Atti traslativi del diritto e trasferimento del possesso

in Giuricivile, 2021, 2 (ISSN 2532-201X)

Si definisce possesso, ai sensi dell’art. 1140 c.c., il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale.

Pur configurandosi quale res facti, ad esso l’ordinamento ricollega una serie di effetti nonchè il cosiddetto ius possesionis, ossia il diritto di godimento del bene.

L’acquisto del possesso è strettamente collegato al potere sulla cosa. Per tale motivo, l’atto con cui si trasferisce il possesso presuppone che il potere di fatto sulla cosa[1] si trasferisca in capo all’acquirente.

Il possesso è, dunque, caratterizzato da due elementi: materiale/oggettivo (corpore retinere); psicologico (animus possidendi)[2]. Differisce rispetto alla detenzione, che, invece, è caratterizzata dal solo elemento materiale e non anche dall’animus possidendi.

Il trasferimento del possesso

Punto di partenza, per affrontare la questione del trasferimento del possesso, è l’art. 1476 c.c., ai sensi del quale, tra le obbligazioni principali del venditore, assume rilevanza l’obbligo di consegnare la cosa al compratore. La consegna del bene (ossia il trasferimento del possesso) è, dunque, oggetto di un’obbligazione che segue all’atto traslativo.

Si definiscono atti traslativi del diritto, i contratti attraverso il quale avviene l’effettivo trasferimento del diritto reale.

Ai sensi dell’art. 1376 c.c., i contratti con effetti reali hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale, ovvero il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato.

Da tale norma si ricava il cosiddetto principio consensualistico: ciò implica che il diritto reale viene trasferito con il semplice consenso delle parti, legittimamente manifestato, e quindi indipendentemente dal trasferimento del possesso.

Tali contratti differiscono rispetto ai contratti reali, che si perfezionano non solo con il consenso, ma anche con la consegna della cosa. In questo caso, il possesso è contestuale al trasferimento del diritto.

Assunto ciò, è necessario ritenere come l’acquisto del possesso possa avvenire attraverso il c.d. costituto possessorio o con la consegna della cosa (traditio manu).

Quest’ultima assume una rilevanza differente nei contratti reali e nei contratti ad effetti reali: nei primi, infatti, che si perfezionano con la consegna della cosa, il possesso si trasferisce unitamente al diritto; nei secondi, invece, la consegna della costituisce un’obbligazione successiva all’atto traslativo, a carattere esecutivo.

Sulla scorta di quanto dedotto in premessa, il trasferimento del possesso dovrebbe avvenire al momento della consegna della cosa, quindi, nei contratti ad effetti reali, in un momento successivo rispetto al trasferimento del diritto reale.

Solitamente, però, il soggetto che trasferisce il diritto reale non ha alcun interesse a mantenere il possesso sulla cosa. Per tale motivo, si dovrebbe ritenere che con l’atto traslativo si configuri non soltanto il trasferimento del diritto reale, ma anche del possesso.[3]

In questo senso, dunque, il possesso si trasferirebbe a prescindere dalla consegna, salvo che non venga in rilievo un costituto possessorio esplicito.

Con tale locuzione è da intendere un modo di acquisto del possesso a titolo derivativo, che si configura quando il proprietario vende ad un soggetto la res ad un soggetto, affidandola contestualmente in locazione o custodia. Di conseguenza, il proprietario (precedente possessore) diviene detentore qualificato, mentre l’acquirente (nuovo possessore) acquista il possesso sulla cosa senza la necessaria consegna, che risulta posticipata al momento della cessazione del contratto di locazione.

È una particolare situazione in cui il trasferimento del possesso non determina alcun mutamento della situazione materiale (l’acquirente diventa possessore della cosa senza avere alcuna relazione materiale con il bene).[4]

Questioni sottoposte alla Corte di Cassazione

Una delle principali questioni è comprendere la possibilità che l’istituto della costituto possessorio possa essere implicito.

Sul punto, è intervenuta la Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 6893 del 2014. [5]

Nel caso di specie, la Suprema Corte, aderendo all’orientamento maggioritario, ha escluso la possibilità di costituto possessorio implicito nei negozi traslativi del diritto di proprietà o di altro diritto reale.

In particolare, si è ritenuto necessario effettuare una verifica caso per caso, nell’ipotesi in cui l’alienante trattenga la cosa presso di sè, al fine di dimostrare se, sulla scorta del comportamento tenuto dalle parti ed in base alle clausole contrattuali (non di mero stile), la continuazione dell’esercizio del potere di fatto sulla cosa, ad opera dell’alienante, fosse accompagnata dall’animus rem sibi habendi ovvero configurasse una mera detenzione nomine alieno.

È necessario rilevare come le uniche ipotesi di automatico trasferimento del possesso, previste ex lege, sono da ravvisare nell’apertura della successione a titolo universale e nell’accessione del possesso, ai sensi dell’art. 1146 c.c.

In particolare, al primo comma, il legislatore ha previsto che il possesso continui automaticamente nell’erede a titolo universale, all’apertura della successione. Di conseguenza, l’eventuale legatario dovrà chiedere allo stesso erede il possesso sulla cosa oggetto del legato.

Il secondo comma, invece, si occupa della successione a titolo particolare e dispone che il successore a titolo particolare possa unire il proprio possesso a quello del suo autore, al fine di goderne gli effetti.

Se, dunque, si ritenesse ammissibile un costituto possessorio implicito si ammetterebbe un automatico trasferimento del possesso, al di fuori dei casi previsti dalla legge. Per tale motivo, è necessario verificare caso per caso se l’alienante rimanga possessore sino alla consegna, oppure risulti detentore rispetto all’acquirente.

La stessa Corte di Cassazione[6] aveva già, in passato, ritenuto come fosse fondamentale comprendere la vicenda concreta.

Nello specifico, aveva ritenuto come nel contratto con effetti reali, la volontà di vendere il bene non si accompagna necessariamente dalla perdita dell’animus possidendi e, dunque, all’automatico trasferimento del possesso in capo all’acquirente. Lo stesso art. 1476 c.c., infatti, non prevede un “costitutum possessorium ex lege”, ma considera la consegna della res come obbligazione del venditore. Il codice attuale non prevede, altresì, forme tipiche di trasferimento del possesso, con la conseguenza che è l’interprete, caso per caso, a dover valutare l’idoneità o meno all’acquisto del possesso, inteso come disponibilità attuale della res, che non presuppone necessariamente l’apprensione materiale o fisica.

La vendita del possesso

Ciò dedotto, è necessario chiedersi se sia possibile stipulare un contratto avente ad oggetto il trasferimento del possesso.

Osta, in primis, rilevare come il possesso costituisca una situazione di fatto. È, dunque, necessario comprendere se il contratto possa avere ad oggetto il trasferimento di una res facti, scissa rispetto al diritto sul bene.

Sul punto, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che il possesso non possa costituire oggetto di un contratto.

L’art. 1470 c.c., infatti, avente ad oggetto la compravendita, dispone che “la vendita è un contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo.” La norma de quo ha ad oggetto il trasferimento di diritti, di conseguenza, l’eventuale contratto avente ad oggetto il trasferimento del possesso (una situazione appunto di fatto) dovrebbe risultare nullo per impossibilità dell’oggetto.

Accanto a tale tesi, in dottrina, taluni attribuiscono al possesso un rilievo autonomo. In particolare, definiscono il possesso quale diritto soggetto, ammettendone di conseguenza la circolazione anche attraverso le forme contrattuali, indipendentemente dal diritto reale corrispondente. Ratio sarebbe da ravvisare nella tutela accordata dal possesso al legislatore e, alla sua conseguente, trasmissibilità.

Nell’alveo di questa interpretazione dottrinale, è necessario considerare come alcuni autori considerino il possesso quale diritto soggettivo ma affievolito, in quanto il possesso può essere estromesso dal proprietario, in un qualsiasi momento.

Altri, invece, definiscono il possesso come aspettativa, situazione giuridica che garantisce al possessore la possibilità di trarre vantaggi economici e prerogative in ordine alla situazione possessoria.

Optando, dunque, per l’interpretazione dottrinale, sarebbe possibile trasferire il possesso tramite un contratto. Ciò, in quanto il possesso acquisisce rilievo come “bene” a carattere patrimoniale, suscettibile di valutazione economica.

Di conseguenza, sarebbe possibile immaginare un contratto avente ad oggetto il trasferimento del possesso, che si conclude con la consegna della cosa. Il giudizio di meritevolezza ex art. 1322 c.c. risulterebbe, altresì, soddisfatto: l’acquisto del possesso, infatti, determinerebbe il prodursi di effetti anche nei confronti dei terzi (che di conseguenza avrebbero il dovere di astenersi dal compiere atti che possano impedire o turbare il possesso).

La giurisprudenza, però, si discosta rispetto a tale orientamento e ritiene non ammissibile il trasferimento del possesso tramite il contratto.

Nello specifico, precisando come la vendita del possesso sia da qualificare come atto dovuto, che non produce alcun effetto giuridico. Con il contratto di compravendita, infatti, si trasferiscono diritti e non mere situazioni di fatto; il possesso potrà trasferirsi, dunque, solo attraverso comportamenti di fatto.

Sul punto, assume rilevanza la pronuncia della Corte di Cassazione n. 2295 del 2017. [7]

La questione ha ad oggetto l’accessione del possesso, di cui all’art. 1146 comma 2 c.c: nello specifico, il ricorrente precisa che, ai fini dell’accessione del possesso, occorra il raggiungimento della prova della traditio, in virtù di un contratto, comunque volto a trasferire la proprietà del bene oggetto del possesso. [8]

La Suprema Corte ritiene il motivo di doglianza fondato.

Affinchè, infatti, operi il trapasso del possesso, ai sensi dell’art. 1146 c.2 c.c., dall’uno all’altro dei successivi possessori e il successore a titolo particolare è necessario che il trasferimento trovi la sua giustificazione in un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà o altro diritto reale sul bene. Stante la tipicità dei negozi traslativi reali, l’oggetto del trasferimento non può essere costituito dal trasferimento del mero potere di fatto sulla cosa.

La Corte precisa, altresì, che l’accessione del possesso opera, pertanto, con riferimento e nei limiti del titolo traslativo ed entro tali limiti può avvenire la traditio. In tal senso, dunque, all’acquisto deve seguire l’immissione di fatto nel possesso del bene con il passaggio del potere di agire liberamente sullo stesso e, da tale momento, si verificano gli effetti dell’accessione.

Nel caso di specie, dunque, avente ad oggetto l’azione di regolamento dei confini, è necessario che sia fornita la prova dell’avvenuta traditio in virtù di un contratto comunque volto al trasferimento della proprietà del bene oggetto del possesso. [9]


[1] Il potere di fatto sulla cosa può corrispondere ad una situazione reale, ossia al possesso; oppure ad una situazione obbligatoria (godimento od obbligazione restitutoria), dunque, detenzione.

[2] L’elemento materiale coincide con la detenzione fisica; quello psicologico, invece, si caratterizza per l’atteggiamento di colui che si atteggia come proprietario della cosa o comunque titolare di un diritto reale.

[3] In tal modo, dunque, l’alienante rimarrebbe detentore non qualificato della cosa, sino alla consegna del bene, mentre l’acquirente ne acquisirebbe il possesso, con la conseguente possibilità per lo stesso di esercitare le azioni possessorie.

[4] Nella traditio brevi manu, infatti, il precedente detentore della cosa diviene proprietario per effetto di un titolo che muta la natura del potere esercitato sulla res. Nel costituto possessorio, il precedente possessore diviene detentore per effetto di un titolo idoneo.

[5] Cass. 6893 del 2014: “Non è ravvisabile un costituto possessorio implicito nel negozio traslativo del diritto di proprietà o di altro diritto reale, nel senso che ad esso segua automaticamente il trasferimento del possesso della cosa all’acquirente, poiché tale trasferimento rappresenta, ai sensi dell’art. 1476 cod. civ., l’oggetto di una specifica obbligazione del venditore, per la quale non sono previste forme tipiche. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui l’alienante trattenga la cosa presso di sé, occorre accertare caso per caso, in base al comportamento delle parti ed alle clausole contrattuali che non siano di mero stile, se la continuazione, da parte dell’alienante stesso, dell’esercizio del potere di fatto sulla cosa sia accompagnata dall’ “animus rem sibi habendi” ovvero configuri una detenzione “nomine alieno”.”

[6] Cassazione civile, sez. II, 18/03/1981, n. 1613 “nella vendita con effetti reali la volontà di vendere non si accompagna necessariamente alla perdita dell'”animus possidendi” ed all’automatico trasferimento del possesso in favore dell’acquirente, poiché l’art. 1476 c.c. non prevede un “constitutum possessorium ex lege”, mentre considera la consegna della “res” come obbligazione del venditore e non come effetto immediato e necessario del contratto stesso. In particolare, a differenza del codice abrogato, quello attuale non determina forme tipiche di trasferimento del possesso; l’interprete deve, caso per caso, valutare se le forme sono idonee o meno all’acquisto del possesso, inteso come disponibilità attuale della “res”, che non presuppone necessariamente l’apprensione materiale o fisica”

[7] Cass. n. 2295 del 2017 “Nell’azione di regolamento di confini, qualora il convenuto eccepisca l’intervenuta usucapione invocando l’accessione del possesso, deve fornire la prova dell’avvenuta “traditio” in virtù di un contratto, comunque, volto (pur se invalido e proveniente “a non domino”) a trasferire la proprietà del bene oggetto del possesso.”

[8] Il ricorrente lamenta il fatto che la Corte distrettuale avrebbe, erroneamente, ritenuto sussistente in capo alla convenuta il possesso, esercitato dalla curatela fallimentare ai sensi dell’art. 1146 comma 2 c.c., poichè quest’ultima, convenuta in giudizio, non avrebbe prodotto in giudizio alcun titolo di acquisto dal quale emergesse l’identità del bene posseduto con quello oggetto di acquisto.

[9] Nel caso in esame, la Corte di Cassazione ritiene che il giudice di merito non sembra aver accertato se il contratto di trasferimento comprendeva anche il bene oggetto del giudizio. Non è, infatti, sufficiente l’affermazione secondo cui “ne deriva che, a seguito della dichiarazione di fallimento, il possesso della porzione occupata in oggetto sia pervenuta alla curatela e dalla curatela sia stato trasmesso, insieme al possesso sul corpo principale della proprietà immobiliare, all’acquirente, dalla liquidazione fallimentare”. Ciò, in quanto nulla viene detto in ordine al trasferimento della proprietà del bene oggetto della cosiddetta porzione occupata.

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