Con la sentenza n. 21533 del 22 ottobre 2015, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito che il mancato rilascio della procura alle liti non costituisce una causa di inesistenza dell’atto di citazione.
La Suprema Corte muove il suo ragionamento dal fatto che nonostante l’art. 163, co. 2, n. 6, c.p.c. rilevi la necessità di indicare il nome ed il cognome del procuratore e la procura – se già rilasciata – il difetto non è ricompreso tra quelli elencati nel successivo art. 164 c.p.c., che ne producono la nullità.
L’atto di citazione privo della procura della parte è, quindi, idoneo ad introdurre il processo e ad attivare il potere dovere del giudice di decidere, con la conseguenza che la sentenza emessa a conclusione del processo introdotto con un atto di citazione viziato per difetto di procura alle liti è nulla, per carenza di un presupposto processuale necessario ai fini della valida costituzione del giudizio, ma non inesistente.
A tal riguardo, la Corte di legittimità ha inteso inoltre precisare che detta sentenza, pur viziata, per effetto del principio di conversione dei vizi di nullità in motivi di gravame, sancito dall’art. 161, co. 1, c.p.c., è suscettibile di passare in giudicato in caso di mancata tempestiva impugnazione nell’ambito dello stesso processo nel quale è stata pronunciata, “non essendo esperibili i rimedi dell’actio o dell’exceptio nullitatis, consentiti solo nel caso di inesistenza della sentenza“.
Sulla scorta di tale ragionamento, la Corte Suprema di Cassazione ha pertanto cassato la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinviato ad altra sezione della Corte territoriale perché provveda ai sensi dell’art. 182 co. 2 c.p.c., dovendosi ritenere doveroso per il giudice promuovere – mediante l’assegnazione di un termine perentorio alla parte – la sanatoria, con effetti ex tunc, del difetto di procura alle liti, senza il limite delle preclusioni processuali.
(Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 21533 del 22 ottobre 2015)