La responsabilità civile da prodotto difettoso: tra garanzia per vizi e normativa speciale del Codice del Consumo

In tema di responsabilità da prodotto difettoso occorre tenere distinte le previsioni relative alla garanzia per vizi della cosa venduta dettata dal Codice Civile all’art. 1490 e ss., dalla normativa speciale prevista (ora) dal Codice del Consumo.

Queste due normative, pur tutelando entrambe l’acquirente dai possibili vizi della cosa compravenduta, hanno un diverso ambito di applicazione.

Il quadro normativo generale della garanzia del venditore

Il contratto di vendita è regolato all’art. 1470 e seguenti del Codice Civile e “ha per oggetto il trasferimento di proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”.

Il Codice all’art. 1476 e ss. c.c. disciplina le obbligazioni che gravano sul venditore, ossia:

  1. Consegnare la cosa al compratore;
  2. Trasferire il diritto di proprietà (o il diritto) della cosa al compratore;
  3. Garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa.

Per quanto di interesse in questa sede, ci si sofferma sull’esame del punto III, ossia la garanzia per i vizi della cosa venduta, prevista e disciplinata dall’art. 1490 c.c.

Per vizio c.d. redibitorio s’intende quella imperfezione materiale e/o strutturale che incide sulla utilizzabilità e sul valore della cosa, a causa di un difetto dovuto al processo di fabbricazione, produzione, formazione e conservazione della cosa oggetto del contratto, fermi restando la natura e il genere della cosa[1].

Nel caso di vizio redibitorio, i rimedi esperibili dal compratore sono: la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo (art. 1492 c.c.).

Nel primo caso il venditore deve restituire il prezzo e rimborsare le spese sostenute dal compratore per la vendita, previa restituzione della merce da parte dell’acquirente (c.d. azione redibitoria).

Con la riduzione del prezzo si intende ripristinare l’equilibrio contrattuale mediante la riduzione del prezzo proporzionata all’incidenza del vizio rispetto al valore della cosa qualora fosse stata integra (c.d. azione estimatoria).

Fatto salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno ex art. 1223 c.c. (danno emergente e lucro cessante), oltre ai danni derivati dai vizi della cosa (art. 1494 c.c.).

Si rammenta che la scelta tra le suddette azioni, esercitata in sede giudiziale, è irrevocabile e perdura anche in caso di estinzione del processo.

L’onere della prova deve riguardare i difetti, le conseguenze dannose e il nesso causale tra i due.

Tale prova grava sul compratore, mentre il venditore è tenuto alla prova liberatoria della mancanza di colpa solo laddove la controparte abbia dimostrato la pretesa inadempienza.

Questo è il costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, recentemente ribadito dalla pronuncia  n. 18947/2017[2] della Suprema Corte.

La garanzia per i vizi della cosa venduta è soggetta ai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c.: denunzia dei vizi al venditore entro 8 giorni dalla scoperta ed esercizio dell’azione entro un anno dalla consegna.

Decorsi tali termini il compratore decade dal diritto alla garanzia.

Per completezza, va sottolineato che tale ipotesi va tenuta distinta dalla c.d. mancanza di qualità prevista dall’art. 1497 c.c. e, soprattutto, dal c.d. aliud pro alio.

Tale distinzione è rilevante non solo nel merito ma anche ai fini della disciplina di prescrizione e decadenza: mentre l’azione intesa a far valere i vizi è qualificata dai suddetti brevi termini di cui all’art. 1495 c.c. (norma richiamata anche dall’art. 1497 c.c. quando la cosa difetti delle qualità promesse o essenziali), l’azione di risoluzione in caso di “aliud pro alio” configura un’ordinaria azione per inadempimento (art. 1453 c.c.) che è, invece, soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale.

Il quadro normativo speciale di derivazione comunitaria: la Direttiva 85/374/CEE

La normativa in questione trae origine dalla legislazione comunitaria, specificamente dall’approvazione della Direttiva 85/374/CEE, avvenuta ormai nel lontano 25 Luglio 1985, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative, degli Stati Membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi.

La ratio della direttiva è evidente fin dal primo Considerando ove si legge: “il ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di responsabilità del produttore per i danni causati dal carattere difettoso dei suoi prodotti è necessario perché le disparità esistenti fra tali legislazioni possono falsare il gioco della concorrenza e pregiudicare la libera circolazione delle merci all’interno del mercato comune determinando disparità nel grado di protezione del consumatore contro i danni causati alla sua salute e ai suoi beni da un prodotto difettoso[3].

In Italia tale normativa è stata recepita e resa operativa con il D.P.R. 224 del 24 Maggio 1988.

Successivamente, il 23 Ottobre 2005, per effetto dell’entrata in vigore del D.Lgs n. 206/2005 (“Codice del Consumo”), l’originario D.P.R. n. 224/1988 è stato abrogato in forza dell’art. 146, D.Lgs. n. 206/2005 e l’intera disciplina è confluita nell’attuale Parte IV, Titolo II del Codice del Consumo all’art. 114 e ss.

Oggi, la Parte IV del Codice del Consumo, rubricata “Sicurezza e qualità”, è così articolata:

  • Titolo I “Sicurezza dei prodotti”;
  • Titolo II “Responsabilità per danno da prodotti difettosi”;
  • Titolo III “Della vendita dei beni di consumo”.

Responsabilità per danno da prodotti difettosi

Come poc’anzi detto, il Titolo II della Parte IV del Codice del Consumo, tratta della responsabilità del produttore definito all’art. 115, comma 2-bis[4] come “il fabbricante del prodotto finito o una sua componente, il produttore della materia prima, nonché, per i prodotti agricoli del suolo e per quelli dell’allevamento, della pesca e della caccia, rispettivamente l’agricoltore, l’allevatore, il pescatore ed il cacciatore”.

L’art. 114 Cod. Cons. stabilisce che il produttore risponde del danno cagionato da difetti del suo prodotto.

Per prodotto difettoso – ai sensi dell’art. 117 Cod. Cons. – si intende quel prodotto che “non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze[5]” evidenziate dallo stesso Legislatore comunitario: modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche palesi o alle istruzioni o alle avvertenze fornite, all’uso per il quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, e ai comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.

Pertanto, il prodotto difettoso non è qualsiasi prodotto insicuro in sé e per sé, ma quello che non offre la sicurezza che ci si attende in relazione alle circostanze suddette.

Infatti, la Cassazione in una recente pronuncia hanno precisato che la difettosità è “sostanzialmente riconducibile al difetto di fabbricazione ovvero alle ipotesi dell’assenza o carenza di istruzioni ed è strettamente connesso al concetto di sicurezza[6], con l’ulteriore puntualizzazione che, anche assumendo come parametro integrativo la nozione di prodotto sicuro contenuto nell’art. 5 del D.Lgs. n. 172/2004[7], “il livello di sicurezza prescritto, al di sotto del quale deve, perciò, considerarsi difettoso, non corrisponde a quello della sua più rigorosa innocuità, dovendo, piuttosto, farsi riferimento ai requisiti di sicurezza generalmente richiesti dall’utenza in relazione alle circostanze specificamente indicate nell’art. 5 o ad altri elementi in concreto valutabili e concretamente valutati dal giudice di merito, nell’ambito dei quali, ovviamente possono e debbono farsi rientrare gli standards di sicurezza eventualmente imposti dalle norme in materia di sicurezza[8].

Chiaro riferimento a tutto quell’apparato normativo che fa capo al Regolamento (CE) n. 765/2008 in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti: tra cui si annovera, in primis, la disciplina relativa alla marcatura CE e la c.d. normativa comunitaria di armonizzazione.

Ora, appare subito evidente il diverso ambito di applicazione di tale complesso normativo rispetto alla garanzia per vizi: qui non si parla di mero difetto di produzione, bensì di prodotto insicuro.

In ciò si differenzia dalla nozione di vizio prevista dall’art. 1490 c.c. – come sopra evidenziato – il quale si configura certamente come un difetto di produzione, fabbricazione o imperfezione del prodotto ma che può anche non inficiarne la sicurezza[9].

La responsabilità del produttore per prodotto difettoso, ad ogni modo, può sorgere solo se il prodotto insicuro viene messo in circolazione ai sensi dell’art. 119 Cod. Cons.

Il produttore è chiamato a risarcire il danno cagionato dal “prodotto insicuro” sotto il duplice aspetto del danno alla persona (morte o lesioni personali) e danno alle cose, eccedente la somma di € 387,00 (distruzione o deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso) (cfr. art. 123 Cod. Cons).

Il Legislatore comunitario lascia volutamente alla normativa interna di ciascuno Stato membro la regolamentazione del danno morale.

Per quanto attiene l’onere probatorio, l’art. 120 Cod. Cons. stabilisce che “il danneggiato deve provare il difetto, il danno e la connessione causale tra difetto e danno”.

Dall’altro lato, l’art. 118 Cod. Cons. prevede le ipotesi di esclusione della responsabilità del produttore.

La direttiva del 1985 ha lasciato libero il legislatore nazionale di elaborare tale responsabilità in termini oggettivi o meno.

Secondo l’orientamento costante della giurisprudenza italiana, la responsabilità da prodotto difettoso ha “natura presunta e non oggettiva[10], conformemente a quanto affermato anche dalla dottrina maggioritaria che parla di responsabilità oggettiva mista e limitata[11].

La Suprema Corte ha affermato che detta responsabilità prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore e grava sul danneggiato la prova del collegamento causale tra difetto e danno, non già tra prodotto e danno[12]; “solo a seguito del raggiungimento di tale prova (avente pertanto ad oggetto la relazione difetto-danno quale prerequisito normativo costituente al contempo limite e fondamento della responsabilità del produttore), viene a gravare sul produttore la dimostrazione della causa liberatoria” (Cfr. Cass. Civ. n. 13225/2015).

Secondo la Cassazione, la prova della difettosità può essere basata su presunzioni semplici, tuttavia, ha precisato  che “non costituisce corretta inferenza logica ritenere che il danno subito dall’utilizzatore di un prodotto sia inequivoco elemento di prova indiretta del carattere difettoso di quest’ultimo, secondo una sequenza deduttiva che, sul presupposto della difettosità di ogni prodotto che presenti un’attitudine a produrre danno, tragga la certezza dell’esistenza del difetto dalla mera circostanza che il danno è temporalmente conseguito all’utilizzazione del prodotto stesso[13].

Insomma, il danno riportato non prova di per sé, né direttamente né indirettamente, il difetto né “la pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego, ma solo una più indefinita pericolosità del prodotto di per sé insufficiente per istituire la responsabilità del produttore, se non sia anche in concreto accertato che quella specifica condizione di insicurezza del prodotto si pone al di sotto del livello di garanzia di affidabilità richiesto dalla utenza o dalle leggi in materia”[14].

Garanzia per i vizi della vendita di beni di consumo

L’art. 128 Cod. Cons. (Parte IV, Titolo III) prevede, accanto ad una “garanzia legale” per vizi dei beni di consumo compravenduti, una “garanzia convenzionale”.

Quest’ultima, eventuale ed ulteriore, trae origine dall’impegno assunto dal venditore o dal produttore nei confronti del consumatore senza costi aggiuntivi ed è disciplinata dall’art. 133. È dunque una garanzia accessoria, di natura contrattuale, i cui contenuti e la cui durata sono discrezionalmente fissati dal venditore e deve essere redatta in lingua italiana.

Per quanto riguarda la garanzia legale, il venditore è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene e il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto (art. 130 Cod. Cons.).

In altre parole il venditore ha l’obbligo di consegnare al consumatore un bene conforme al contratto di vendita, e per volontà del Legislatore si presume che i beni siano conformi se coesistono le circostanze dettate dall’art. 129 Cod. Cons., ossia:

  1. idoneità all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo;
  2. conformità alla descrizione fatta dal venditore e presenza delle qualità promesse;
  3. qualità e prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo agente o rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull’etichettatura;
  4. idoneità all’uso particolare voluto dal consumatore e che sia stato da questi portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto e che il venditore abbia accettato anche per fatti concludenti.

Il consumatore può chiedere la riparazione o la sostituzione del bene, senza spese in entrambi i casi, salvo che il rimedio richiesto non sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso rispetto all’altro.

Il venditore risponde per le difformità del bene che si palesino entro 24 mesi dalla scoperta.

Seppur diversi dai termini dettati dal Codice Civile (cfr. par. 2), anche in questo caso sono previsti dei termini di prescrizione e decadenza: il consumatore, infatti, dovrà denunciare i vizi e le difformità “entro il termine di due mesi dalla data in cui ha scoperto il difetto”, salvo che il venditore non abbia riconosciuto il vizio.

Inoltre, l’azione diretta per far valere la garanzia si prescrive, comunque, in 26 mesi dalla consegna del bene; inoltre, “salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità” (art. 132).

È importante sottolineare che, a maggior tutela del consumatore, l’art. 134 Cod. Cons. prevede l’assoluta nullità di ogni patto, “anteriore alla comunicazione al venditore del difetto di conformità, volto ad escludere o limitare, anche in modo indiretto, i diritti riconosciuti dal presente paragrafo. La nullità può essere fatta valere solo dal consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”.

Tale normativa non sostituisce, bensì si affianca a quella civilistica, infatti, il codice del Consumo prevede che per quanto non disciplinato dalla normativa speciale in esame, si applichino le disposizioni del Codice Civile in materia di contratto di vendita (art. 135 Cod. Cons.).

I confini tra garanzia per vizi nella vendita e normativa speciale per danno da prodotto difettoso

Alla luce di quanto fin qui esposto, occorre definire quale sia la linea di confine tra le due discipline normative che, apparentemente, regolano la medesima questione del “danno causato dal prodotto difettoso”.

Ebbene, il discrimine è costituito da un duplice criterio:

  1. Il tipo di danno di cui si chiede il risarcimento (danno da prodotto difettoso o da prodotto insicuro);
  2. La qualità fatta valere dal soggetto che chiede il risarcimento (consumatore o soggetto che agisce in qualità di utilizzatore professionale o per scopi imprenditoriali).

Per questa via, la normativa oggi compresa nel Titolo II del Codice del Consumo si applica ai soli casi in cui il danno da prodotto difettoso sia fatto valere dal danneggiato in qualità di utente o consumatore per un pregiudizio che ha colpito la sua integrità fisica o altri beni diversi dal prodotto difettoso. Dunque, con l’esclusione dell’utilizzatore professionale o per scopi commerciali.

Diversamente, qualora la richiesta di risarcimento per il danno causato dal prodotto viziato abbia carattere commerciale, poiché il soggetto acquirente viene colpito nell’esercizio di una sua attività economica o professionale e negli utili di detta attività, si applica la normativa dettata dal Codice Civile, specificamente quella relativa alla compravendita.

La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi proprio sull’ambito di applicazione dell’allora D.P.R. 224/1988 (ora Codice del Consumo), ha formulato il principio di diritto secondo cui la disposizione in materia di danno risarcibile[15], specificamente danno alle cose, esclude che possano essere risarcite le cose destinate ad un uso professionale e utilizzate in tal senso (Cass. Civ., 22/08/2013, n. 19414).

Il concetto è stato poi ribadito dalla pronuncia n.  9254/2015 della stessa Corte, la quale ha affermato che “la tutela assicurata dalla normativa speciale non è predisposta per i casi in cui il rapporto dedotto in giudizio ed il danno che ne è derivato abbiano natura esclusivamente commerciale”.

Ciò in perfetta armonia con lo stesso tenore della Direttiva originaria 85/374/CEE che – come emerge dalla semplice lettura dei considerando 1, 6 e soprattutto 9 – mira primariamente alla protezione del consumatore.

Peraltro, la stessa Giurisprudenza di legittimità si ispira ai precedenti della Corte di Giustizia la quale già si era pronunciata sul punto, delimitando la tutela citata alla sfera del consumatore o utilizzatore privato, escludendo i danni causati alla cosa utilizzata in via professionale o per attività economica[16].

Dunque, qualora ci si trovi nel c.d. ”ambito commerciale”, la responsabilità del produttore dovrà essere accertata sulla base della disciplina civilistica.

Infatti, anche prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 224/1988, il ristoro dei danni da prodotto difettoso avveniva con il concorso della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

La Giurisprudenza risalente, aveva distinto, in tempi non sospetti, l’ambito di applicazione delle rispettive tutele: la normativa della compravendita preordinata al risarcimento dei “danni  a carattere commerciale”; la tutela aquiliana preordinata al ristoro di qualunque soggetto che ricevesse un pregiudizio alla propria sfera giuridica (Cass. Civ. n. 1696/1980).

Dunque, ancora oggi tale distinzione permane e si affianca alla normativa speciale del Codice del Consumo, il quale, in ogni caso, non esclude né limita i diritti attribuiti al danneggiato da altre leggi (art. 127 e 135 Cod. Cons.) con ciò facendo salve le previsioni del Codice Civile, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, ove applicabili.

Allo stesso modo, la garanzia legale di conformità prevista dal Titolo III del Codice del Consumo va tenuta distinta dalla garanzia per vizi del Codice Civile: pur avendo lo stesso oggetto di tutela (i vizi della cosa compravenduta), esse hanno un diverso campo di applicazione, infatti, la disciplina speciale del Codice del Consumo si applica solo alle compravendite in cui il venditore è un imprenditore o svolge attività imprenditoriale nell’ambito della quale aliena il bene e il compratore è un soggetto che acquista per scopi personali e, quindi, che esulano all’attività economica svolta.


Bibliografia

Roca Grazia, Garanzia legale e commerciale di conformità, 05/01/2012, in

https://www.professionegiustizia.it/documenti/guide/garanzia_legale_e_commerciale_di_conformita/4

Francesco Amelio, La responsabilità del produttore: profili normativi e giurisprudenziali, 09/02/2017, in http://www.altalex.com/documents/news/2017/02/09/la-responsabilita-del-produttore-profili-normativi-e-giurisprudenziali

Ugo Carnevali, Il concorso tra la normativa generale in tema di garanzia per vizi del prodotto compravenduto e la normativa speciale in tema di responsabilità per danno da prodotto difettoso, e i confini di esso, in Responsabilità civile e previdenza, fasc. 5, 2015, p. 1567

Federica Garinelli, “Il nesso ‘difetto-danno’ nella responsabilità del produttore”, 03/05/2016, in Filodiritto

[1] Cfr., ex multis Cass., Civ. n. 10285 e Cass. Civ. 2313/2016.

[2] Pronuncia che a sua volta richiama alcuni precedenti conformi: Cass. n. 8963/1998; Cass. Civ. n. 13695/2007; Cass. Civ. n. 21949/2013; Cass. Civ. n. 18125/2013.

[3] La vocazione di primaria protezione del consumatore della normativa comunitaria si evince anche dai Considerando 6 e 9 della Direttiva 85/374/CEE.

[4] Comma introdotto dal D.Lgs n. 221/2007 per colmare la lacuna in cui era incappato il legislatore, il quale in un primo momento non aveva riportato la definizione di produttore presente nell’originario D.P.R. 224/1988.

[5] Circostanze elencate dal legislatore quali: modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche palesi o alle istruzioni o alle avvertenze fornite, all’uso per il quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, e ai comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.

[6] Cfr. Cass. Civ. n. 3258/2016, richiamante Cass. Civ. n. 13458/2013.

[7] Cfr. D. Lgs. del 21 maggio 2004, n. 172, “Attuazione della direttiva n. 2001/95/CE relativa alla sicurezza generale dei prodotti” (GU Serie Generale n.165 del 16-07-2004) in vigore dal 31/07/2004, oggi trasfuso nell’art. 103 Cod. Cons.

[8] Cfr. Cass. Civ. n. 3258/2016, richiamante Cass. Civ. n. 13458/2013.

[9] Cfr. Cass. Civ. n. 13458/2013.

[10] Cfr. Cass. Civ. n. 3258/2016, richiamante anche Cass. Civ. n. 13458/2013.

[11] Cfr. Federica Garinelli, “Il nesso ‘difetto-danno’ nella responsabilità del produttore”, 03/05/2016, in Filodiritto.it.

[12] Cfr. Cass. Civ. n. 13225/2015 richiamante anche Cass. Civ. n. 13458/2013 e Cass. Civ. n. 12665/2013.

[13] Cfr. Cass. Civ. n. 25110/2017, richiamante Cass. Civ. n. 13458/2013.

[14] Cass. 13458/13 cit., richiamante anche Cass. 13 dicembre 2010, n. 25116; Cass. 15 marzo 2007, n. 6007.

[15] Art. 11, D.P.R. n. 224/1988, oggi art. 123 Codice del Consumo.

[16] Cfr. Sentenza CGCE, 10/05/2001, C-203/99 (Veefald); sentenza CGCE, 25/04/2002, C-154/00 (Commissione c. Rep. Ellenica); sentenza, 04/06/2009, C-258/08 (Moteurs Leroy Somer).

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