Avvocati: gli illeciti deontologici nella vita privata

Legge Professionale, Codice deontologico forense, e massime del CNF alla mano, l’avvocato risponde, lato deontologico, pure di fatti commessi al di fuori dell’esercizio dell’attività professionale, compreso ciò che avviene sui social network, atteso che il dovere dell’iscritto all’albo forense di comportarsi in modo corretto, probo e leale si estende non solamente a ogni avvenimento della sua vita professionale, ma anche alla sua vita privata, per quegli aspetti che investano in qualche modo la dignità della professione. Vediamo gli ambiti “privati” su cui si sono pronunciati gli organi di disciplina.

La vita privata rileva fin dalla richiesta di iscrizione all’albo e nel registro dei praticanti

La legge professionale forense (articolo 17, Legge 31 dicembre 2012 n. 247 “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”) che disciplina l’iscrizione e la cancellazione, tra i requisiti (comma 1) elencati per l’iscrizione all’albo, alla lettera h) richiede di “essere di condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice deontologico forense”. Il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 64 del 13 marzo 2024 ha precisato che ai fini della valutazione del requisito in parola (condotta irreprensibile, ex art. 17, lett. H, L. n. 247/2012), rilevano finanche i comportamenti posti in essere al di fuori dell’attività professionale, in violazione dei doveri probità, dignità e decoro ove ritenuti idonei, anche per la notorietà degli stessi, a ledere l’immagine e la dignità della professione; elementi questi che possono e debbono essere pienamente trasfusi, valutabili ed applicabili da parte dei COA al momento della richiesta di iscrizione nell’albo avvocati e nel registro dei praticanti.

I fatti possono anche essere non noti

Le condotte dell’avvocato che, pur non riguardando in senso stretto l’esercizio della professione, ledano comunque gli elementari doveri di probità, dignità e decoro e, riflettendosi negativamente sull’attività professionale, compromettono l’immagine dell’avvocatura come entità astratta con contestuale perdita di credibilità della categoria, hanno rilievo deontologico anche a prescindere dalla notorietà dei fatti, poiché in ogni caso l’immagine dell’avvocato risulta compromessa agli occhi sia dei terzi che degli operatori del diritto (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 331 del 27 dicembre 2023).

Espressioni sconvenienti e offensive pronunciate nella vita privata

È stato ribadito che l’avvocato ha il dovere di comportarsi, in ogni situazione, quindi anche nella dimensione privata e non propriamente nell’espletamento dell’attività forense, con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione, e deve in ogni caso astenersi dal pronunciare espressioni sconvenienti od offensive, il cui carattere illecito dovrà comunque essere accertato caso per caso e alla luce dell’ambito in cui esse sono pronunciate (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 191 del 21 ottobre 2022, come pure Corte di Cassazione, SS.UU, sentenza n. 20383 del 16 luglio 2021).

Uso e spaccio di sostanze stupefacenti

Il conclamato stato di tossicodipendenza e la detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti rappresenta una condotta gravissima che lede enormemente l’immagine della professione forense e, in quanto tale, secondo il CNF (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 149 del 26 settembre 2022) giustifica la massima sanzione disciplinare, che tuttavia può essere eventualmente attenuata, ai sensi dell’art. 21 del Codice deontologico Forense, nel caso di profonda resipiscenza dell’incolpato, il quale in modo spontaneo intraprenda un idoneo percorso riabilitativo presso le competenti strutture di salute mentale e dipendenze. Nella fattispecie posta sotto la lente del CNF, l’avvocato veniva sottoposto a procedimento penale in quanto rinvenuto in possesso di grammi 56 di sostanza stupefacente di tipo cocaina, pertanto, per i medesimi fatti, veniva sottoposto a procedimento disciplinare e sanzionato dal Consiglio di Disciplina con la radiazione. Proposta impugnazione, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per 3 anni.

Apprezzamenti denigratori nei confronti del Collega pronunciati nella dimensione privata

Anche in ambito privato l’avvocato deve astenersi dall’esprimere apprezzamenti denigratori sulle capacità professionali di un collega, che l’art. 42 del Codice etico ammette, seppur non in modo indiscriminato, solo se il Collega stesso sia parte del giudizio e ciò sia necessario alla tutela di un diritto. Nella specie analizzata dal CNF (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 234 del 4 dicembre 2020) durante un colloquio con un terzo, l’avvocato esprimeva apprezzamenti denigratori, tra cui “capra”, verso il proprio ex collaboratore di studio, ritenuto solo capace di fare “decreti ingiuntivi su sentenze”.

Lo stalking punito anche in sede disciplinare

Vìola i doveri di probità, dignità e decoro (art. 9 del Codice Deontologico) e di comportarsi con correttezza e rispetto nei rapporti con i terzi (art. 63 del Codice Deontologico) l’avvocato che reiteratamente effettua a terzi numerosissime telefonate dal contenuto ingiurioso e minatorio (Consiglio distrettuale di disciplina di Bologna, decisione n. 44 del 30 maggio 2019, che ha sanzionato il legale con la censura).

L’inadempimento delle obbligazioni nei confronti dei terzi

Vìola l’art. 64 commi 1 e 2 del Codice Deontologico l’avvocato che emette numerosi assegni poi protestati per difetto di provvista (Consiglio distrettuale di disciplina di Bologna, decisione n. 59 del 16 luglio 2019, che ha sanzionato il legale con la sospensione di 3 mesi).

La violazione dei doveri familiari

È stato ritenuto (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 13 dicembre 2018, n. 177, che ha ritenuto congrua la sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per un periodo di mesi 6) disciplinarmente responsabile l’avvocato che aveva omesso di versare il mantenimento della prole, subendo per questo una procedura esecutiva immobiliare.

Atti di libidine e atti osceni

Pone in essere una condotta deontologicamente rilevante, in quanto lesiva dei doveri di probità, dignità e decoro propri della classe forense, il professionista che compie atti di libidine violenti e atti osceni, essendo stato ritenuto (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 13 luglio 2009, n. 70, che ha ritenuto congrua la radiazione) assolutamente incompatibile tale contegno con la permanenza dell’incolpato nell’Albo forense.

Frasi a contenuto denigratorio e razzista pubblicate sui social

Contrasta con gli artt. 9 e 63 del Codice Deontologico Forense l’avvocato che utilizza frasi a contenuto denigratorio e razzista, lesive della dignità e del decoro della categoria e per averle pubblicate altresì su Facebook (Consiglio distrettuale di disciplina di Bologna, decisione n. 82 del 18 settembre 2019, che ha sanzionato l’iscritto con la censura).

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