Nel condominio il diritto di ripetizione delle spese sostenute dal condomino è circoscritto alle ipotesi in cui la spesa sostenuta sia qualificabile come “urgente”.
Tale concetto è stato ribadito nella sentenza di Cassazione n. 9280 del 16 Aprile 2018.
Partendo dall’assunto che il condominio è una particolare forma di comunione, accomunata ad essa da tipiche somiglianze e forti discrepanze, nella comunione tutti i partecipanti siano titolari del diritto di provvedere alla manutenzione della cosa comune.
Sicché il partecipante, detto anche “comunista”, successivamente al sostenimento della spesa, avrà il diritto di ottenere il rimborso di questa poiché effettuata nell’interesse comune.
Ciò avviene anche in ipotesi di “trascuranza degli altri” (art.1110 c.c.).
Differentemente, nel condominio, il regime del rimborso delle spese sostenute dal singolo condomino per la cosa comune (a vantaggio anche degli altri condomini) è rimborsabile esclusivamente qualora rivesta carattere d’urgenza.
Ciò trova fondamento nell’assunto che nella comunione, i beni “comuni” rappresentano l’utilità finale del diritto dei partecipanti; diversamente, nel condominio, le parti comuni costituiscono necessariamente delle utilità strumentali al godimento dei beni esclusivi.
Questa strumentalità necessaria è presente anche nel cd. condominio minimo (un condominio si definisce “minimo” quando è composto da due soli condomini-proprietari, minima condizione affinché sorga un condominio, ovvero la comunione sulle parti e beni che restano comuni perché serventi le singole proprietà individuali) e conseguentemente, anche in tale ipotesi la spesa sostenuta individualmente dal singolo condomino è rimborsabile qualora presenti i requisiti stabiliti dall’art. 1134 del codice civile (Il condomino che ha assunto la gestione delle parti comuni senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente).
Il concetto di spesa urgente
Il quesito che ora ci si pone riguarda i criteri per determinare l’urgenza degli interventi, ovvero il cd. concetto di spesa urgente.
I suddetti interventi, per essere definiti tali, devono apparire improrogabili al fine di scongiurare un probabile danno o pregiudizio al bene comune.
Ancora, possono essere ritenuti “urgenti” anche nel caso in cui appaiano necessari ad evitare che la cosa comune possa arrecare un imminente danno a terzi o all’edificio medesimo.
A tal proposito, la citata sentenza della Corte di cassazione n. 9280 del 16 aprile 2018 conferma “il diritto del singolo condomino al rimborso delle spese sostenute per la gestione della cosa comune nell’interesse degli altri proprietari, senza autorizzazione degli organi condominiali, esclusivamente qualora, ai sensi dell’art. 1134 c.c., dette spese siano urgenti, secondo quella nozione che distingue l’urgenza dalla mera necessità.
Essa ricorre quando, secondo un comune metro di valutazione, gli interventi appaiano indifferibili allo scopo di evitare un possibile, anche se non certo, nocumento alla cosa, mentre nulla è dovuto in caso di mera trascuranza degli altri comproprietari, non trovando applicazione le norme in materia di comunione (art. 1110 c.c.)”.
La decisione dell’Organo Supremo era stata espressa in materia di condominio cd. minimo, ma i principi affermati sono applicabili anche ad altre analoghe fattispecie della realtà condominiale che soggiacciono al regime dell’art.1134 c.c.
Il caso in esame
La controversia in oggetto prendeva le mosse dalla domanda proposta da due condomini che avevano chiamato in giudizio i proprietari di un’altra unità immobiliare allo scopo di essere rimborsati delle somme anticipate (nell’interesse anche degli altri condomini) o, in subordine, ad essere indennizzati per arricchimento ingiustificato.
Dissimilmente, i convenuti asserivano che i lavori in oggetto fossero riparazioni o mere migliorie, resesi necessarie a seguito di danni causati dagli stessi attori.
Dunque, il Tribunale respinse la domanda poiché non era possibile ripartire la spesa (in assenza di prova dell’entità delle quote di proprietà dei singoli condomini) e dichiarò inammissibile l’azione di ingiustificato arricchimento.
Ebbene, gli attori proposero gravame e ottennero ragione dalla Corte d’Appello: i lavori eseguiti dagli appellanti risultarono, almeno parzialmente, necessari alla conservazione dei beni e, quindi, urgenti.
Venne così stabilita la ripartizione dell’importo speso, presumendo la parità delle quote ai sensi dell’art. 1101 c.c.
I soccombenti proposero ricorso asserendo che l’art. 1101 c.c. potesse trovare applicazione soltanto nella comunione e non anche nel condominio cd. minimo.
Esso infatti deve seguire la disciplina del condominio negli edifici e non già quella della comunione.
Il motivo è stato considerato fondato in quanto la quota di partecipazione alla spesa, gravante sui proprietari delle proprietà private di un edificio condominiale, deve essere determinata in base all’art. 1123 c.c.
Doveva quindi tenersi conto, in primis, del valore della proprietà esclusiva, preesistente anche alla creazione della tabella millesimale (come la stessa Cassazione, nella sent. n. 17115 del 9 Agosto 2011 evidenzia).
A tal riguardo, la Cassazione ha sostenuto che la quota dei resistenti non potesse presumersi ma dovesse essere concretamente accertata.
Ulteriore imprecisione della Corte territoriale consisteva nell’erronea assimilazione dei due concetti di urgenza e necessità.
L’urgenza consiste infatti in un obbligo di immediata attuazione o intervento volto ad evitare un danno e che quindi non può attendere una decisione collegiale, come sarebbe la regolare delibera assembleare, sede naturale in cui vengono prese le decisioni nel condominio.
La necessità è invece un bisogno concreto ed effettivo ma differibile, che può attendere il normale iter decisionale assembleare.
Fondere le due nozioni si dimostrerebbe un grave errore in quanto, non sussistendo la reale urgenza, le spese sostenute dal condomino che si è attivato, non possono poi essere addebitate anche agli altri compartecipanti al condominio.
Relativamente alle giuste sentenze delle sezioni unite, che insegnano ad amare il diritto per la saggezza sul quale si ripone la ragione sulle due parti, interessante sarebbe avere informazioni sul diritto alla privacy, che spesso appare violato attraverso il monitoraggio della vita privata di un individuo con delle semplici autorizzazioni che danno il permesso all’accesso dei dati sensibili e successivamente la manipolazione sulle sentenze di tali dati. La ritengo una violazione dell’art. 13 cost. quindi come tale non un diritto ma una violazione della legge: è così?