Le modificazioni soggettive passive del rapporto obbligatorio: delegazione, espromissione e accollo

in Giuricivile, 2017, 5 (ISSN 2532-201X)

La modificazione del soggetto passivo in un rapporto obbligatorio può essere realizzata anche[1] attraverso le figure della delegazione passiva, dell’espromissione e dell’accollo.

Di regola, mentre per il debitore è indifferente la modificazione della persona del creditore[2], per il creditore può non essere affatto indifferente che cambi la persona del debitore, in quanto potrebbe trattarsi di un soggetto insolvente.

Per questo motivo, la sostituzione del debitore non è possibile se non vi è l’espressa volontà del creditore in tal senso. In assenza di siffatto presupposto, il nuovo debitore può soltanto aggiungersi al precedente, che non viene liberato.

Delegazione di debito

Esistono due forme di delegazione: la delegazione di debito e la delegazione di pagamento.

Nella delegazione di debito (detta anche delegatio promittendi) il debitore (delegante) assegna al proprio creditore (delegatario) un nuovo debitore (delegato), il quale si impegna ad adempiere l’obbligazione che il primo ha nei confronti del secondo (art. 1268, comma 1, c.c.).

La delegazione vuole come presupposto che il delegante sia creditore del delegato e, naturalmente, debitore del delegatario[3].

Il rapporto che intercorre tra il delegante e il delegatario è detto rapporto di valuta, mentre quello che intercorre tra delegante e delegato è chiamato rapporto di provvista.

La funzione della delegazione di debito è quella di fare in modo che il pagamento effettuato dal delegato in favore del delegatario estingua, contemporaneamente, i due rapporti obbligatori sussistenti tra le tre parti (rapporto di provvista e rapporto di valuta).

La delegazione si struttura in quattro fasi:

1) invito (o ordine) rivolto dal delegante al delegato, affinché quest’ultimo si obblighi nei confronti del delegatario;

2) accettazione dell’incarico da parte del debitore delegato[4];

3) la dichiarazione del delegato al delegatario, con la quale il primo promette al secondo di volersi obbligare nei suoi confronti;

4) l’accettazione del delegatario che può anche essere tacita[5]; è richiesta l’accettazione espressa se con essa il delegatario dichiara di liberare il delegante dalla sua obbligazione (art. 1628, comma 1, c.c.).

Sorge il quesito relativo alla natura della delegazione di debito.

Una parte della dottrina e della giurisprudenza ritengono che si tratti di un unico contratto nel quale convergono le volontà delle tre parti (concezione unitaria della delegazione)[6].

Al contrario, un secondo orientamento sostiene che la delegazione sia formata da due contratti (concezione atomistica):

  • il primo, di mandato (senza rappresentanza), tra delegante e delegato, con cui il secondo si obbliga nei confronti del delegante a contrarre con il delegatario;
  • il secondo contratto, tra delegato e delegatario, in forza del quale il primo si obbliga nei confronti del delegatario.

Tale orientamento ha come fondamento il fatto che qualsiasi contratto di mandato che ha ad oggetto l’obbligo di concludere un contratto è vanificato se il terzo contraente apponga un rifiuto a contrarre.

Ma se il contratto viene concluso, saremo in presenza di due contratti, il contratto di mandato e il contratto concluso dal mandatario (delegato) con il delegatario[7].

La Cass. n. 15691/2011 (già citata in precedenza) ha stabilito che la delegazione ha struttura unitaria, composta di un rapporto unico con tre soggetti e due rapporti sottostanti.

Al tal fine debbono sussistere due condizioni, cioè che il delegante sia creditore del delegato e debitore del delegatario e che il delegato abbia assunto l’obbligo di pagare a quest’ultimo il debito del delegante.

La formazione del negozio giuridico di delegazione, invece, può anche essere progressiva e non contestuale, senza che faccia venir meno l’unicità del rapporto, così come è irrilevante, nelle due forme di delegazione (di debito e di pagamento), la consapevolezza dell’esistenza e della natura della provvista, non essendo richiesta dalla norma.

La delegazione di debito può essere privativa (liberatoria) o cumulativa.

La prima si ha quando il creditore delegatario dichiara espressamente di voler liberare il delegante dalla sua obbligazione.

In tal caso si produce una novazione soggettiva del rapporto obbligatorio, in quanto il debitore originario viene sostituito da un soggetto diverso (art. 1235 c.c.).

Cass. n. 848/2002 ha specificato che la liberazione del debitore è subordinata esclusivamente alla dichiarazione espressa del creditore, escludendo che possa costituire l’effetto di fatti concludenti, per definizione sintomatici di una manifestazione tacita di volontà e comunque concettualmente contrapposti alla dichiarazione espressa.

La delegazione cumulativa, invece, si ha quando il nuovo debitore (delegato) non si sostituisce, ma si aggiunge al debitore originario (delegante) e, in caso di inadempimento del primo, il creditore può rivolgersi al delegante (art. 1268, comma 2, c.c.).

La delegazione può essere, altresì, titolata (o causale) ovvero pura (o astratta).

La delegazione titolata si configura quando nell’accordo di delegazione venga o no fatto riferimento al rapporto intercorrente tra delegante e delegato o al rapporto tra delegante e delegatario ovvero a entrambi.

In questo caso, il delegato può far valere, nei confronti del delegatario, le eccezioni basate sul rapporto di provvista (cioè il rapporto che lega il delegante al delegato) o sul rapporto di valuta (cioè il rapporto tra il delegante e il delegatario creditore).

La delegazione pura, invece, si perfeziona nel caso in cui non venga menzionato nessuno dei due rapporti predetti.

In tal caso, il delegato non potrà opporre le eccezioni basate su tali rapporti e dovrà adempiere la sua obbligazione, salvo il caso che manchino entrambi.

Infatti, a norma dell’art. 1271, comma 2, se è nullo il rapporto di valuta (quindi, nel caso in cui manchi tale rapporto) il delegato può opporre al delegatario le eccezioni relative al rapporto di provvista (c.d. nullità della doppia causa).

Il terzo comma del suddetto articolo dispone, invece, che se le parti non hanno fatto riferimento al rapporto di valuta, il delegato non può opporre le eccezioni relative a questo rapporto al delegatario.

Resta fermo che ai sensi dell’art. 1271, comma 1, il delegato può in ogni caso opporre al delegatario le eccezioni relative al rapporto intercorrente tra di loro.

Tuttavia, che la delegazione presupponga necessariamente la sussistenza di due situazioni debitorie (del delegante verso il delegatario e del delegato verso il delegante) non è così pacifico come sembra, proprio alla stregua dell’art. 1271, commi 2 e 3, c.c.

Invero, se il delegato deve adempiere la sua obbligazione nei confronti del delegatario anche nel caso in cui sia uno dei due rapporti a mancare, vuol dire che il concorso dei due presupposti (cioè dei due debiti tra le parti) non è necessario, ma soltanto normale.

Infatti, ad esempio, il rapporto di provvista può mancare e l’accettazione del delegato può essere giustificata anche da un intento di liberalità.

Oppure, può essere il rapporto di valuta a mancare, come ad esempio nel caso in cui sia il delegante a voler fare una liberalità in favore del delegatario, incaricando a tale operazione il suo debitore (il delegato)[8].

Quindi, il presupposto della delegazione può consistere, oltre nella sussistenza di un credito del delegante nei confronti del delegato e di un debito del primo nei confronti del delegatario[9], anche soltanto nella sussistenza di un credito del delegante nei confronti del delegato ovvero soltanto di un debito del delegante nei confronti del delegatario.

Delegazione di pagamento

La delegazione di pagamento (delegatio solvendi) è la seconda forma della delegazione e consiste in un accordo tra il debitore e un terzo, in forza del quale il primo (delegante) delega il secondo (delegato) ad eseguire il pagamento del debito che questi ha nei confronti del creditore (delegatario).

Quindi, la differenza con la prima forma di delegazione, affrontata in precedenza, consiste nel fatto che qui il delegante non costituisce un nuovo rapporto obbligatorio tra lui e il delegatario, ma estingue (eseguendo la prestazione) il rapporto obbligatorio esistente tra il delegante e il delegatario.

Quindi, mentre la delegazione di debito ha la funzione di cumulare o sostituire i soggetti passivi dell’obbligazione, la delegazione di pagamento ha una funzione immediatamente solutoria.

Siffatta forma di delegazione è prevista dall’art. 1269 c.c., il cui comma 2 stabilisce che il delegato, anche se debitore del delegante, non è tenuto ad accettare l’incarico, salvi gli usi diversi[10].

Naturalmente, siffatta disposizione può apparire incongrua rispetto a quanto stabilito dall’art. 1260, comma 2, c.c., secondo il quale un soggetto può trasferire il suo credito anche senza il consenso del debitore.

Tale apparente contrasto si spiega con la considerazione che l’art. 1269, comma 2, si riferisce al perfezionamento del mandato, il quale non è valido se non vi è l’accordo di entrambe le parti.

Come la delegazione di debito, quella di pagamento può essere causale o astratta e ad essa si applicano le stesse regole esposte in precedenza, in relazione alla delegazione di debito (art. 1271 c.c.).

Tuttavia, a differenza dell’altra forma di delegazione, la delegazione di pagamento è sempre cumulativa e, pertanto, l’obbligazione del delegante non si estingue[11].

Alla delegazione di pagamento parte della dottrina estende l’applicazione dell’art. 1268, comma 2.

Pertanto, nel caso in cui il delegatario abbia accettato, egli non potrà rivolgersi al delegante se prima non ha chiesto il pagamento del delegato[12].

Espromissione

L’espromissione consiste in un contratto tra creditore e terzo, in forza del quale quest’ultimo (espromittente) si impegna, nei confronti del primo (espromissario) a pagare un preesistente debito dell’obbligato originario (espromesso)[13].

E’ disciplinata dall’art. 1272 c.c.

Differisce dalla delegazione in quanto l’iniziativa dell’operazione non deriva dal debitore originario, ma dal terzo che si obbliga spontaneamente nei confronti del creditore ad adempiere il debito del primo.

In questo caso, trattandosi di un contratto col creditore, il debito del terzo non è validamente assunto in assenza del consenso dell’altro contraente.

Funzione di questo contratto è l’assunzione del debito altrui e prescinde, quindi, dai rapporti sussistenti tra il terzo e il debitore, anche se non si richiede l’assoluta estraneità dell’obbligato rispetto al creditore, essendo solo necessario che il terzo, presentandosi al creditore, non giustifichi il proprio intervento con un preesistente accordo con l’obbligato (Cass. n. 22166/2012).

L’espromissione, non attribuisce al terzo un’azione di regresso verso il debitore.

Tuttavia, è possibile che il terzo venga surrogato dal creditore nei suoi diritti verso il debitore, ex art. 1201 c.c.

Come la delegazione, l’espromissione può essere privativa o cumulativa (art. 1272, comma 1).

Però, può essere soltanto parzialmente astratta.

Infatti, ai sensi dell’art. 1272, commi 2 e 3, il terzo (salvo patto contrario) non può opporre al creditore le eccezioni relative ai suoi rapporti col debitore originario (rapporto di provvista), ma può opporre le eccezioni relative al rapporto tra l’espromesso e l’espromissario (rapporto di valuta).

L’accollo

L’accollo è un contratto tra il debitore e un terzo, in forza del quale quest’ultimo (accollante) si obbliga nei confronti del primo (accollato) ad assumere il debito di questo nei confronti del suo creditore (accollatario).

Norma di riferimento è l’art. 1273 c.c.

A differenza degli altri istituti, nell’accollo il soggetto accollante assume come proprio un debito altrui.

Differisce dalla delegazione di pagamento in quanto quest’ultima dà luogo a due contratti (il mandato del debitore al delegato e il contratto tra delegato e creditore, secondo i sostenitori della tesi atomistica), mentre l’accollo dà vita ad un solo contratto (tra terzo e debitore), cui il creditore aderisce.

Infatti, l’accollo assume le caratteristiche del contratto a favore del terzo (art. 1411 c.c.).

L’accollo può essere causale o astratto; in ogni caso l’accollante è sempre obbligato verso il creditore che ha aderito alla stipulazione del contratto, nei limiti in cui ha assunto il debito, e può opporre a quest’ultimo le eccezioni fondate sul contratto di accollo (art. 1273, comma 3, c.c.).

Si distingue tra accollo interno e accollo esterno.

L’accollo interno, secondo una parte della dottrina, ricorre quando l’accollante assume il debito dell’accollato verso il creditore, senza che quest’ultimo aderisca alla convenzione (infatti, ai sensi dell’art. 1273, comma 1, il creditore “può” aderirvi).

Cassazione, 1 agosto 1996, n. 6936, ha precisato che l’accollo interno “ricorre allorché il debitore convenga con il terzo l’assunzione da parte di costui, in senso puramente economico, del peso del debito, senza, tuttavia, attribuire alcun diritto al creditore e senza modificare l’originaria obbligazione, sicché il terzo assolve il proprio obbligo di tenere indenne il debitore adempiendo direttamente in veste di terzo o apprestando in anticipo i mezzi occorrenti ovvero rimborsando le somme pagate al debitore che ha adempiuto”.

Infatti, nell’accollo interno il creditore non ha alcun diritto verso l’accollante, il quale adempierà all’obbligazione dell’accollato ai sensi dell’art. 1180 c.c. ovvero procurando allo stesso la liberazione in una qualsiasi altra modalità di estinzione dell’obbligazione.

Pertanto, non è la mancata adesione al contratto che rileva nell’accollo interno, ma ciò che in verità configura tale forma di accollo è l’intenzione dell’accollante e dell’accollato di non attribuire all’accollatario alcun diritto nei confronti dell’accollante.

Infatti, quest’ultimo si impegna solo nei confronti del debitore accollato a sostenere “il peso economico del debito” e non determina l’acquisto da parte del creditore di un nuovo debitore in aggiunta all’accollato.

Ricorre l’accollo esterno, secondo parte della dottrina, quando interviene l’adesione del creditore[14].

Tuttavia, questa definizione non è condivisa da molti, soprattutto dalla Cassazione, che già con la sentenza n. 681/1992 aveva chiarito che nel sistema dell’art. 1273 c.c. è configurata l’ipotesi di accollo ad efficacia esterna come vero e proprio contratto a favore di terzo e l’adesione all’accollo da parte del creditore ha solo l’efficacia di rendere irrevocabile la relativa stipulazione del contratto tra accollato e accollante.

Invero, come già esposto in precedenza, l’adesione del creditore alla convenzione tra accollato e accollante non ha l’efficacia di rendere l’accollo esterno, ma solo di rendere siffatta convenzione irrevocabile.

L’accollo esterno, infatti, è un contratto a favore del terzo (art. 1411 c.c.) e si ha quando le parti (debitore accollato e terzo accollante) abbiano inteso conferire al creditore accollatario il diritto di pretendere direttamente dall’accollante l’adempimento del credito che egli vanta.

Relativamente alla differenza tra accollo interno ed accollo esterno, la Cassazione, 24 febbraio 2014, n. 4383, ha fornito un utile chiarimento.

La S.C. ribadisce che la figura dell’accollo interno ricorre allorché il debitore convenga con il terzo l’assunzione, da parte di costui, in senso puramente economico, del peso del debito, senza, tuttavia, attribuire alcun diritto al creditore e senza modificare l’originaria obbligazione.

Pertanto, il terzo assolve, così, il proprio obbligo di tenere indenne il debitore adempiendo direttamente in veste di terzo, o apprestando in anticipo al debitore i mezzi occorrenti, ovvero rimborsando le somme pagate al debitore che ha adempiuto.

Inoltre, la Corte riprende quanto stabilito dalla Cassazione n. 681/1992, ribadendo che l’adesione all’accollo da parte del creditore sortisce solo l’effetto di rendere irrevocabile la stipulazione tra accollato e accollante (ma non è siffatta adesione a rendere l’accollo esterno).

Nell’ipotesi di accollo interno, quindi, non si configura una modificazione soggettiva dell’originaria obbligazione, ma soltanto l’assunzione del debito in senso puramente economico (degli effetti economici del debito altrui).

L’accollo esterno può infine essere cumulativo, quando il debitore originario resta obbligato in solido all’accollante (art. 1273, comma 3 c.c.).

È, invece, liberatorio quando il debitore accollato resta liberato, rimanendo obbligato solo l’accollante.

Siffatta liberazione si verifica in presenza di una dichiarazione espressa da parte del creditore (Cass. n. 1758/2012) ovvero quando l’adesione del creditore al contratto ha come condizione espressa la liberazione del debitore originario (art. 1273, comma 2, c.c.).

Entrambi i casi di liberazione costituiscono dichiarazioni unilaterali del creditore (Cass. n. 1352/2012).

Infine, nell’accollo cumulativo, la mera adesione del creditore alla convenzione di accollo, in mancanza di volontà espressa ed inequivoca volta a liberare l’originario debitore, comporta, in analogia con quanto previsto dall’art. 1268, comma 2, c.c., la degradazione dell’obbligazione dei costui a sussidiaria ed il conseguente onere del creditore di chiedere preventivamente l’adempimento all’accollante (Cass. n. 1758/2012).

In conclusione, la differenza tra accollo interno ed accollo esterno risiede nella circostanza che le parti abbiano voluto attribuire (nell’accollo esterno) o meno (nell’accollo interno) al creditore il diritto di pretendere l’adempimento direttamente dal terzo accollante, a nulla rilevando l’adesione del creditore, se non a rendere irrevocabile il contratto concluso tra accollato e accollante.

Scarica l’articolo in versione PDF


[1] Oltre ai casi di cessione del contratto (art. 1406 c.c.) e di cessione di azienda.

[2] E si veda, a tal proposito, l’art. 1260 c.c., secondo il quale il credito può essere ceduto anche in assenza del consenso del debitore.

[3] Cass., 15 luglio 2011, n. 15691.

[4] Parte della dottrina ritiene necessaria l’accettazione del delegato, desumendola dall’art. 1269, comma 2 (Delegazione di pagamento), il quale stabilisce che il delegato “non è tenuto ad accettare l’incarico”; Cfr. F. Galgano, Trattato di diritto civile, vol. II, Padova, 2015, p. 132.

[5] Così F. Galgano, Trattato di diritto civile, vol. II, Padova, 2015, p. 133; l’illustrissimo Autore pone come fondamento normativo dell’accettazione tacita l’art. 1333 c.c. (Contratto con obbligazioni del solo proponente) e, quindi, sostiene che tale forma di accettazione risulti dal mancato rifiuto espresso all’operazione di delegatio promittendi.

[6] Cass. n. 1946/1989; G. Giacobbe, Delegazione, espromissione e accollo, in Commentario del Cod. Civ., Bologna-Roma, 1992, p.10; siffatta tesi si basa sulla considerazione che se il delegatario non accetta, l’intera operazione di delega è vanificata.

[7] A sostegno della tesi atomistica milita il Bianca, Diritto civile, IV, Milano, 1993, p. 639, il quale parla di “promessa unilaterale” e non di contratto; Cass., 17 maggio 2000, n. 6387, non discorre di contratto, ma di “atto unilaterale” dal quale nascerebbe il rapporto delegato-delegatario; Cass., 15 luglio 2011, n. 15691, già citata, lo classifica come “negozio trilaterale tra debitore, creditore e un terzo”.

[8] F. Galgano, Trattato di diritto civile, vol. II, Padova, 2015, pp. 135-136.

[9] Ed è questa l’ipotesi classica della delegazione.

[10] La norma pare riferirsi agli usi normativi. Per una disamina approfondita relativa agli usi normativi e agli usi contrattuali si veda il seguente articolo: http://giuricivile.it/integrazione-del-contratto-art-1374-cc/

[11] E’ il tipo di schema dell’assegno bancario. Tra gli esempi pratici della delegazione di pagamento vi rientra il c.d. mandato di pagamento: un ente che ha un deposito presso una banca, dà mandato a quest’ultima di pagare i propri dipendenti o fornitori; altro esempio è il bonifico bancario, attraverso il quale si incarica la banca di accreditare al cliente correntista la somma oggetto della provvista.

[12] F. Galgano, Trattato di diritto civile, vol. II, Padova, 2015, p. 137. Tuttavia, deve essere preso in considerazione che l’illustrissimo Autore estende analogicamente una norma che comporta il sorgere di una obbligazione ad una situazione in cui non nasce alcuna obbligazione del delegato verso il delegatario, ma nella quale il primo si limita solo a pagare il credito vantato da quest’ultimo nei confronti del delegante. Ci si chiede per quali motivi il delegatario possa (e sia libero di) rifiutare il pagamento di un credito che egli vanta, senza correre il rischio di essere messo in mora (e si veda, a tal proposito, l’art. 1180 c.c.), a meno che non abbia interesse a che il debitore originario esegua personalmente la prestazione. Si ricordi, altresì, che il pagamento effettuato dal delegato nei confronti del delegatario vale come effettuato a quest’ultimo dal delegante (il pagamento effettuato dalla banca in favore del creditore vale, nel rapporto di valuta come effettuato dal delegante e, nel rapporto di provvista, come effettuato dalla banca in favore del delegante, con tutto ciò che ne deriva in tema di ripetizione dell’indebito). Relativamente al tema di conto corrente bancario, Cass. n. 8995/2015 ha stabilito che l’esecuzione del bonifico da parte della banca su ordine del correntista ha natura di negozio giuridico unilaterale con efficacia vincolante ai sensi dell’art. 1856 c.c. e, pertanto, segue le regole del mandato. La S.C. ha, altresì, ritenuto che l’incarico di effettuare il pagamento ha natura di delegatio solvendi.

[13] A. Torrente, P. Shlesinger, Manuale di Diritto privato, Giuffrè Editore, Milano, 2013, p. 394; Cfr. Cass., 7 dicembre 2012, n. 22166.

[14] F. Galgano, Trattato di diritto civile, vol. II, Padova, 2015, p. 140.

SCRIVI IL TUO COMMENTO

Scrivi il tuo commento!
Per favore, inserisci qui il tuo nome

diciotto − quindici =

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.