abbia poi notificato all’Amministratore di condominio i provvedimenti indicati nel verbale stesso al fine di ripristinare le originarie condizioni di sicurezza.
Il Comune, se veramente non avesse alcuna competenza in merito, non dovrebbe essere destinatario di alcun verbale.

Un’alternativa alla denuncia di danno temuto: il diritto del condòmino di far eseguire a proprie spese i lavori e di chiederne poi il rimborso agli altri condòmini

Ci si chiede, infine, se il singolo condòmino, il quale aveva votato a favore dell’effettuazione dei lavori di messa in sicurezza dell’edificio, possa tutelarsi non già attraverso la denuncia di danno temuto bensì facendo eseguire a proprie spese anche i lavori sulle parti comuni, salvo poi farsi rimborsare dagli altri condòmini, i quali invece, a maggioranza, avevano votato contro l’esecuzione dei lavori stessi.
L’art. 1134 c.c. prevede che “il condomino che ha assunto la gestione delle parti comuni senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente”.
La norma sembrerebbe fare riferimento al caso in cui l’iniziativa di far eseguire lavori sulle parti comuni sia stata presa dal condòmino prima ancora che l’assemblea potesse esprimersi in merito, e non al caso in cui, invece, il condòmino abbia agito contro una volontà assembleare già manifestata mediante delibera.
La stessa norma, tuttavia, non prevede che il condòmino abbia diritto al rimborso della spesa solo nel caso in cui questa sia stata successivamente ratificata dagli altri condòmini: pertanto, tale diritto sembrerebbe spettare al condòmino anche laddove la spesa non sia stata ratificata. Ma, se è così, chi attesta l’urgenza?
La certificazione dell’urgenza, anche se la norma non lo dice, deve necessariamente spettare ad un organo terzo. Questi può essere l’Amministratore? In teoria sì, perché quest’ultimo potrebbe far accertare, mediante perizia tecnica, che i lavori in realtà non erano urgenti, e, di conseguenza, potrebbe tutelare il diritto degli altri condòmini a non eseguire alcun rimborso. Ciò in quanto, ex art. 1130 comma 1 n. 1) c.c., il compito dell’Amministratore è quello di “eseguire le deliberazioni dell’assemblea”, ed inoltre, ex art. 1129 c.c., costituisce “grave irregolarità” la “mancata esecuzione” delle medesime. Quindi, se il condòmino ha fatto eseguire i lavori sulle parti comuni in assenza di qualsivoglia delibera assembleare e/o in contrasto con quest’ultima, l’Amministratore è tenuto ad intervenire a tutela degli altri condòmini chiedendo una perizia la quale attesti che l’urgenza non sussisteva, di modo che, nel caso in cui egli ottenga tale attestazione, venga salvaguardato il diritto degli altri condòmini a non effettuare il rimborso. Egli, se non agisce in tal senso, si rende responsabile di un grave inadempimento ai propri obblighi.
Tuttavia, risulta difficile che l’Amministratore possa esercitare un’azione a tutela degli altri condòmini, chiedendo la suddetta perizia, nel caso in cui il carattere di “urgenza” dei lavori sia stata attestata da un organismo terzo (VVFF. e/o Ufficio Tecnico Comunale) deputato al controllo sulla sicurezza e sulla stabilità del fabbricato.

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