Rinuncia abdicativa: dibattito tra funzione sociale e meritevolezza degli interessi privati sottesi

L’esame della questione affrontata dal Tribunale dell’Aquila getta luce su un dibattito che si snoda tra due principali correnti interpretative. Da un lato, si dibatte sulla compatibilità della rinuncia abdicativa con l’art. 42, comma 2 Cost., che consente alla legge di determinare i modi di godimento e i limiti della proprietà privata per assicurare la funzione sociale; da un altro, si affronta la questione della causa in concreto e della meritevolezza degli interessi privati sottesi alla rinuncia.

Tribunale dell’Aquila-ord.-R.G. 233 del 15-01-2024

La questione

Nel caso in esame, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Demanio avevano avviato un giudizio finalizzato ad ottenere la declaratoria di nullità ed inefficacia nei confronti dello Stato dell’atto di rinuncia alla proprietà di specifici terreni. Questi terreni erano stati oggetto di abdicazione da parte dei proprietari, in quanto inservibili e privi di valore economico a causa di un vincolo di pericolosità elevata apposto dal Piano di Assetto Idrogeologico della Regione Abruzzo.
Le argomentazioni di diritto sollevate dalle amministrazioni attrici sono state diverse: in primo luogo, le stesse hanno sottolineato l’assenza nel nostro ordinamento di una facoltà generale di rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare. In subordine, hanno sollevato la nullità dell’atto di rinuncia, invocando la mancanza del giudizio di meritevolezza (ex art. 1322 c.c.) o illiceità della causa (art. 1343 c.c.).
Infine, MEF e Demanio avanzavano la richiesta di rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di Cassazione, esprimendo la necessità di risolvere questioni giuridiche che risultano di difficile comprensione.
Il Tribunale ha accolto la richiesta di rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di Cassazione presentata dalle amministrazioni attrici, dichiarando che le disposizioni dell’articolo 363-bis c.p.c. trovano applicazione nel caso di specie per via del fatto che la fattispecie presenta alcune difficoltà interpretative.

Le argomentazioni

La tesi favorevole all’ammissibilità della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà di un immobile si basa sulla considerazione ce la stessa viene considerata un negozio giuridico unilaterale a carattere non recettizio attraverso il quale il rinunciante, nell’esercizio appunto di una facoltà, dismette una situazione giuridica di cui è titolare. L’abbandono della proprietà, pertanto, non implicherebbe un automatico trasferimento del diritto a un altro soggetto né l’estinzione dello stesso.
I fautori della tesi positiva distinguono la rinuncia abdicativa dalla rinuncia traslativa, previste dagli articoli 1170, 882, 550 e 1004 c.c., in cui la rinuncia alla proprietà non determina la vacatio del bene, ma il trasferimento della titolarità a un’altra parte interessata. Pertanto, la rinuncia abdicativa non ha natura contrattuale, e gli effetti in capo a terzi si producono ipso iure, senza necessità di accettazione da parte del rinunciante.
A livello sistematico, l’ammissibilità della rinuncia abdicativa viene presa in considerazione da diverse norme. In particolare, si fa riferimento all’art. 1350 n. 5 c.c., che richiede la forma scritta, a pena di nullità, per gli atti di rinuncia e l’art. 2643 n. 5 c.c.  che indica tra gli atti soggetti a trascrizione le rinunce. Inoltre, un ulteriore parametro normativo è offerto dall’art. 1118, comma 2, c.c., che stabilisce che “il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni” presupponendo la possibilità di rinunciare al proprio diritto dominicale sugli immobili. Infine, L’art. 827 c.c., che regola i “Beni immobili vacanti” confermerebbe la possibilità che esistano beni immobili privi di proprietario (res nullius), che divengono in via automatica patrimonio dello Stato.
Un’opposta corrente interpretativa suggerisce una diversa lettura delle norme citate.  Secondo questa tesi, l’art. 1350 n. 5 si riferisce agli accordi che abbiano ad oggetto atti di trasferimento di beni immobili. Pertanto, la rinuncia al diritto di proprietà comporterebbe un automatico riacquisto del diritto in capo al rinunciante.
I fautori della tesi contraria sottolineano che l’art. 1118, comma 2, c.c., implicherebbe un divieto di rinunciare alle parti comuni.
La disciplina codicistica riguardante i modi di acquisto della proprietà viene, altresì, citata come argomento a sostegno dell’assunto.

La causa nella rinuncia abdicativa

L’ordinanza suggerisce anche di porre tra i motivi di rinvio la questione della causa nell’atto di rinuncia abdicativo. L’argomento suscita, infatti, divergenze interpretative: infatti, si discute se l’atto abdicato sia compatibile con i concetti di causa in concreto e meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c., richiesti per il contratto. Da un lato, un primo indirizzo ritiene che la rinuncia esprima un interesse meritevole di tutela; dall’altro un diverso filone interpretativo ritiene che la rinuncia non richieda un fine che realizzi interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Da un lato, alcuni sostengono che la rinuncia abdicativa potrebbe andare in contrasto con le istanze solidaristiche e sociali sottese all’articolo 42 Cost., considerando situazioni in cui la rinuncia si traduce nel trasferire sulla collettività rischi e oneri legati alla gestione di beni immobili pericolosi o improduttivi. In questo contesto, si fa riferimento alla necessità di valutare se la rinuncia presenti un fine meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, considerando gli obblighi di custodia e responsabilità legati alla proprietà immobiliare.
Dall’altro lato, un’altra corrente ritiene che in assenza di una norma specifica, la funzione sociale della proprietà non dovrebbe costituire un limite alla possibilità di rinuncia. L’argomento principale dell’assunto è che il legislatore non ha imposto limiti espliciti al potere dispositivo del proprietario.

Il raffronto con la donazione

La rinuncia abdicativa viene paragonata alla donazione (art. 769 c.c.), evidenziando che anche quest’ultima, essendo un atto di liberalità, è soggetta a rigorosi requisiti di forma. Nonostante ciò, si presume che le azioni del privato siano motivate da considerazioni di convenienza economica considerati leciti e per l’effetto non riprovevoli.

Conclusioni

Secondo l’orientamento favorevole alla legittimità della rinuncia abdicativa, si sostiene che l’atto non sarebbe intrinsecamente illegittimo, poiché si basa su valutazioni di convenienza e opportunità. Questa interpretazione è in linea con decisioni giurisprudenziali che ritengono che, specialmente in presenza di terreni ad elevata pericolosità, la rinuncia potrebbe giustificare l’impiego di risorse pubbliche per interventi di sicurezza, anziché far gravare i costi sul singolo proprietario. L’utilizzo di fondi pubblici sarebbe considerato conforme ai principi solidaristici.
Nel caso specifico, le amministrazioni attrici affermano che i beni oggetto di rinuncia sono soggetti ai vincoli di “Pericolosità elevata” del PAI (Piano di assetto idrogeologico) della Regione Abruzzo.
L’efficacia dell’atto di rinuncia abdicativa richiede una valutazione della meritevolezza degli interessi privati che lo motivano. Si evidenzia che la questione non riguarda solo gli aspetti legati alla responsabilità per la custodia o gestione degli immobili, ma coinvolge anche il risparmio di spesa e la capacità economica del singolo proprietario.
Il Tribunale dell’Aquila, in composizione monocratica, ha dunque disposto il rinvio pregiudiziale degli atti alla Suprema Corte di Cassazione per la risoluzione della questione di diritto riguardante l’ammissibilità della rinuncia.

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