La tutela del consumatore: gli strumenti di tutela

in Giuricivile, 2018, 7 (ISSN 2532-201X)

La tutela del consumatore è un tema che parzialmente tocca la questione del sindacato normativo del contratto, conosciuto nel nostro ordinamento proprio a seguito del recepimento delle direttive comunitarie aventi ad oggetto la materia consumeristica.

La figura unitaria del contratto sottoposto alla regola dell’insindacabilità dell’autonomia negoziale purché rispondente ad effettiva libertà di scelta, in virtù della quale il giudice interviene nella relazione negoziale e pronuncia la rescissione nei soli casi di cui agli artt. 1447 e 1448 c.c., è stata messa in crisi, infatti, dall’avvento del consumerismo che ha introdotto un nuovo modello di negozio, anch’esso di tipo generale, la cui disciplina accorda al paciscente debole una tutela sempre più intensa.

I mezzi di tutela individuali

Attualmente, la normativa generale del consumatore è contenuta nel codice del consumo del 2005, al quale si riconosce il pregio non solo di aver dato una sistemazione organica di tipo quantitativo alla materia, inizialmente e solo in parte inserita nel codice civile, ex artt. 1469 bis e 1519 e ss., bensì di averlo fatto anche sotto il profilo qualitativo.

Il codice del consumo contiene, infatti, una disciplina generale che regola il contratto tra consumatore e professionista, ma si occupa anche della fase “pre” e “post” negoziale, delineando un sistema di tutela per il consumatore in aggiunta a quello del codice civile.

Proprio in virtù dell’ampiezza di disciplina anzidetta e dell’ancillarità del sistema di tutela del codice del consumo a quello tradizionale si delinea il primo strumento di protezione a disposizione del consumatore, ossia la responsabilità precontrattuale per violazione, da parte del contraente forte, delle norme comportamentali riguardanti obblighi di tipo, soprattutto, informativi,  che precedono la conclusione negoziale.

Invero, senza richiamare le norme disciplinanti contratti specifici, il codice del consumo prevede all’art. 5 un obbligo generale gravante sul professionista di informare il consumatore, stabilendo ai commi 2 e 3 il contenuto e le caratteristiche dello stesso, la cui violazione è fonte di responsabilità ex 1337 c.c..

Risulta ormai ultradecennale, infatti, la pronuncia delle sezioni unite della Cassazione in cui si rammenta la distinzione tra norme attizie e norme comportamentali, queste ultime in grado di generare invalidità del contratto, sub-specie nullità, solo qualora assistite da una puntuale previsione legislativa che nel “trascodificarle”, qualifichi nei termini anzidetti  la reazione dell’ordinamento alle violazioni in commento.

La caducazione totale del contratto consumeristico è riservata, a contrario,  ad ipotesi strettamente tipiche, che hanno sancito il passaggio “dalla forma al neoformalismo negoziale”, precipuamente afferenti ad esigenze settoriali e, per questo, sconosciute dalla disciplina generale del codice del consumo, che invece contempla una forma di nullità, sempre di protezione, ma parziale, riservata alle clausole abusive.

Sancita dall’art. 36 del c.d.c. la nullità de qua è lo strumento di tutela per la “vittima” dell’asimmetria negoziale maggiormente efficace ed efficiente per una serie di ragioni che pare opportuno approfondire, senza tuttavia involgere il tema della natura giuridica della stessa, limitandosi, in questa sede, a dare atto circa la presenza di un orientamento minoritario che riconduce l’invalidità in commento alla figura, non della nullità, ma dell’annullabilità codicistica, richiamandone la disciplina per tutti gli aspetti non regolati dal codice del consumo, in attuazione dell’’art. 1469 bis c.c..

Per quanto attiene al primo aspetto, è indubbio che è proprio nel meccanismo declinato dal codice del consumo che si coglie la portata di questo strumento in termini di efficacia, e, in particolare,  nella presunzione di vessatorietà delle clausole ex artt. 33 e 36 co. 2 c.d.c..

Con gli articoli richiamati, infatti, il legislatore non ha voluto tipizzare le clausole abusive, ma ha voluto predisporre, invece, un elenco che contempla le più comuni pattuizioni nelle quali si traduce la disparità contrattuale, consentendo al consumatore che le subisce, e solo a lui, di agire in giudizio ed ottenerne la nullità, denunciandone la mera presenza.

È nella peculiare disciplina dell’onere probatorio, allora, che si concentra la forza di questa particolare tutela del contraente debole, il quale, eccetto  il caso in cui rilevi l’apposizione di una clausola ex art. 36 co. 2 del c.d.c. assistita da presunzione di vessatorietà assoluta, può rimanere soccombente in giudizio soltanto in due casi.

La prima ipotesi si realizza quando il professionista riesce a dimostrare nel corso del processo che la clausola recriminata sia stata oggetto di una trattativa seria, effettiva ed esclusiva tra lui e il consumatore, mentre la seconda si ha quando il contraente forte dimostra che la clausola null’altro fa se non riprodurre disposizioni di leggi, statali o regionali, anche attuative di disposizioni comunitarie.

Lo strumento della nullità è la tutela accordata, poi, al consumatore anche quando il paciscente subisce una clausola diversa rispetto a quelle tipizzate nel codice del consumo, soltanto che in tal  caso dovrà essere lui stesso a provarne il carattere abusivo.

Proprio in quest’ultima situazione si coglie maggiormente il “nuovo ruolo” affidato al giudice, di cui in epigrafe, il quale, tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto, delle circostanze esistenti al momento della conclusione della pattuizione e di tutte quelle condizioni che regolano il rapporto giuridico in esame, deve valutare circa la presenza di un effettivo squilibrio normativo.

Infine, la nullità di protezione necessariamente parziale è lo strumento che, secondo i più, deve accordarsi anche per depurare il contratto da tutte quelle condizioni, ivi comprese quelle contenenti il prezzo pattuito, redatte in modo non chiaro ed incomprensibile per il consumatore, sempre che non si riesca a trovare una lettura, delle stesse, ad esso favorevole.

Se quanto detto fin qui dimostra l’efficacia dello strumento di tutela, il meccanismo della necessaria parziarietà senza sostituzione della clausola recisa e quello della rilevabilità d’ufficio peculiare delineano, invece, il carattere dell’efficienza della tutela in esame.

In particolare, la caducazione limitata alla sola clausola vessatoria senza sostituzione da parte del giudice, salvo i casi in cui l’intervento sia necessario ai fini dell’esecuzione del rapporto giuridico stesso, è un meccanismo che genera un effetto deterrente avverso l’apposizione delle condizioni abusive da parte dei professionisti e consente, al tempo stesso, al consumatore di conservare il contratto depurato dall’iniquità.

La rilevazione d’ufficio condizionata secondo quanto previsto dalle sezioni unite della Cassazione nel 2014, invece, lascia al consumatore “l’ultima parola” sullo squilibrio, essendo precluso all’interprete di dichiarare la nullità, anche solo in motivazione, contro la volontà del paciscente debole, quantunque a suo vantaggio.

Correlata alla nullità è la tutela restitutoria, strumento che consente al consumatore di vedersi ripetere quanto versato in esecuzione della clausola o del contratto dichiarato nullo, ed intorno al quale si è acceso un dibattito, per così dire, “transfrontaliero”.

Secondo la Corte di Cassazione infatti, il diritto alla restituzione di quanto versato è soggetto sempre al termine prescrizionale di anni dieci, a prescindere dalla natura dell’indebito; di contrario avviso, invece, la Corte di Giustizia secondo la quale la previsione di un limite temporale osta ad una tutela effettiva del contraente debole, pertanto non può rinvenirsi nell’imprescrittibilità dell’azione anzidetta  una deroga contraria a ragionevolezza.

La questione de qua potrebbe riproporsi nei medesimi termini anche per la tutela risarcitoria legata alla declaratoria di nullità totale o parziale, che costituisce ultima forma di tutela individuale per il consumatore, oltre al recesso.

Orbene, se dello strumento risarcitorio non può che darsi atto circa la sua natura necessaria nonché dell’eventuale problematica di un termine prescrizionale, l’azione essendo per il resto interamente disciplinata dal codice civile, in merito al recesso è opportuno soffermarsi maggiormente in quanto, in materia consumeristica, l’istituto si atteggia in maniera differente rispetto all’omonimo strumento codicistico.

In particolare, previsto ab origine per i soli contratti a distanza e per quelli conclusi al di fuori dei locali commerciali, il recesso si presentava come diritto esercitabile dal consumatore entro dieci giorni lavorativi dalla stipula negoziale, in grado di controbilanciare le peculiari tattiche di adescamento utilizzate per la stessa conclusione dei contratti in commento, caratterizzate da una peculiare forza dissuasiva e distorsiva.

Oggi, il recesso “pentimento” è, invece, strumento di tutela previsto in via generale per qualsiasi contratto stipulato dal consumatore, esercitabile entro un lasso di tempo solo formalmente diverso, quattordici giorni dalla stipula, che prescinde dalla integrità della cosa eventualmente da restituire, nel senso che il contraente può nell’arco di tempo a disposizione provare quanto acquistato, ed è gratuito.

Sotto quest’ultimo profilo si rileva che la gratuità del recesso non viene meno qualora si chieda al consumatore, per effetto dell’esercizio del diritto in commento, la restituzione delle merci ricevute attraverso una spedizione a proprio carico, costituendo una siffatta previsione una pratica ammessa, al più passibile di sindacato di nullità, se abusiva.

Inoltre, la possibilità di esercitare il recesso deve essere portata a conoscenza del consumatore in maniera adeguata, essendo, in mancanza, il diritto esercitabile entro un termine più lungo.

Delineato in questi termini, il recesso consumeristico  ha sollevato una particolare questione in tema di disponibilità in capo al consumatore dell’effetto traslativo del negozio, nei contratti ad efficacia anche reale: per dirimere la problematica, la migliore dottrina ha osservato, allora, che solo con lo spirare del termine per l’esercizio del diritto in esame possono dirsi conclusi i negozi anzidetti, il mancato recesso costituendo, così, un elemento perfezionativo di queste tipologie di contratti.

Inibitoria, azione di classe e tutela amministrativa

Responsabilità precontrattuale, risarcimento del danno, nullità di protezione totale o parziale, azione restitutoria e recesso sono gli strumenti di tutela individuale del consumatore, ai quali si aggiungono l’inibitoria, l’azione di classe e la tutela amministrativa.

Per quanto attiene l’inibitoria disciplinata dall’art. 37 del c.d.c.  è doveroso mettere in evidenza come lo strumento di tutela collettivo sia azionabile non già solo dalle associazioni rappresentative dei consumatori ma altresì da quelle dei professionisti, anche in via cautelare, qualora ricorrano i presupposti all’uopo previsti dal c.p.c..

Da un punto di vista contenutistico, invece, l’azione in esame è volta ad ottenere una pronuncia del giudice che impedisca a determinati professionisti, convenuti in giudizio, l’utilizzo di talune condizioni generali di contratto delle quali sia stata accertata l’abusività, anche passibile di pubblicazione sulla stampa nazionale.

In merito all’istituto in analisi, si è posta la questione circa gli effetti dell’inibitoria e la possibile estensione degli stessi, nel silenzio della norma, ai contratti contenenti le condizioni abusive ancora in esecuzione, ma stipulati dai professionisti prima del provvedimento giudiziale.

Sulla questione, l’orientamento prevalente ritiene che, in ossequio al principio di effettività della tutela, non può che accordarsi risposta all’interrogativo in senso positivo, interpretando l’art. 37 del c.d.c. secondo il principio dell’effetto utile per il consumatore.

Infine, si evidenzia che lo strumento descritto è una specificazione di una più ampia tutela generale riconosciuta alle associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco ex art. 137 c.d.c. prevista dal legislatore all’art. 140 del codice consumeristico.

In particolare, quest’ultima norma consente ai soggetti anzidetti di attivare una procedura giudiziale che, accanto o in disparte l’inibitoria, autorizza il giudice adito a porre in essere tutte le misure idonee a correggere gli effetti dannosi delle violazioni accertate.

Ulteriore, anzi ultimo, istituto di tutela del consumatore è la class action ex 140 bis c.d.c. che solo a seguito della modifica del 2012 da collettiva, è divenuta vera e propria azione di classe.

L’attuale azione di classe consente, infatti, la tutela dei diritti individuali omogenei, non più identici, vantati da più consumatori nei confronti dell’impresa, classificati al co. 2 dell’articolo medesimo alle lettere a), b), e c), nonché la tutela di interessi collettivi, riferibili cioè alla classe di consumatori largamente intesa.

L’azione de qua, diretta all’accertamento della responsabilità dell’impresa e alla conseguente condanna al risarcimento del danno o alla restituzione, è esperibile da ciascun componente della classe, anche mediante associazioni consumeristiche cui dà mandato o comitati cui partecipa.

La distinzione tra il consumatore “promotore” e quelli aderenti successivamente delineata dal codice del consumo non è di poco conto: solo il primo, assieme all’eventuale associazione o comitato, è parte processuale anche in senso formale dal lato attivo, mentre i secondi lo sono solo in senso sostanziale, per effetto dell’adesione,  avente natura giuridica di mandato.

La naturale conseguenza di quanto detto è che il provvedimento del giudice spiegherà effetti verso entrambi, ma solo il consumatore promotore sarà la parte processuale legittimata a stare in giudizio nel caso in cui l’impresa decida di proporre reclamo alla sentenza, innanzi alla Corte d’appello.

Dal lato passivo, invece, parte convenuta in giudizio per effetto dell’atto di citazione è necessariamente un’impresa, non il singolo professionista e  non la pubblica amministrazione.

Per quanto attiene invece il procedimento, il codice del consumo contempla per la class action una procedura bifasica, la prima, necessaria, che si conclude con una ordinanza che dichiara o ne esclude l’ammissibilità, e la seconda, chiaramente eventuale; di entrambe il legislatore ha previsto  dettagliatamente  la disciplinata nell’art. 140 bis c.d.c. che stabilisce, tra le altre cose, anche la competenza del giudizio in esame.

Con riguardo all’ordinanza d’inammissibilità, di recente, si è concluso il dibattito in merito alla possibilità di un ricorso in Cassazione avverso l’anzidetto provvedimento, con una pronuncia della Suprema Corte contraria ad una siffatta ipotesi.

In particolare a parere delle Sezioni Unite, la decisione de qua non si tradurrebbe in un vuoto di tutela, l’ordinanza di inammissibilità non recludendo un’ulteriore azione di classe, nel rispetto dei requisiti di legge richiesti.

Oltre all’inibitoria, alla procedura ex 140 c.d.c. e alla class action  non può non menzionarsi, infine, la peculiare tutela amministrativa introdotta nel 2012 all’art. 37 bis del codice del consumo, da ultimo oggetto di modifica nel 2016.

Si tratta di un particolare strumento a disposizione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, esperibile sia d’ufficio che su denuncia degli interessati, diretto a verificare  la vessatorietà di condizioni inserite o inseribili nei contratti tra professionisti e consumatori.

L’accertamento in senso atecnico dell’autorità indipendente porta ad un successivo provvedimento sanzionatorio  nel caso in cui l’impresa non ottemperi alla rimozione delle condizioni vessatorie su preventiva richiesta dell’AGCM, sindacabile comunque dal g.a..

Conclusioni

In definitiva può allora dirsi che la tutela del consumatore passa attraverso istituti di tipo individuale, collettivo e amministrativo, di nuovo conio e tradizionali, che, con meccanismi differenti, si approcciano all’asimmetria contrattuale esistente nella relazione tra professionista e consumatore per accertare e, quindi,  sanzionare la prevaricazione del contraente forte e informato, nel rispetto, il più possibile, della liberta negoziale del consumatore.

Diplomata alla SSPL presso l’Università di Torino con tesi in diritto civile dal titolo “La non solidarietà per le obbligazioni condominiali:una scelta di giustizia sostanziale”. Laureata in Giurisprudenza presso l'Università Magna Grecia di Catanzaro con tesi in diritto processuale civile dal titolo "La responsabilità per le spese nel processo civile".

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