La riforma normativa intervenuta con la L. n. 108/96 ha disancorato l’usura dal requisito dell’approfittamento dello stato di bisogno.
Essa, per lo meno nella sua declinazione pecuniaria ed astratta, postula esclusivamente l’oggettivo superamento di un tasso-soglia predeterminato nel momento della pattuizione degli interessi.
Le conseguenze civilistiche dell’usura pecuniaria sono stabilite dall’art. 1815, co. 2, c.c., che, pur riferendosi al contratto di mutuo, è estendibile a tutti i contratti di finanziamento che prevedano un piano di ammortamento rateale.
La disposizione in esame, più nel dettaglio, contempla una nullità che è definita come necessariamente parziale.
Ciò in quanto, in seguito alla declaratoria di nullità della clausola che prevede gli interessi usurari, il debitore non deve più corrispondere alcun interesse e, pertanto, il mutuo da oneroso diviene gratuito.
In altri termini, il contratto viene depurato dalla clausola usuraria, ma resta fermo per il resto, a tutela del debitore-mutuatario, il quale, diversamente opinando, non solo sarebbe vittima dell’imposizione usuraria, ma, andando oltre, subirebbe il pregiudizio discendente dal dovere di restituire illico et immediate l’intero finanziamento.
Si analizzeranno, pertanto, le principali problematiche che si sono innervate sul viscoso crinale dell’accertamento dell’usurarietà degli interessi, sotto il profilo dell’oggettiva determinazione del tasso soglia dell’usura, del necessario rispetto del principio di simmetria e della computabilità degli interessi moratori.
La determinazione astratta della soglia dell’usura: il tasso effettivo globale medio
Al fine di calcolare il tasso soglia dell’usura è necessario incrementare il tasso effettivo globale medio (di seguito T.E.G.M.) in ragione di un coefficiente.
Più precisamente, il T.E.G.M. rappresenta il costo medio del credito, ricomprensivo di tutti gli oneri che un utente è chiamato a sostenere per accedere ad ogni operazione di finanziamento.
Dal momento che il valore del denaro è mutevole nel tempo, il medesimo costituisce un parametro necessariamente variabile, e viene determinato trimestralmente con un Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, sulla base delle rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia.
Tale valore variabile deve essere successivamente moltiplicato per un “delta” fisso, che in passato era pari al 50% del T.E.G.M. e che di recente è stato aumentato per compensare la progressiva riduzione dei tassi di interesse.
Si prevede, pertanto, che occorra incrementare il T.E.G.M. del 25% e che, a tale prodotto, debbano essere aggiunti altri quattro punti percentuali.
Riportando un esempio, al fine di chiarire tale operazione apparentemente complessa, se il T.E.G.M. fosse pari all’1%, il tasso soglia dell’usura non sarà più dell’1,5% (T.E.G.M. pari all’1% aumentato del proprio 50%), ma del 5,25%, risultante dal T.E.G.M. pari all’1% aumentato del proprio 25%, a cui si aggiungono altri quattro punti percentuali (1+0,25+4 = 5,25%).
Il necessario rispetto del principio di simmetria: tra certezze giurisprudenziali e perplessità dottrinali
La Corte di Cassazione[1], nella sua composizione più autorevole, ritiene perentoriamente applicabile il principio di simmetria.
In forza di quest’ultimo, le grandezze considerate dal giudice, a valle, per acclarare se il tasso di interesse reale pagato dal debitore, ossia il c.d. tasso effettivo globale (di seguito T.E.G.) sia usurario, dovrebbero essere le medesime che ha utilizzato l’autorità amministrativa, a monte, per calcolare il tasso effettivo globale medio o T.E.G.M.
Si rammenta, a tal proposito, quanto affermato dalla giurisprudenza con riferimento alla questione della rilevanza della commissione di massimo scoperto (c.d. C.M.S.) ai fini della determinazione della soglia dell’usura, prima che la medesima venisse sostituita dalla commissione di affidamento.
Va premesso che la commissione di massimo scoperto è un costo che si calcola sui finanziamenti con piano di utilizzo flessibile, quali le aperture di credito in conto corrente.
In siffatte ipotesi, l’utente era tenuto a pagare non solo gli interessi sul denaro utilizzato, ma anche una commissione volta a remunerare il creditore per il sol fatto di avere messo a disposizione una somma superiore rispetto a quella impiegata, la quale veniva parametrata sul “massimo scoperto”, vale a dire sul picco di utilizzo dell’ammontare concesso.
Tale previsione, nondimeno, si traduceva in una duplicazione priva di giustificazione causale, poiché il debitore finiva per pagare sia gli interessi, sia la commissione di massimo scoperto, entrambi parametrati all’importo effettivamente impiegato.
Per questa ragione la commissione di massimo scoperto è stata abrogata e sostituita dalla commissione di affidamento, la quale, coerentemente con la propria ratio, viene calcolata sull’affidato, così scongiurandosi ogni indebita superfetazione.
Ad ogni modo, prima di tale abrogazione e per ciò che maggiormente interessa, il Legislatore con l’art. 2-bis D.L. 185/08[2] aveva affermato che, in ossequio alle indefettibili esigenze di simmetria, la C.M.S. dovesse essere computata dall’autorità amministrativa, ai fini della determinazione astratta del T.E.G.M., e che, proprio per questo motivo, anche l’autorità giudiziaria dovesse considerarla nel calcolo del tasso effettivo interesse globale reale (T.E.G.), pagato concretamente dal debitore, volto ad acclarare se il medesimo fosse o meno usurario.
Sebbene la legge in esame non fosse retroattiva, si è evidenziato che il principio di simmetria potesse essere ripristinato anche per il passato, interpolando il dato, ossia ricalcolando un nuovo tasso soglia dell’usura per il tramite della somma tra il T.E.G.M. e la C.M.S., rilevata a latere dalla Banca d’Italia.
Nondimeno, il principio di simmetria, pacificamente accolto dalla giurisprudenza, è stato sottoposto ad aspre critiche sul piano dottrinale[3].
Il medesimo, invero, sembra insostenibile sul versante logico, oltre che dogmatico, per molteplici ragioni.
A fondamento dell’assunto, si premette che la subordinazione dell’applicazione giudiziale della legge al contenuto di un atto amministrativo potrebbe dare luogo a delle conseguenze paradossali e, pertanto, inaccettabili.
Ciò in quanto laddove il giudice, nel determinare il T.E.G. in concreto, ritenesse illegittimo il provvedimento che contempla il T.E.G.M., in astratto, dovrebbe disapplicare il medesimo, con la conseguenza che, venendo meno il dato medio variabile impiegato per determinare il tasso soglia, si renderebbe altresì inapplicabile l’intera normativa antiusura.
A questo si aggiunga l’imprecisione e l’incoerenza giuridica con cui si sembra trascurare il fatto che il tasso soglia astratto dell’usura non coincide con il tasso effettivo globale medio.
Quindi, se di simmetria si dovesse parlare, sarebbe indefettibile raffrontare il T.E.G. in concreto non già con il T.E.G.M. tout court, bensì con il T.E.G.M. incrementato del 25% ed al quale si devono aggiungere ulteriori quattro punti percentuali.
Andando oltre, la piana applicazione del principio di simmetria potrebbe anche essere pericolosamente fuorviante.
Il creditore, infatti, potrebbe contenere entro i limiti dell’usura le voci ordinarie contemplate nel T.E.G.M. come costi medi del credito, e poi imporre degli oneri e dei costi elevatissimi che, essendo atipici, non rientrerebbero nel calcolo della soglia dell’usura in astratto.
Pertanto, in ragione della piana applicazione del principio di simmetria, si potrebbero elusivamente imporre dei tassi di interesse, che, a causa delle voci atipiche ed in concreto, sono ben superiori rispetto al tasso soglia e che nondimeno, in ragione della sola rilevanza dei costi tipici indicati nel T.E.G.M., non sono considerati usurari, con conseguente inapplicabilità del congegno remediale di cui all’art. 1815, co. 2, c.c.
La vexata quaestio della computabilità degli interessi moratori ai fini della determinazione della soglia dell’usura: l’orientamento restrittivo
L’applicazione del principio di simmetria, tanto criticato dalla dottrina quanto consolidato nella giurisprudenza, ha assunto un ruolo centrale anche nell’annoso dibattito concernente la rilevanza degli interessi moratori ai fini della determinazione del tasso soglia dell’usura.
Per un orientamento giurisprudenziale, principalmente di merito[4], gli interessi moratori non avrebbero alcuna rilevanza ai fini della determinazione del tasso soglia dell’usura.
A porsi quale fattore ostativo sarebbe, anzitutto, proprio il principio di simmetria, atteso che tali interessi non possono essere considerati ai fini della determinazione del T.E.G.M. in astratto da parte dell’autorità amministrativa e, dunque, neanche ai fini del T.E.G. in concreto da parte dell’autorità giudiziaria.
Questo perché essi costituiscono non già un prezzo ordinario del credito pagato da tutti i debitori, bensì un costo virtuale ed ipotetico, essendo dovuti solamente dal debitore moroso, nell’eventualità di un suo inadempimento o ritardo.
Tale indirizzo di merito ha evidenziato, altresì, un’asserita esigenza di continuità con la tutela penale, osservando che l’art. 644 c.p. e l’art. 1815 c.c. tutelano i medesimi beni giuridici, ossia la libertà negoziale del contraente e l’economia pubblica.
Pertanto, così come la giurisprudenza penale[5] circoscrive la qualifica degli interessi usurari ai soli interessi corrispettivi, escludendo i moratori, alle medesime conclusioni dovrebbe giungersi anche in materia civile.
Da ultimo, si valorizza l’affinità funzionale tra gli interessi moratori e la clausola penale, rappresentando entrambi degli istituti finalizzati, al contempo, a predeterminare l’entità del risarcimento del danno e a sanzionare il pregiudizio conseguente all’inadempimento o al ritardo nell’adempimento.
Tale conformità dovrebbe riflettersi anche sul piano remediale, di talché si applicherebbe analogicamente l’art. 1384 c.c.
Sul punto, si precisa che se è vero che gli interessi non devono mai essere usurari, è altresì innegabile che, nella specie, essi sono tali in conseguenza della condotta inadempiente del debitore, il quale, pertanto, è meritevole non già la tutela forte della non debenza di alcun interesse ex art. 1815, co. 2, c.c., bensì quella debole della riduzione ad equità dei medesimi, al di sotto della soglia dell’usura.
L’orientamento estensivo della giurisprudenza di legittimità
Secondo l’orientamento del tutto consolidato nella giurisprudenza di legittimità[6], gli interessi moratori assumono rilevanza ai fini della determinazione del tasso soglia dell’usura.
Sul punto si osserva che, diversamente opinando, si finirebbe per obliterare l’inequivoca volontà del Legislatore, il quale, con la Legge n. 24/01, di interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., dispone che “si intendono usurari gli interessi che superano il limite di legge, nel momento in cui sono promessi o, comunque, convenuti a qualsiasi titolo”.
Peraltro, ancora più esplicita è la relazione governativa di accompagnamento del D.L. n. 394/2000 che, nell’elencare gli elementi rilevanti ai fini dell’usura, fa espressamente riferimento ad ogni interesse corrispettivo, compensativo o moratorio, senza lasciare spazio a possibili interpretazioni contrarie.
Anche il tessuto codicistico sembra precludere qualsiasi spiraglio di segno opposto, attesa l’inequivoca equiparazione tra gli interessi corrispettivi e moratori operata dall’art. 1224 c.c.
Da ultimo, sotto un profilo teleologico, si aggiunge che gli interessi corrispettivi e quelli moratori sono identici nella loro specularità, atteso l’inestricabile connubio tra denaro e interessi.
Ad onta delle apparenti divergenze, infatti, entrambi gli interessi in esame presentano una funzione reintegrativa della perdita della disponibilità del denaro, di cui il creditore si è privato volontariamente (interessi corrispettivi) o di cui è stato privato in conseguenza dell’inadempimento o del ritardo del debitore (interessi moratori).
L’intervento delle Sezioni Unite: tra certezze consolidate e rilievi critici
A fronte del suddetto contrasto ermeneutico, occorre segnalare l’incursione all’interno del circuito giurisprudenziale di una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[7], la quale avverte l’esigenza di puntualizzare, in maniera univoca e definitiva, la rilevanza di tutti gli interessi, ivi compresi quelli moratori, ai fini della determinazione del tasso soglia dell’usura.
Il baricentro focale dell’ordito motivazionale della sentenza è spiccatamente orientato verso l’esigenza della piena tutela del debitore.
L’iter logico-sistematico percorso, per lo meno nella parte introduttiva, si lascia particolarmente apprezzare per la sua intrinseca coerenza con le rationes legis sottese alla disciplina antiusura, ossia con la tutela di principi di ordine pubblico economico, quali la protezione del fruitore del finanziamento, la repressione della criminalità economica, la direzione del mercato creditizio e la stabilità del sistema bancario.
L’approdo ermeneutico in esame opera un’analitica confutazione delle argomentazioni addotte dal formante giurisprudenziale restrittivo, che, come visto, riteneva applicabile lo strumento remediale della riduzione ad equità degli interessi moratori manifestamente eccessivi.
Anzitutto, si evidenzia che lo scopo della normativa antiusura è quello di proteggere il debitore, il quale, anche nella fase patologica dell’inadempienza, non può essere lasciato alla mercé del creditore.
Peraltro, l’applicazione analogica dell’art. 1384 c.c. – oltre ad essere di dubbia ammissibilità dogmatica, trattandosi di norma eccezionale – si limiterebbe, sul piano pratico, a consentire una riduzione dell’interesse che sarebbe operata da ciascun singolo giudice in via meramente casistica e che, pertanto, si rivelerebbe difforme sul piano nazionale.
Per tali ragioni si nega recisamente l’estendibilità del suddetto rimedio, e si afferma l’applicabilità della nullità necessariamente parziale ex art. 1815, co. 2, c.c., nelle ipotesi di pattuizione di interessi corrispettivi e moratori eccessivi.
Si fa riferimento, pertanto, non solo nelle fattispecie di usurarietà oggettiva, ma anche in quelle di usurarietà in concreto, valutata dal giudice quando l’interesse, a prescindere dal superamento del tasso soglia legale, risulta essere eccessivo, anche in considerazione delle condizioni economiche o finanziarie del debitore.
La giurisprudenza di legittimità, nella sua composizione più autorevole, mostra anche in tale occasione un particolare riguardo verso il principio di simmetria.
Più precisamente, si evidenzia come sia possibile ripristinare la simmetria interpolando il tasso soglia dell’usura, ossia aggiungendo a latere il valore medio degli interessi moratori, e così addivenendo al costo medio del credito per un debitore inadempiente.
Nel dettaglio, le rilevazioni della Banca d’Italia hanno individuato tale ulteriore tasso medio degli interessi moratori dapprima in quello fisso del 2,1% di cui al D.M. 25 marzo 2003, e successivamente in quello variabile di cui al D.M. 21 dicembre 2017, il quale viene differenziato a seconda delle tipologie di finanziamento, da un minimo dell’1,9% per il mutuo ipotecario – che è il più garantito – a un massimo del 4,1% per il leasing.
Conseguentemente, il tasso soglia dell’usura per il debitore moroso sarebbe pari al T.E.G.M. incrementato del proprio 25%, a cui si aggiunge un ulteriore 4%, nonché un valore variabile che va da un minimo dell’1,9% a un massimo del 4,1%, non senza qualche contraddizione, per le ragioni che verranno di seguito indicate.
In primo luogo si evidenzia la presenza di una problematica disomogeneità temporale, atteso che mentre il T.E.G.M., come visto, viene calcolato trimestralmente, al contrario il tasso medio dell’interesse moratorio, che dovrebbe essere sommato al medesimo, è stato calcolato solamente due volte in un lasso temporale di ben quattordici anni, sicché rischia di risultare anacronistico.
Andando oltre, prima del 2003 tale tasso non era presente, e ciò nonostante la giurisprudenza di legittimità aveva affermato che gli interessi moratori rilevassero anche per tale periodo antecedente, asserendo che si dovesse assumere quale parametro di riferimento il tasso soglia dell’usura non integrato, in deroga al principio di simmetria.
Tale impalcatura motivazionale non appare coerente, poiché delle due l’una: o il principio di simmetria non è inderogabile, e allora tale affermazione può essere condivisibile, oppure se il medesimo presenta la cogenza da sempre sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità, l’impossibilità di interpolare il tasso dell’usura dovrebbe ostare, per il periodo antecedente al 2003, alla considerazione degli interessi moratori ai fini della valutazione dell’usuraretà dell’interesse, e della conseguente applicazione della disciplina antiusura.
Un’ulteriore problematica discende dal fatto che la sommatoria degli interessi corrispettivi e di quelli moratori ai fini della determinazione del tasso soglia dell’usura potrebbe dare vita a dei fenomeni di c.d. inadempimento efficiente.
Il debitore, infatti, potrebbe essere indotto a non adempiere, così da essere messo in mora nel caso in cui si avveda che, in ragione del cumulo degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, venga superata la soglia dell’usura, così da non dovere pagare alcun interesse ex art. 1815, co. 2, c.c.
È evidente che in tal modo egli trarrebbe un beneficio dal proprio inadempimento, ottenendo una posizione di maggiore vantaggio rispetto a quella in cui si sarebbe trovato se avesse adempiuto e, dunque, se avesse pagato gli interessi corrispettivi.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nell’ordito motivazionale della sentenza, hanno diradato definitivamente questa coltre di equivocità, escludendo la sommatoria e fornendo una soluzione idonea a preservare il prezzo del denaro e la sua naturale fecondità in applicazione dell’art. 1224 c.c., che prevede che dal giorno della mora gli interessi corrispettivi vengono sostituiti automaticamente dagli interessi moratori.
Il precipitato dell’assunto enunciato dai giudici di legittimità esclude recisamente qualsiasi forma di inadempimento efficiente, in quanto il debitore inadempiente è comunque tenuto a corrispondere gli interessi moratori, che sostituiscono e non si sommano ai corrispettivi, i quali sono per lo meno pari ai corrispettivi, e frequentemente superiori, convenendosi il pagamento di un delta aggiuntivo a titolo di risarcimento per il danno da ritardo.
Ciò scongiura che il debitore possa trarre un qualsiasi vantaggio dall’inadempimento e dalla messa in mora e, andando oltre, consente frequentemente di differenziare la posizione del debitore diligente e adempiente, che paga i soli interessi corrispettivi, e il debitore inadempiente, che paga gli interessi moratori, spesso superiori a quelli corrispettivi, seppur al di sotto della soglia dell’usura.
Così, per esempio, se l’interesse corrispettivo è pari al 3%, l’interesse moratorio è pari al 7% e il tasso soglia dell’usura corrisponde all’8%, in seguito all’inadempimento occorre tenere conto non già della sommatoria dei due interessi (3% + 7% = 10% sopra la soglia dell’usura, con conseguente non debenza di alcun interesse ex art. 1815, co. 2, c.c.), bensì dei soli interessi moratori che si sostituiscono ai corrispettivi.
Pertanto, il debitore inadempiente pagherà un interesse moratorio che, seppur ragionevolmente superiore al corrispettivo dovuto dal debitore adempiente, non è usurario.
Una volta chiarito ciò, si soggiunge che, da un punto di vista processuale, il debitore, anche prima dell’inadempimento, è legittimato a chiedere una sentenza di accertamento dell’usurarietà degli interessi moratori, laddove si avveda, che questi, se applicati, supererebbero la soglia dell’usura.
Questo in quanto, benché la lesione del diritto del debitore di non vedersi applicati degli interessi usurari non sia ancora attuale, la contrarietà della clausola relativa agli interessi di mora rispetto ai principi di ordine pubblico tutelati dalla disciplina antiusura, vale a radicare l’interesse ad agire del debitore ex 100 c.p.c.
Con la precisazione che, in tale evenienza, la sentenza sarà di mero accertamento dell’usurarietà del tasso di interesse in astratto pre-inadempimento, posto che l’inadempimento non è ancora attuale, ed il finanziatore non ha preteso alcunché a titolo di interessi di mora.
Ne discende che il debitore non può fare valere la nullità dell’interesse moratorio nel caso in cui, dopo l’inadempimento e in concreto, tale interesse non sia più usurario o a causa dell’innalzamento del costo del denaro e del tasso soglia, oppure poiché il creditore richieda di riscuotere un interesse che, seppur superiore rispetto a quello legale, si ponga al di sotto della soglia dell’usura.
Quindi, se, per esempio, l’interesse corrispettivo è pari al 3%, l’interesse moratorio è pari al 10% e la soglia dell’usura è individuata nell’8%, a seguito dell’azione di accertamento pre-inadempimento dell’usurarietà dell’interesse moratorio, l’utente si aspetterebbe l’applicazione dell’interesse corrispettivo del 3%, ma il finanziatore ben potrebbe pretendere la riscossione dell’interesse moratorio ben superiore al corrispettivo – nell’esempio fatto dell’8% – purché entro i limiti del tasso soglia dell’usura individuato esemplificativamente nel 10%.
Quest’ultima affermazione ha sollevato non poche perplessità, prevedendo una sorta di meccanismo di salvaguardia difficilmente giustificabile a livello dogmatico.
Ciò in quanto, anzitutto, in base ad una considerazione di ordine generale, questa sarebbe un’inammissibile ipotesi di nullità condizionata all’applicazione della clausola usuraria.
Pertanto, a seconda che detta clausola venga applicata o meno, si darebbe vita a uno strano fenomeno rispettivamente di nullità o di validità sopravvenuta, priva di qualsivoglia consistenza sistematica, che si pone in radicale contrasto con il pacifico carattere assoluto e originario della nullità, la quale attiene, per sua stessa natura, alla fase genetica dell’atto contrattuale sul quale attecchisce.
Andando oltre, tale soluzione, attribuendo rilevanza al momento della riscossione e non a quello della pattuizione, non è neanche coerente con i più recenti approdi ermeneutici raggiunti nella stessa materia dell’usura.
La stessa giurisprudenza di legittimità, nella sua composizione più autorevole[8], ha decretato il definitivo tramonto dell’usura sopravvenuta, proprio sul presupposto dell’esclusivo rilievo del momento della pattuizione, e dell’irrilevanza delle circostanze sopravvenute nel tempo della riscossione.
Si è chiarito, dunque, che il creditore può pretendere l’intero interesse, senza incorre in alcuna limitazione o inefficacia sopravvenuta, neanche in applicazione della clausola generale di buona fede in executivis.
Conseguentemente, ravvisata tale criticità nell’ordito motivazione della sentenza della Suprema Corte, sarebbe più corretto concludere nel senso che la clausola con cui il creditore ha pattuito la corresponsione di interessi moratori usurari sia radicalmente e originariamente nulla.
Costui, pertanto, potrebbe pretendere solamente gli interessi entro il limite del tasso legale a mente dell’art. 1224 c.c., che afferma che dal giorno della mora sono dovuti gli interessi nella misura legale, se non sono stati convenuti dei superiori interessi moratori ovvero – possiamo aggiungere – nel caso in cui questi siano radicalmente nulli, poiché usurari.
[1] Cfr., tra le altre, Cass., Sez. Un., 20 giugno 2018, n. 16303.
[2] convertito dalla Legge 28 gennaio 2009, n. 2
[3] G. D’AMICO, “Principio di simmetria” e legge anti-usura, in I Contratti, 2017, 507; E. QUADRI, Profili civilistici dell’usura, in Mercato del credito e usura, F. Macario-A. Manna (a cura di), Milano, 2002, 110- 111; A. GENTILI, I contratti usurari: tipologie e rimedi, in Riv. dir. civ., 2001, I, 359
[4] Da ultimo, Trib. Roma 17754/2020.
[5] V, tra gli altri, Trib. Verona 12 settembre 2015.
[6] Cass. 17 ottobre 2019, n. 26286; Cass. 13 settembre 2019, n. 22890, Cass. 30 ottobre 2018, n. 27442; Cass. 6 marzo 2017, n. 5598; Cass. 4 aprile 2003, n. 5324.
[7] Cass., Sez. Un., 18 settembre 2020, n. 19597.
[8] Cass., Sez. Un., 19 ottobre 2017, n. 24675.