In tema di oneri di allegazione a carico della parte eccipiente la Cassazione ha chiarito che l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, ossia l’inerzia del titolare manifestando la volontà di volerne profittare, senza che rilevi l’erronea individuazione del termine applicabile, ovvero del momento iniziale.
Neppure è necessaria la tipizzazione secondo una delle varie ipotesi previste dalla legge non richiedendosi all’eccipiente anche di specificare a quale tra le prescrizioni, diverse per durata, intenda riferirsi, spettando al giudice stabilire se, in relazione alla domanda che può conoscere nel merito e al diritto applicabile nel caso concreto, la prescrizione sia maturata. Resta fermo, tuttavia, che l’eccezione di prescrizione deve sempre fondarsi su fatti allegati dalla parte ed il debitore che la solleva ha l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine, ai sensi dell’art. 2935 c.c., restando escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso.
Il caso in esame
Fattispecie complessa. Un lavoratore dell’amministrazione postale agiva per sentir condannare alla riliquidazione della sua indennità di quiescenza il fondo previdenziale pubblico dell’Ipost (Istituto Postelegrafonici), perché questo includesse nella base di calcolo un assegno ad personam di cui il lavoratore avrebbe beneficiato ai sensi di tal d.P.R. del 1973. Il Giudice del lavoro adito dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, in favore della Corte dei Conti (settembre 1999). L’attore riassumeva il giudizio dinanzi al giudice contabile, e otteneva sentenza favorevole in ordine alla riliquidazione (maggio 2003).
L’attore proponeva un nuovo ricorso contro l’Ipost, ritenuto competente per l’operazione di riliquidazione, ma il Giudice del lavoro ne dichiarava il difetto di legittimazione passiva (ottobre 2004). Ed infatti, per effetto della L. 27 dicembre 1997, n. 499 (art. 53, sesto co., lett. a) tutte le situazioni giuridiche imputate all’Ipost venivano devolute, per un fenomeno di natura latamente successoria, ad un altro ente (pubblico), competente per l’erogazione dell’indennità di quiescenza (all’attore ed in generale) a tutto il personale dell’ente Poste italiane (già Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni e trasformato in ente pubblico economico nel 1993).
L’attore agiva infine contro tale altro ente, denominato “Gestione commissariale-Fondo buonuscita Poste italiane”, e soccombeva in primo grado. La Corte di appello di Palermo, tuttavia, riformava la sentenza di primo grado, e condannava la Gestione commissariale al pagamento dell’indennità, come maggiorata di interessi ed accessori.
A mente della Corte, il giudice di prime cure aveva fondato l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione del diritto all’indennità, sollevata dalla Gestione commissariale, sopra fatti non allegati dalle parti. La Gestione commissariale, infatti, aveva fondato l’eccezione di (compiuta) prescrizione quinquennale sul presupposto (di diritto) che gli atti interruttivi, compiuti dall’attore nei confronti dell’Ipost, non fossero opponibili alla Gestione. Pur se implicitamente, un tale presupposto non veniva condiviso dal giudice di prime cure; l’eccezione di prescrizione del diritto all’indennità veniva comunque accolta, sulla base del fatto (non allegato dall’eccipiente), che la notificazione del ricorso del secondo giudizio contro Ipost (ottobre 2004) seguiva più di cinque anni dopo formato il giudicato sul primo giudizio (settembre 1999).
Il principio di allegazione del processo civile giustificava la riforma della sentenza di primo grado, ma costringeva anche la Corte d’appello a fondare la decisione nel merito su fatti ritualmente allegati e provati (o non specificamente contestati) dalle parti in causa. In particolare, la Corte dichiarava l’opponibilità alla Gestione degli atti interruttivi della prescrizione, e fondava il rigetto dell’eccezione di prescrizione sulla sentenza della Corte dei Conti, ritualmente allegata dall’attore e acquisita agli atti. Su tale sentenza scendeva il giudicato nel maggio 2003: il ricorso contro la Gestione commissariale veniva promosso nell’aprile 2008, e quindi (poco) prima del compimento della prescrizione quinquennale del diritto all’indennità.
Il giudizio di legittimità
La Gestione commissariale ricorre per cassazione con quattro motivi. La Corte dichiara inammissibili il primo ed il quarto, ed infondato il terzo, relativo al fenomeno, studiato dal diritto amministrativo, della successione nei rapporti giuridici (già) imputati ad un ente pubblico soppresso ope legis. La Corte si diffonde sul terzo motivo, relativo ai requisiti processuali e sostanziali dell’eccezione di prescrizione.
La Corte condivide l’interpretazione rigorista che la Corte d’appello ha data degli artt. 112 e 115 c.p.c., in accordo ai quali il giudice civile può fondare la decisione della causa sui soli fatti allegati e provati (o non specificamente contestati) dalle parti. In particolare, il principio secondo cui il giudice deve decidere iuxta alligata et probata partium viene specificato per il caso in cui l’oggetto dell’allegazione (e della prova) sia un fatto rilevante per il decorso (art 2935 c.c.) o per l’interruzione (artt. 2943 s. c.c.) della prescrizione. Dichiara la Corte, nel solco di una giurisprudenza consolidata, che l’eccezione di prescrizione si fonda su un fatto costitutivo “che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine, ai sensi dell’art. 2935 c.c.”.
La parte eccipiente, in altri termini, soddisfa l’onere probatorio a suo carico sol che alleghi, e dimostri (o la controparte non contesti specificamente), che tale fatto costitutivo si è realizzato. La parte eccipiente, assolto tale onere, non è pregiudicata dall’erronea individuazione del termine iniziale o finale della prescrizione, né è pregiudicata dall’erronea tipizzazione della prescrizione (ordinaria o breve) rilevante nel caso concreto. Individuazione del termine e tipizzazione della prescrizione, infatti, sono questioni di diritto, che impegnano il potere del giudice di qualificare giuridicamente la fattispecie concreta, e di trarne le conseguenze in punto di effetti. Solamente, conclude la sentenza, il giudice non può fondare la decisione sull’eccezione di prescrizione su fatti, non allegati (e provati) dalle parti, né, sembrerebbe, su fatti allegati come causae petendi di domande, o dedotti in eccezioni, diverse dall’eccezione di prescrizione.
Commento. Dottrina e precedenti giurisprudenziali
È pacifico che l’eccezione di prescrizione debba fondarsi su fatti allegati e provati (o non specificamente contestati) dalle parti in causa.[1] È pure, sembra, pacifico che l’allegazione debba essere specifica, ossia che la parte debba allegare il fatto allo specifico fine di fondarvi l’eccezione, così vincolando il giudice a fondare l’accoglimento o il rigetto dell’eccezione sul fatto specificamente allegato, e non su altri fatti eventualmente allegati, magari da controparte, a fondamento di altre domande o eccezioni.[2] È parimenti pacifico che la tipizzazione della prescrizione (ordinaria o breve) sia una questione di diritto, su cui il giudice deve pronunciarsi, anche disattendendo le postulazioni contenute negli atti di parte. Piuttosto, la sentenza in commento si segnala per la dichiarazione che il termine iniziale e/o finale della prescrizione, ossia la data da cui la prescrizione decorre, e la data in cui la prescrizione si compie, non è un fatto, ma è questione di diritto, e come tale soggetta al potere di “qualificazione” (diremmo, determinazione) d’ufficio del giudice.
Il principio di diritto qui rilevante risponde alla domanda, se il termine iniziale di decorrenza della prescrizione ricada tra le questioni di diritto, su cui il giudice può pronunciarsi, indipendentemente dalle (ed anche contro alle) postulazioni di parte. Orbene, vien fatto di considerare che l’allegazione della data, da cui si postula decorra la prescrizione, non è sempre esplicitamente distinta, negli atti di parte, dall’allegazione del fatto che determina il decorso della prescrizione. Qualora comunque la distinzione vi fosse, sembra che l’allegazione della data sia allegazione di un fatto della realtà materiale, che ricade nell’esclusivo potere dispositivo delle parti. Per contro, questione di diritto è se il diritto, di cui si postula la compiuta prescrizione, sia stato effettivamente esercitabile (solo o già) a partire dalla data, allegata dalla parte; in altri termini, se la data allegata sia sussumibile sotto il sintagma “giorno in cui il diritto può essere fatto valere” di cui all’art. 2935 c.c.
La dottrina su questo principio specifico è scarsa. A sostegno della nostra osservazione vale chi afferma che “l’eccezione di prescrizione costituisce eccezione in senso proprio, e come tale deve essere sollevata dalla parte, alla quale soltanto spetta di specificare i fatti che ne costituiscono il fondamento, ivi compresa la data di inizio del decorso prescrizionale”.[3] Conforme, può osservarsi, Cass., 23.2.2004, n. 3578, relativa all’accertamento del diritto alla rendita Inail per malattia professionale. Veniva ritenuta viziata da extra-petizione la sentenza impugnata, che aveva fatto decorrere la prescrizione del diritto alla rendita da una data, successiva e comunque diversa da quella indicata da Inail nella sua eccezione di prescrizione, impregiudicato nel merito il fatto, che la decorrenza della prescrizione dalla data successiva comunque non avrebbe salvato da prescrizione il diritto del ricorrente.
Molti precedenti, anche di legittimità, confortano per contro la sentenza in commento.[4] Ricordiamo, a titolo di esempio: Trib. Lucca, 13.12.2019, n. 1788; Cass., 27.7.2016, n. 15631; Cass., 22.5.2007, n. 11843; Cass., 24.3.1999, n. 2789 e Cass., 25.11.1992, n. 12539.
[1] L’eccezione di prescrizione, infatti, è eccezione di merito in senso proprio (v. Mandrioli – Carratta, Diritto processuale civile, I, Nozioni introduttive e disposizioni generali, XXVa ed., Torino, 2016, p. 151).
[2] Palatucci, Sub art. 115 c.p.c., in La giurisprudenza sul codice di procedura civile coordinata con la dottrina, Stella Richter G. – Stella Richter P. (diretta da), Libro I, tomo III (artt. 99-120), Corsini – Palatucci (a cura di), Milano, 2006, pp. 2427 s., secondo cui “in molteplici occasioni si è evidenziato, altresì, che il principio dell’onere della prova (…) non implica anche che la dimostrazione del buon fondamento del diritto vantato dipenda unicamente dalle prove prodotte dal soggetto gravato dal relativo onere, e non possa, altresì, desumersi da quelle espletate, o comunque acquisite, ad istanza ed iniziativa della controparte (…). Quanto precede, peraltro, non esclude che il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte (…) solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte l’impossibilità di controdedurre e per lo stesso giudice è impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione”.
[3] Palatucci, Sub art. 112 c.p.c., in La giurisprudenza sul codice di procedura civile coordinata con la dottrina, Stella Richter G. – Stella Richter P. (diretta da), Libro I, tomo III (artt. 99-120), Corsini – Palatucci (a cura di), Milano, 2006, p. 2291.
[4] In questo senso anche Bianca, Diritto civile, VII, Le garanzie reali – la prescrizione, Milano, 2012, pp. 536 s. testo e nt. 7, laddove scrive che “l’eccezione [di prescrizione, N.d.R.] deve poi essere sufficientemente determinata. A tal fine occorre che l’opponente alleghi il fatto da cui sia desumibile la decorrenza della prescrizione. Non occorre, invece, che indichi egli stesso il momento della decorrenza. La decorrenza ha infatti luogo per legge ed è quindi compito del giudice accertare quando essa abbia avuto inizio”.