La responsabilità erariale del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici

in Giuricivile, 2024, 1 (ISSN 2532-201X)

Principi generali di responsabilità erariale nel nuovo codice

Il dipendente pubblico, nell’esercizio delle proprie funzioni è soggetto a cinque responsabilità: civile, nell’ipotesi in cui cagioni a terzi un danno ingiusto risarcibile ex art. 2043 c.c.; penale, qualora commetta un reato c.d. proprio; amministrativo-contabile, allorquando arrechi un danno erariale; disciplinare, configurabile per la violazione agli obblighi previsti da contratto; infine qualora si tratti di dirigente è sottoposto anche alla responsabilità dirigenziale .[1]

La responsabilità amministrativa e contabile è definita come quella responsabilità che sorge dal danno causato alla Pubblica amministrazione dal comportamento attivo od omissivo di amministratori e dipendenti pubblici nell’esercizio delle loro funzioni. Si noti che non esistendo una locuzione accettata uniformemente dalla dottrina e dalla giurisprudenza molto spesso per intendere la predetta responsabilità si utilizzano locuzioni quali responsabilità amministrativa, responsabilità contabile, responsabilità per danno erariale. Tenuto conto che nel nuovo codice dei contratti pubblici, D.lgs. 36/2023, all’art. 2, co 3, il legislatore ha scelto la locuzione “responsabilità amministrativa” è sicuramente quella preferibile da utilizzare .

Ciò osservato la responsabilità amministrativa trova il suo collocamento nella più ampia responsabilità per violazione di norme di diritto, dunque a livello costituzionale nell’articolo 28, secondo il quale i funzionari e dipendenti dello Stato sono responsabili secondo le leggi civili, penali e amministrative degli atti compiuti in violazione dei diritti. A livello invece di fonti primarie la responsabilità amministrativa trova la sua disciplina sostanziale nelle Leggi n. 19 e 20 del 1994, e la sua disciplina processuale nel codice di giustizia contabile di cui al D.lgs. n. 174/ 2016 . Vale la pena puntualizzare che la natura della responsabilità amministrativa è stata al centro di un intenso dibattito circa la sua funzione pubblicistica o privatistica .

Tale dibattito è stato poi risolto , almeno in giurisprudenza se non in dottrina, dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 371/1998, con la quale è stata qualificata la responsabilità amministrativa come una responsabilità pubblica risarcitoria, con funzione sia riparatoria del danno subito dalla pubblica amministrazione e sia sanzionatoria dell’autore del danno.

Del resto a questa conclusione si giunge anche esaminando le norme che contraddistinguono l’illecito amministrativo contabile caratterizzato sia da profili civilistici che penalistici.

Passando infine agli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa questi sono la condotta, il rapporto di impiego e di servizio, l’elemento psicologico, il danno erariale, il nesso causale.

La colpa grave nel D.lgs. 36/2023

Il nuovo codice dedica la prima parte alla codificazione dei principi generali inerenti la materia dei contratti pubblici. All’articolo 2 codifica il principio della fiducia, secondo il quale il legislatore intende dare maggiore spazio ai poteri e alle iniziative delle stazioni appaltanti per contrastare la cosiddetta “burocrazia difensiva”, che spesso ha generato inefficienze e ritardi nella conclusione dei contratti pubblici.

Va altresì precisato che la valorizzazione dei poteri discrezionali del funzionario pubblico è in linea anche con la nuova formulazione dell’articolo 323 del c.p., che ha escluso la figura dell’eccesso di potere nel reato di abuso di ufficio .

Ebbene il comma 3 dell’articolo 2 definisce per la prima volta all’interno del codice degli appalti, il significato della colpa grave . Il legislatore ha stabilito che costituisce appunto colpa grave “la violazione di norme di diritto e degli auto vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed  informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto . 

Non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti”.

La novità del legislatore consiste nell’aver definito la colpa grave ex se per differenziarla appunto da quella lieve ed aiutare tutti gli operatori del diritto, sebbene la gravità della condotta non possa certo prescindere da un insieme di elementi, che dovranno essere valutati caso per caso .

Il giudice contabile sarà tenuto ad una doppia valutazione. Innanzitutto dovrà individuare la regola coniata per scongiurare il rischio di conseguenze. Successivamente dovrà valutare la gravità della condotta in ragione del caso concreto.

Il comma 3 conclude con   la precisazione che non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata da indirizzi giurisprudenziali prevalenti ovvero pareri dell’autorità, in conformità con quanto disposto dal codice di giustizia contabile, agli artt. 69 e 95, nonché in linea con i principali orientamenti giurisprudenziali.

La soluzione del legislatore di definire l’ambito della colpa grave è certamente un segnale di innovazione del presente codice. Ha certamente influito la circostanza che la formulazione del testo è stata affidata ad una Commissione speciale, istituita presso il Consiglio di Stato e impreziosita anche da membri appartenenti alla magistratura ordinaria e all’avvocatura di Stato. Il dato rilevante è che la definizione della colpa grave aiuta tutti gli operatori del diritto, poiché elimina quell’incertezza nell’applicazione delle leggi al caso concreto. Codificare i principi ispiratori dei contratti pubblici non solo rende comprensibile il disegno del legislatore, ma consente l’applicazione in maniera uniforme delle norme vigenti, evitando o riducendo i contrasti giurisprudenziali che alimentano la c.d. burocrazia difensiva e la conseguente inefficienza della pubblica amministrazione.

 

Responsabilità del R.U.P.

Il precedente codice dei contratti pubblici seguiva una complessa tecnica per l’identificazione dei compiti del Responsabile unico del procedimento. Difatti, all’articolo 31, prevedeva una competenza generale e residuale per tutti i compiti non attribuiti ad altri organi e uffici; rinviava genericamente ad altre disposizioni del codice per i compiti del RUP; elencava in dettaglio alcuni compiti del RUP; infine rinviava ad un’ulteriore atto attuativo l’indicazione in dettaglio dei compiti del RUP, che sarebbe dovuto avvenire con le Linee guida dell’Anac.

Invece, nel nuovo codice dei contratti, innanzitutto non si parla più di responsabile di procedimento, bensì di “responsabile di progetto”.  Già dalla nuova definizione si intuisce che tale soggetto diventa responsabile di tutte le fasi che consistono nella programmazione, progettazione, esecuzione e affidamento del contratto. Come precisato nello schema del Consiglio di Stato, la figura del responsabile unico di progetto non è una duplicazione del responsabile del procedimento di cui alla Legge 241 / 90. Il nuovo codice disciplina il responsabile come una persona fisica e non come un ufficio. A differenza del precedente codice, in cui erano state le linee guida dell’Anac a definire la competenza e l’operatività del RUP, nel nuovo codice è l’Allegato 1.2 ad individuare i suoi compiti e quelli specifici del direttore dei lavori e del direttore dell’esecuzione .

Inoltre il codice definisce le ipotesi di incompatibilità tra le funzioni del RUP e le altre funzioni tecniche; le coperture assicurative con oneri a carico dell’amministrazione; gli obblighi formativi a cui sono tenute le amministrazioni nei confronti del RUP. In particolare poi nell’allegato sono definiti i rapporti tra RUP e la commissione, i poteri del RUP e le competenze della commissione, i poteri del RUP nel procedimento di valutazione di anomalia dell’offerta, nonché i poteri del RUP anche con riguardo all’approvazione degli atti di gara o ai provvedimenti di esclusione.

Di norma nei contratti di servizi e forniture il RUP ricopre anche il ruolo di Direttore dell’Esecuzione, salvo negli appalti di particolare importanza stabiliti dall’art. 32 dell’allegato II o comunque che abbiano un importo superiore a € 500.000,00.

Trattando del regime di responsabilità del RUP, il Codice individua espressamente alcune ipotesi. Va precisato che non in tutti i casi ci si trova innanzi ad una responsabilità per danno erariale.

E’ il caso di trattare più nel dettaglio alcune ipotesi.

L’articolo 121 del codice dei contratti pubblici stabilisce che durante la fase di esecuzione possa essere sospeso il contratto. La sospensione può essere disciplinata dal direttore dei lavori quando ricorrono circostanze speciali, che impediscano la esecuzione a regola d’arte e che non siano prevedibili al momento della stipula del contratto. In alternativa anche il RUP può sospendere i lavori, ma per diverse motivazioni individuate in “ragioni di necessità o di pubblico interesse”.

Il comma 10 del medesimo articolo poi prevede che nel caso le sospensioni siano disposte dalla stazione appaltante, per cause diverse quelle appena elencate, l’esecutore può richiedere il risarcimento dei danni subiti.

Una fattispecie del genere rientra certamente nell’ipotesi del danno erariale indiretto, di cui potrebbe essere responsabile il RUP. La sospensione per motivi diversi da quelli individuati all’articolo 2 rappresenterebbe certamente un’ipotesi di colpa grave. La difficoltà è sicuramente quella di individuare nello specifico, quali siano le ragioni di necessità o di pubblico interesse, che possano determinare la sospensione.

Sarà la giurisprudenza delle corti di merito a definire in maniera più compiuta cosa volesse intendere il legislatore con tali locuzioni.

Certo è che una sospensione illegittima ad opera del RUP potrà essere valutata dai giudici contabili come danno erariale nel caso in cui poi l’esecutore ottenga un risarcimento dei danni.

Analizziamo ora una fattispecie diversa.

Il legislatore al fine di alimentare la banca nazionale dei contratti pubblici ha individuato il RUP come soggetto tenuto a inviare periodicamente le informazioni cui si fa cenno all’articolo 23 del codice. L’articolo 222 stabilisce che nel caso di omissione o mancato invio da parte del RUP l’Anac ha il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie, decorso il primo anno di efficacia del codice considerato come un periodo transitorio. Già dalla lettura del codice si evince che in questo caso non si tratta di una responsabilità amministrativo contabile, bensì di una mera sanzione amministrativa cui è soggetto il RUP .

Orbene se il RUP non dovesse inviare le predette comunicazioni, non vi sarà alcuna richiesta di addebito da parte della Procura contabile trattandosi di una sanzione amministrativa.

Una fattispecie invece di difficile interpretazione riguarda il caso della violazione dei termini delle procedure . L’allegato 1.3 stabilisce i termini massimi delle procedure di appalto e di concessione attraverso un elenco molto chiaro.

La predetta scelta del legislatore è in linea con gli ultimi interventi, compreso il Decreto Legge n. 76/2020 c.d. “decreto semplificazioni”, che modificava l’articolo 32 del precedente codice dei contratti pubblici prevedendo che la mancata stipula del contratto nel termine di legge venisse valutata ai fini della responsabilità erariale e disciplinare del dirigente preposto.

Il legislatore riteneva di dover velocizzare le tempistiche nel settore dei contratti pubblici per imprimere al paese un’accelerazione, che facesse da volano per l’economia del paese. In tale prospettiva, da una parte erano state emanate all’epoca norme ad efficacia temporale delimitata, che riducevano le ipotesi di responsabilità erariale ai soli casi di dolo, con riferimento alle sole condotte attive. Dall’altra erano state introdotte norme volte proprio ad accelerare le procedure di affidamento dei contratti indicando i termini conclusivi e aumentando le responsabilità del pubblico dipendente, soprattutto per le omissioni. E proprio in questo contesto che si inserisce la modifica all’articolo 32 attribuendo rilievo alla mancata celerità da parte del pubblico dipendente nella stipula del contratto.

Ebbene tale norma non è stata riprodotta nel nuovo codice, nonostante il Legislatore abbia indicato nell’Allegato 1.3 i termini conclusivi delle procedure di appalto e di concessione.  Come per il precedente intervento del legislatore all’articolo 32, non vi è alcun automatismo tra la violazione del termine di conclusione della procedura e la responsabilità erariale. Tuttavia è ragionevole ritenere che nel caso in cui il RUP non disponga la proroga della procedura, la violazione dei termini conclusivi potrà essere valutata dal giudice contabile ai fini dell’accertamento della responsabilità erariale, qualora ricorrano tutti gli elementi della responsabilità amministrativa contabile in precedenza dibattuti.

Premesso che esiste una ampia casistica sulla responsabilità erariale del RUP legato alle molteplici competenze attribuitegli dal codice, che non è possibile circoscrivere nel presente elaborato, è utile a titolo esemplificativo una breve rassegna .

In alcuni casi la giurisprudenza contabile ha ritenuto sussistere la responsabilità del RUP per aver attestato la regolare esecuzione dei lavori, propedeutica al pagamento delle fatture emesse dall’appaltatore, secondo quanto disposto dall’allora vigente DPR n. 207/2010 – apponendo il visto di regolarità e buona esecuzione dei lavori, nonostante i lavori non fossero mai stati eseguiti dalla ditta appaltatrice. [2]

In un altro caso, il RUP è stato ritenuto responsabile per aver omesso di effettuare il collaudo, da cui sarebbe emerso che la ditta appaltatrice non aveva correttamente eseguito i lavori.[3]

In un altro episodio il RUP è stato invece condannato al risarcimento del danno , dai giudici contabili, per non aver previsto un corrispettivo nell’affidamento in gestione di un bene comunale.[4]

Si rileva che molte volte la responsabilità amministrativa del RUP è associata anche alla responsabilità del Direttore dei Lavori, trattandosi di figure che lavorano a stretto contatto, e le negligenze dell’uno, qualora non contestate dall’altro, possono determinare una sua responsabilità, seppure con gradazioni differenti dell’elemento soggettivo che portano anche ad un addebito diverso. E’ opportuno quindi trattare nel prossimo paragrafo le competenze proprie del Direttore dei lavori e le ipotesi di responsabilità connesse.

Responsabilità del Direttore dei Lavori

Il Direttore dei lavori, al pari del RUP, può essere soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti in caso di danno erariale all’amministrazione. Prima di passare in rassegna alcune fattispecie di danno erariale in capo al Direttore dei lavori è opportuno ricostruirne brevemente le competenze.

Il Direttore dei lavori è un organo ausiliario dell’amministrazione che ha dato avvio alla gara d’appalto, il quale può sia risultare impiegato nella pubblica amministrazione sia essere estraneo all’organizzazione stessa.

Ciò poiché può capitare che l’amministrazione non abbia al proprio interno personale con le competenze adeguate per svolgere la direzione dei lavori e che debba quindi appaltare all’esterno tale servizio.

Una parte della dottrina ha definito il direttore dei lavori come “l’anello di congiunzione” tra l’amministrazione appaltante e l’appaltatore.

La disciplina della direzione dei lavori trova la sua collocazione all’articolo 114, nonché nell’Allegato II.14 del nuovo codice dei contratti pubblici.

Il legislatore ha specificato che il direttore dei lavori è preposto al controllo tecnico, contabile e amministrativo dell’esecuzione dell’intervento. Nelle ipotesi di contratti di importo non superiore a un milione di euro svolge anche le funzioni di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione.

Ai sensi del codice dei contratti pubblici l’ufficio di direzione dei lavori interloquisce in via esclusiva con l’esecutore in merito proprio agli aspetti tecnici ed economici del contratto. Sono inoltre attribuiti all’ufficio di direzione molteplici compiti. A mero titolo esemplificativo, ma non esaustivo: i) rilasciare prima dell’inizio dei lavori al RUP una relazione sullo stato dei luoghi; ii) provvedere alla consegna dei lavori; iii) accettare i materiali e la messa in opera; iv) verificare il possesso e la regolarità da parte dell’esecutore e del subappaltatore degli obblighi nei confronti dei dipendenti; v) controllare e verificare i tempi di esecuzione dei lavori; vi) disporre tutti i controlli per la sostenibilità ambientale; vii) compilare relazioni da trasmettere al RUP nel caso di sinistri alle persone o danni alla proprietà; viii) rilasciare gli stati di avanzamento dei lavori… .

Dai numerosi compiti che la normativa di settore affida al Direttore dei lavori si può comprendere come la sua attività sia da considerarsi complessa in considerazione delle competenze amministrative e tecniche attribuite.

Lo strumento principale attraverso il quale il Direttore dei lavori dà ordini all’appaltatore, prescrivendo istruzioni ed altro sono i cosiddetti “ordini di servizio”. Attraverso tali strumenti il direttore dei lavori conferisce indirizzi all’appaltatore e può anche imputare le inadempienze riscontrate, che non consentono lo svolgimento dei lavori secondo la “regola dell’arte”. Essa corrisponde a un criterio di qualità dell’opera necessario per soddisfare i requisiti di efficienza e funzionalità, ma soprattutto il corretto utilizzo dell’opera stessa.

Come in precedenza evidenziato il Direttore dei lavori può essere tanto un tecnico dipendente dell’amministrazione, quanto un privato libero professionista. Indipendentemente da ciò, la qualifica di organo dell’amministrazione comporta che il Direttore sei lavori è sottoposto alla giurisdizione della Corte dei conti per quei fatti ovvero omissioni commessi con dolo o colpa grave, che abbiano determinato un danno erariale all’amministrazione.

Del resto il Direttore dei lavori, sia in qualità di dipendente e sia nel caso di incarico esterno, svolge compiti che comportano l’esercizio di poteri autoritativi nei riguardi dell’appaltatore.

Passando in rassegna alcune ipotesi di danno erariale, il Direttore dei Lavori è stato ritenuto responsabile nel caso di consegna dei lavori all’impresa aggiudicataria attestando in maniera non veritiera la corrispondenza tra gli elementi del progetto e le attuali condizioni e circostanze locali e di avere verificato la non presenza di persone, cose o altri elementi di impedimento al regolare svolgimento dei lavori senza verificare la macroscopica assenza di titoli abilitativi e dei documenti di conformità urbanistica e di compatibilità ambientale dell’opera. [5]

Relativamente invece al rapporto con l’appaltatore, il Direttore dei lavori non può essere responsabile, poiché ogni suo atto è imputabile invece all’amministrazione committente in virtù del rapporto di immedesimazione organica. Di conseguenza nell’ipotesi di inadempimento del Direttore dei lavori, l’appaltatore potrà rivalersi esclusivamente nei confronti della stazione appaltante.

Un ragionamento a parte riguarda il caso del progettista, il quale di regola non è soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti, bensì a quella del giudice ordinario risultando assente il rapporto di servizio, stante la necessità di approvazione del progetto da parte dell’amministrazione. Tale regola subisce però una deroga quando il progettista svolge anche l’incarico di Direttore dei lavori. In questo caso sorge una attività professionale complessa in cui la progettazione è il preludio per l’attività di direzione. Solo in tale ipotesi il progettista è soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti per responsabilità amministrativa.

Dal quadro così delineato si evidenzia la natura giuridica dell’obbligazione del direttore dei lavori. Trattasi di un’obbligazione di mezzi, non certo di risultato, tenuto conto che l’oggetto della prestazione è un’opera intellettuale. [6]Dunque ciò che viene richiesto è l’osservanza dei compiti assegnatigli con la diligenza del professionista, superiore dunque alla diligenza normale attribuita al buon padre di famiglia. La diligenza richiesta al Direttore dei lavori per il controllo dell’esecuzione dell’appalto riguarda una competenza specifica e tecnica da parte del soggetto incaricato. Il Direttore dei lavori è tenuto ad utilizzare la diligenza richiesta dall’attività esercitata ex articolo 1176, co 2, del codice civile. Ciò vuol dire che l’obbligazione del Direttore dei lavori nonostante sia un’obbligazione di mezzi, non limita la sua competenza al mero controllo di conformità delle opere rispetto al progetto e al capitolato ma è necessario che lo stesso individui e corregga anche eventuali carenze progettuali macroscopiche che precludono la corretta esecuzione dell’opera.

La questione della valutazione della diligenza del Direttore dei lavori assume quindi una grande importanza per il giudice contabile al fine di valutare l’eventuale colpa grave, presupposto necessario dell’azione di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei conti.

Anche per il Direttore dei lavori, così come per il RUP, è impossibile prevedere tutte le ipotesi di responsabilità derivanti dal codice dei contratti pubblici, ma è chiaro che l’esame delle competenze, nonchè della diligenza richiesta, sono elementi fondamentali per ricostruire l’elemento soggettivo, imprescindibile per la responsabilità erariale.

Danno da concorrenza e da omessa concorrenza

Il danno alla concorrenza è un sottotipo di illecito erariale, coniato dalla giurisprudenza contabile e concerne la violazione delle regole dell’evidenza pubblica. È stato definito come il nocumento patrimoniale connesso all’omesso svolgimento di un sano confronto concorrenziale tra tutte le imprese potenzialmente interessate agli appalti.

La Pubblica Amministrazione, per approvvigionarsi di beni e servizi, ma anche per lo svolgimento dei lavori, si affida quotidianamente a soggetti privati, mediante dei contratti di tipo privatistico, nei quali, come disciplinato anche dalla legge n. 241/1990, agisce in posizione paritetica con l’altro contraente. Va però rilevato che la fase antecedente alla stipulazione del contratto viene definita ad “evidenza pubblica” poiché la pubblica amministrazione avvia una procedura per selezionare il contraente privato, che è definita da regole di tipo pubblicistico.

Le predette regole servono in primis per tutelare la concorrenza e il mercato e servono affinché la pubblica amministrazione possa scegliere l’offerta più vantaggiosa dopo aver avviato un confronto tra tutti i concorrenti, che hanno partecipato alla procedura. Dunque è chiaro che l’intento della procedura ad evidenza pubblica è proprio quella di tutelare la concorrenza.

Per fare ciò il legislatore ha predisposto un insieme di norme volte a disciplinare la selezione dei migliori offerenti per la stipula del contratto. Tutte queste norme sono confluite in diversi codici, di cui l’ultimo emanato è proprio il d.lgs. n. 36 del 2023.

In questo quadro così delineato è evidente come la concorrenza tuteli anche la pubblica amministrazione, perché garantisce la scelta dell’offerta migliore con un bilanciamento tra quelli che sono i costi dell’offerta e la qualità della stessa.

Ebbene la Corte dei conti, tutelando gli interessi dell’erario, ha coniato alcune figure di illecito, simili tra loro. Si passeranno in rassegna i principali sottotipi di danno.

Il primo che verrà esaminato è il danno alla concorrenza, che si verifica quando non vengono applicate da parte degli agenti pubblici le norme nazionali e comunitarie poste proprio a tutela della concorrenza e del mercato.

Va considerato che il danno alla concorrenza, trovando origine dalle pronunce dei giudici contabili, non presenta una tipologia di danno uniforme nei suoi caratteri essenziali.

Il c.d. danno alla concorrenza è una conseguenza della mancata applicazione delle regole ad evidenza pubblica.

Il bene tutelato è duplice, da una parte il principio di concorrenza, dall’altro l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione.

Dunque in caso di violazione delle regole delle procedure ad evidenza pubblica, i contratti stipulati dall’amministrazione dovranno essere considerati nulli, [7] con la conseguenza che la corresponsione del prezzo costituisce indebito pagamento, detratta l’utilità conseguita dall’ente. Pertanto la quantificazione del predetto danno è stata individuata dalla giurisprudenza in una percentuale del valore dell’appalto, pari all’utile conseguito dall’impresa. In particolare i giudici contabili mutuando un principio della giurisprudenza amministrativa, quantificano il danno in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c. , nella percentuale del 5% se si tratta di appalti di servizi e forniture e nella percentuale del 10% se si tratta di appalti di lavori.

In conclusione si tratta di una figura di danno che consegue alla lesione delle regole della concorrenza.

Non sono mancate però le critiche.  Molti giudici contabili non hanno riconosciuto tale tipologia di danno, poiché il pregiudizio a carico dell’erario non è certo nel suo ammontare.

Difatti l’utile non ha alcun collegamento diretto con il danno alla concorrenza. Secondo tali pronunce dei giudici non può ravvisarvi nemmeno il nesso causale tra il pregiudizio sofferto dall’amministrazione e la condotta consistita nella elusione di una procedura ad evidenza pubblica.

L’orientamento più recente della Corte dei conti è quello di ritenere non sussistente alcun automatismo tra la mancata indizione di una procedura di evidenza pubblica e il danno alla concorrenza, essendo necessario in giudizio la dimostrazione concreta del danno, tenuto conto che non vi è alcuna norma di legge che sancisce un automatismo tra la mancata indizione di una procedura pubblica e il danno.

Pertanto anche in una fattispecie lamentata di danno alla concorrenza il Pubblico Ministero contabile dovrà individuare le norme del codice dei contratti pubblici che sono state violate e dimostrare altresì la concretezza e l’attualità del danno sofferto dalla p.a. .[8]

Connesso al principio della violazione della concorrenza e della elusione delle regole di evidenza pubblica è anche l’ulteriore sottotipo definito dalla giurisprudenza come danno da “omessa concorrenza”.

Gli elementi riguardanti tale danno riguardano il pregiudizio per le finanze pubbliche dovuto a maggiori oneri cui l’amministrazione ha dovuto far fronte per la mancata indizione di una procedura pubblica.

Elementi caratterizzanti sono la condotta, che dovrà essere costituita da dolo o colpa grave, la violazione delle procedure di legge, che avrebbero determinato un confronto concorrenziale, un danno certo, concreto e attuale che deve consistere in un pregiudizio al patrimonio dell’amministrazione. Infine il nesso causale tra la violazione delle norme che riguardano la concorrenza e il pregiudizio erariale.

La dimostrazione del danno può essere raggiunta con ogni mezzo di prova affinché venga dimostrato però che l’amministrazione avrebbe potuto ottenere il medesimo lavoro o servizio a condizioni più favorevoli se fosse stata esperita una procedura pubblica.

Osservando l’applicazione delle Corti di merito, il danno da omessa concorrenza è stato attribuito non solo a tutti i soggetti appartenenti all’amministrazione, ma anche a quei soggetti che non ne fanno parte in maniera stabile. Proprio per questo motivo è stato riconosciuto il danno da omessa concorrenza alla figura dei direttori dei lavori per il mancato rispetto delle regole le procedure ad evidenza pubblica, anche se formalmente non appartenenti all’amministrazione. [9]

Secondo lo stesso principio è stata altresì riconosciuta la responsabilità anche degli amministratori e dirigenti di società in house, legati sempre da rapporto di servizio con l’ente [10].

Anche la prassi dei rinnovi e delle proroghe, sia tacite che espresse, dei contratti pubblici ha determinato in alcune occasioni il riconoscimento della responsabilità degli agenti per danno da omessa concorrenza .[11]

Da quanto finora esposto si evince che non esiste una nozione unitaria di danno alla concorrenza e da omessa concorrenza. La giurisprudenza contabile ha individuato diversi sottotipi, in alcune occasioni anche confondendo altre fattispecie autonome come il danno da omessa concorrenza facendolo confluire nel danno alla concorrenza.

Di regola la violazione delle norme sulla concorrenza sono un sintomo di un possibile danno erariale, che potrà essere valutato dalla procura contabile.

Danno da tangente

Nel contesto di atipicità dell’illecito erariale, la giurisprudenza contabile ha elaborato un’ulteriore figura legata sempre al settore degli appalti pubblici e identificata nel cosiddetto “danno da tangente”.

Secondo la giurisprudenza contabile il danno da tangente riguarda una vicenda criminosa a sfondo corruttivo, che vede da una parte un soggetto privato e dall’altra invece un soggetto legato all’amministrazione pubblica da un rapporto di servizio. E noto che il concetto di tangente esula dall’ ambito prettamente penale, e riguarda più in generale ogni disfunzione amministrativa per l’uso improprio delle risorse pubbliche.

La percezione di una tangente, in materia di appalti pubblici, non può essere considerata un indice automatico del danno erariale.

L’orientamento prevalente in giurisprudenza sottolinea come non vi sia alcuna norma che stabilisca che la percezione di tangenti determina automaticamente un danno erariale, anche in assenza degli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa. Di conseguenza la tangente costituisce un mero indizio del danno patrimoniale patito dall’amministrazione, il quale dovrà essere provato nel giudizio di responsabilità dalla procura contabile, cui spetta il relativo onere.[12] In tale contesto dovranno essere dimostrati gli elementi costitutivi dell’illecito amministrativo, quali la condotta connotata da colpa grave o da dolo e il nesso di causalità.

Nella prassi, la procura contabile nei giudizi inerenti il settore degli appalti pubblici, scaturiti da un procedimento penale per corruzione, richiede congiuntamente sia il danno da tangente, che il danno da concorrenza, sebbene i presupposti e la quantificazione del danno siano simili, ma differenti. L’intento è chiaro, poiché tra i predetti danni il confine è molto sottile, si invita il giudice ad identificare se la fattispecie rientra nel danno da tangente ovvero nella figura del danno da concorrenza.

Ad ogni modo il tratto comune alle fattispecie di illecito descritte è la violazione delle regole dell’evidenza pubblica. Ma la quantificazione del danno a risultare differente.

E’ il Pm contabile, nell’atto di citazione, ad individuare se il medesimo fatto, cioè la violazione delle regole di evidenza pubblica sia da qualificare come “danno alla concorrenza”, da “omessa concorrenza” ovvero “danno da tangente”.

Sebbene quindi il danno alla concorrenza sia di difficile configurabilità e di complessa prova, il varo del nuovo codice dei contratti pubblici non ha apportato alcuna modifica a tali fattispecie. Trattandosi di illeciti di natura pretoria, che riguardano la violazione delle norme ad evidenza pubblica e non essendo ancorati ad una norma specifica, il danno alla concorrenza ed i suoi sottotipi troveranno comunque applicazione ogni qualvolta saranno violate le regole di evidenza pubblica contenute anche nel nuovo codice dei contratti pubblici.

Conclusioni

La responsabilità amministrativa nasceva in origine come un illecito contabile esclusivamente connesso alla gestione di denaro pubblico. Oggi tale responsabilità si è evoluta in una fattispecie diversa che riguarda danni generici, diretti e indiretti, provocati alla pubblica amministrazione. La stessa Corte dei conti ha avuto modo di precisare il “polimorfismo tipologico dell’illecito contabile”, notoriamente atipico, tranne che per i requisiti fondamentali ed essenziali dello stesso [13].

L’illecito erariale è dunque non tipizzato, fatta eccezione per poche fattispecie individuate dal legislatore nei casi di responsabilità sanzionatoria, e ricomprende al suo interno diversi sottotipi soprattutto di origine pretoria.

Va altresì osservato che il concetto di “rapporto di servizio” ha consentito alla giurisprudenza di allargare sempre più il perimetro dell’illecito erariale. Certamente i presupposti della responsabilità amministrativa sono i medesimi. Di conseguenza all’interno del nuovo codice dei contratti pubblici le fattispecie di danno erariale sia risarcitorie, che sanzionatorie possono essere molteplici, anche ulteriori rispetto a quelle che sono state individuate e ipotizzate con il presente lavoro.

E’ proprio in questo contesto, caratterizzato dalla atipicità del danno erariale, che la giurisprudenza ha elaborato le specifiche figure del danno alla concorrenza o da omessa concorrenza, nonché del danno da tangente. Le predette fattispecie non esauriscono però tutti i sottotipi di danno erariale legati all’applicazione del codice dei contratti pubblici.

Va tenuto conto che ogniqualvolta il codice attribuisce ad un soggetto qualificato, ad esempio il RUP o il Direttore dei Lavori o il Direttore all’Esecuzione competenze e compiti specifici, la violazione di tali prescrizioni, può essere valutato anche sotto il profilo della responsabilità amministrativa.

Peraltro il legislatore nel nuovo codice utilizza più volte la locuzione generica che la violazione al precetto normativo “…può determinare responsabilità erariale”.

Ciò non toglie però che il relativo accertamento non possa sfuggire al principio dell’onere della prova, nonché ai presupposti della responsabilità amministrativa, quali a titolo esemplificativo l’esame della condotta, la concretezza e attualità del danno, il nesso causale.

In altre parole, non vi è alcuna automaticità tra le violazioni delle norme previste dal codice dei contratti pubblici e il procedimento per danno erariale, salvo i rari casi di responsabilità sanzionatoria. Considerato che il nuovo codice dei contratti pubblici è entrato in vigore da poco, bisognerà osservare nella prassi come verranno valutate le fattispecie di illecito descritte nel presente lavoro dalla procura e dai giudici contabili.


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[1] V.Tenore, Le Cinque responsabilità del dipendente pubblico, Giuffrè,2013

[2] Corte dei conti, sez. Lazio, sent. n. 152/2023.

[3] Corte dei conti, sez. Molise, sent. n.3/2014.

[4] Corte dei conti, sez. Abbruzzo, sent. n. 27/2012.

[5] Corte dei conti, sez. Calabria, sent. n. 56/2023.

[6] Cass. sent. n. 1218/2012 .

[7] Cass., sent. n. 3672/2010.

[8] Corte dei conti, sez. Lazio, sent. n. 333 2016.

[9] Corte dei Conti, sez. app., sent. n. 397/2011.

[10] Corte dei Conti, sez. Lazio, sent. n. 14/2017.

[11] Corte dei Conti, sez. Abbruzzo, sent. n. 27/2012.

[12] Corte dei conti, sez. Lazio, sent. n. 83/2018.

[13] Rel. Pres. C.d.C. per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2016.

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