Tra le tracce della prima prova scritta, relativa al parere civile, per l’esame da avvocato 2016, veniva richiesto di redigere parere motivato sulla responsabilità per danno cagionato da animali ex art. 2052 c.c. e sulla responsabilità per l’esercizio di attività pericolose ex art. 2050 c.c., sull’invalidità delle clausole di esonero della responsabilità nonché sulla responsabilità medica per errata diagnosi.
Ecco la prima traccia della prima prova scritta (parere in diritto civile) dell’esame da avvocato 2016:
Nel corso della seconda lezione di equitazione all’interno del maneggio della società Alfa, il piccolo Tizio, figlio dei signori Beta, viene disarcionato dal cavallo e cade rovinosamente a terra. Condotto al pronto soccorso e sottoposto a controllo radiografico, al piccolo viene diagnosticata una forte contusione al polso destro ed applicato un tutore mobile per la durata di 20 giorni.
Poiché tuttavia anche decorso tale periodo il bambino continua a lamentare una evidente sintomatologia dolorosa e non riesce a muovere la mano, i signori Beta lo fanno visitare da uno specialista che, dopo aver effettuato una radiografia in una diversa posizione, si avvede dell’esistenza di una frattura ( non evidenziata al momento della visita al Pronto Soccorso) che, a causa del tempo ormai trascorso, non può più consolidarsi se non attraverso un intervento chirurgico, da effettuarsi quanto prima. Malgrado l’intervento chirurgico venga eseguito a regola d’arte, con conseguente immobilizzazione dell’arto per i successivi 45 giorni, anche dopo le sedute di riabilitazione ( protrattesi nei successivi 60 giorni), il piccolo riporta una invalidità permanente del 6%.
I signori Beta si recano quindi da un legale e, dopo aver esposto i fatti sopra detti, aggiungono che: il cavallo montato dal piccolo Tizio aveva già mostrato , fin dall’inizio della lezione, evidenti segni di nervosismo tanto che l’istruttore era già intervenuto due volte per calmarlo; che, al momento della iscrizione del proprio figlio al corso, la società Alfa aveva fatto loro sottoscrivere una dichiarazione di esonero da ogni responsabilità per i danni eventualmente derivanti dallo svolgimento della pratica sportiva; che, ove prontamente diagnosticata, la frattura avrebbe potuto consolidarsi senza necessità di ricorrere ad intervento chirurgico; che per l’intervento chirurgico e per la successiva riabilitazione ( effettuate entrambe in strutture private a causa della urgenza), avevano dovuto sostenere la complessiva spesa di Euro 10.000,00.
Il candidato, assunte le vesti del difensore dei signori Beta, rediga un motivato parere illustrando le questioni sottese al caso in esame e prospettando le azioni più idonee a tutelare le ragioni dei propri assistiti.
Partendo dal presupposto che, nelle prove scritte dell’esame da avvocato non esiste, in nessun caso, una soluzione univoca, ecco un utile approfondimento sui temi che la questione sottesa al parere impone di analizzare.
Il rapporto tra la responsabilità per l’esercizio di attività pericolose ex art. 2050 c.c. e la responsabilità per danno cagionato da animali ex art. 2052 c.c.
L’art. 2050 c.c. prevede l’obbligo di risarcimento per chiunque cagioni un danno ad altri nello svolgimento di attività pericolose, sia per loro natura che per la natura dei mezzi adoperati, salvo che dimostri di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Al contrario, ai sensi dell’art. 2052 c.c., il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo che l’ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale stesso, sia che esso fosse in custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che egli dia prova del caso fortuito.
Ebbene, si tratta innanzitutto di comprendere se il comportamento del gestore del centro ippico descritto nel caso in esame, rientri nell’alveo della responsabilità per attività pericolose ex art. 2050 c.c. o, piuttosto, in quella per i danni cagionati da animali ex art. 2052 c.c.
A tal riguardo, bisognerà stabilire se l’attività equestre in un maneggio possa qualificarsi come attività “pericolosa” ai sensi dell’art. 2050 c.c.: deve infatti ritenersi pericolosa l’attività potenzialmente causativa di danno non solo per la sua natura, ma anche per la natura dei mezzi adoperati. Esistono dunque attività pericolose di per sé, ed attività svolte in modo pericoloso, cioè pericolose in relazione al caso concreto: e per queste ultime l’accertamento della “pericolosità” non può che essere compiuto tenendo conto di tutte le specificità della fattispecie, tra cui, con riferimento al caso di specie, le modalità con cui viene impartito l’insegnamento, le caratteristiche degli animali impiegati ed la qualità degli allievi (Cassazione civile, sentenza 9 aprile 2015, n. 7093).
Ne consegue che, ragionevolmente, nel caso di allievi più esperti l’attività equestre è soggetta alla presunzione di responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. (con la conseguenza che spetta al proprietario o all’utilizzatore dell’animale che ha causato il danno fornire non soltanto la prova della propria assenza di colpa, ma anche quella che il danno è stato causato da un evento fortuito).
Il gestore del maneggio risponderà viceversa quale esercente di attività pericolosa ex art. 2050 c.c. dei danni riportati dai soggetti partecipanti alle lezioni di equitazione qualora gli allievi siano come nella specie principianti, del tutto ignari dì ogni regola di equitazione, ovvero giovanissimi (Cassazione civile, sentenza, n. 27 novemembre 2015, n. 24211).
L’attività sportiva e gli oneri probatori nella responsabilità ex art. 2050 c.c.
Chiarita la natura della responsabilità del gestore, dovrà rilevarsi se nella caduta da cavallo avvenuta nel caso in esame, l’irrequietezza del cavallo e l’inesperienza del giovane danneggiato possano esonerare il gestore del maneggio dalla responsabilità risarcitoria.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, è irrilevante l’argomento secondo il quale costituendo l’equitazione un’attività sportiva, chi la pratica accetta il rischio di cadute. Se da una parte lo svolgimento volontario di attività sportiva, anche pericolosa, comporta l’esposizione volontaria dell’atleta al rischio intrinseco connesso alla disciplina praticata, dall’altra l’accettazione del rischio non esclude certamente la responsabilità del gestore del maneggio che permane qualora abbia violato le regole poste a salvaguardia dell’incolumità degli allievi, ovvero le regole di comune prudenza e diligenza (Cass. civ., sez. III, 9.3.2010, n. 5664).
Non può dunque attribuirsi efficacia liberatoria alla semplice prova dell’uso della normale diligenza nella custodia dell’animale stesso o della mansuetudine di questo, essendo irrilevante che il danno sia stato causato da impulsi interni imprevedibili o inevitabili della bestia. L’animale, infatti, è sempre imprevedibile nei suoi comportamenti e tale circostanza non può perciò costituire un caso fortuito, trattandosi di una caratteristica ontologica di ogni essere privo di raziocinio.
L’invalidità della dichiarazione di esonero da ogni responsabilità nell’attività sportiva
Altra questione è sulla validità di una dichiarazione di esonero da ogni responsabilità per i danni eventualmente derivanti dallo svolgimento della pratica sportiva.
Sul punto l’art. 1229 c.c., oltre a riconoscere l’invalidità di qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave, sancisce la nullità anche di qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico.
Pur non mancando pareri contrari, si ritiene che tali clausole siano assolutamente nulle, ai sensi dell’art. 1229 c.c. Ciò soprattutto con riguardo ad eventuali danni fisici, stante l’indisponibilità del diritto all’integrità fisica: la sottoscrizione di dette clausole potrebbe infatti essere letta come il tentativo di legittimare atteggiamenti colposi o di leggerezza degli organizzatori dell’attività equestre, incentivando l’elusione di regole e trasformando una sana attività sportiva, al servizio del benessere psicofisico della persona, in una fonte incontrollata di pericoli.
Soprattutto con riferimento al caso di specie, non hanno dunque nessun valore le dichiarazioni sottoscritte per praticare attività all’interno di un maneggio, sotto la guida di personale ed istruttori inseriti nella struttura sportiva, ancor più in considerazione della giovane età degli allievi. Peraltro, va rilevato che anche il Codice del consumo ha sancito il diritto dei partecipanti alle lezioni di discipline sportive a ricevere, in quanto “consumatori” un servizio “sicuro e garantito”, statuendo altresì espressamente all’art. 36 co. 2 lett. a) “la nullità delle clausole che […] abbiano per oggetto o per effetto di escludere o limitare la responsabilità del professionista, in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista”.
La responsabilità medica per errata diagnosi
L’ultima questione sottesa al caso di specie, riguarda l’esistenza o meno di una responsabilità medica per l’errata diagnosi del pronto soccorso, atteso che ove prontamente diagnosticata, la frattura avrebbe potuto consolidarsi senza necessità di ricorrere ad intervento chirurgico.
Ebbene, in tema di danno alla persona, conseguente a responsabilità medica, integra l’esistenza di un danno risarcibile alla persona l’omissione della diagnosi di un processo morboso allorché abbia determinato la tardiva esecuzione degli opportuni interventi al fine di evitare l’evento e risulti inoltre che per effetto del ritardo, sia andata perduta dal paziente la “chance” di conservare una migliore qualità della vita nonché la “chance” di vivere per un tempo più lungo di quello poi effettivamente vissuto (Cassazione civile, 18 settembre 2008, n. 23846).
In particolare, va rilevato che in caso di diagnosi errata o, comunque, incompleta, atteso che siffatta responsabilità deve essere ricondotta nell’ambito di quella professionale medica, deve ritenersi applicabile la disciplina di cui all’art. 2236 c.c.. È chiaro che l’azienda ospedaliera non potrà rispondere dei danni derivanti da prestazioni che comportino la soluzione di problemi di particolare difficoltà, purché offra compiuta dimostrazione circa l’esistenza, nel caso concreto, di siffatto presupposto attenuativo.
Ma, nel caso in esame, non potrà ritenersi attenuata o attenuabile la responsabilità dell’ente in relazione all’omessa diagnosi di una frattura atteso che tale patologia risulta rilevabile con la semplice lettura dell’esame radiografico: lettura che, per consolidata esperienza medica, non risulta particolarmente difficoltosa.