
Il dibattito sull’ammortamento alla francese e sulla sua presunta illegittimità per violazione del divieto di anatocismo o per indeterminatezza del tasso di interesse ha animato per anni le aule dei tribunali, creando un profondo contrasto giurisprudenziale.
Con la recentissima e attesa pronuncia a Sezioni Unite (sentenza n. 15130 del 29 maggio 2024), la Suprema Corte di Cassazione sembrava aver messo un punto fermo sulla questione, escludendo la nullità del contratto di mutuo per la mera mancata esplicitazione del regime di capitalizzazione composta.
Tuttavia, una successiva sentenza della Corte di Appello di Bari (n. 1242 del 12 agosto 2025) fornisce una delle prime e più significative applicazioni pratiche di un importante principio contenuto nella pronuncia delle Sezioni Unite, spostando il focus del contenzioso dall’indeterminatezza alla violazione delle norme sulla trasparenza bancaria.
La Corte barese dimostra come, pur esclusa una nullità “strutturale”, il giudice di merito debba verificare caso per caso se la divergenza tra il Tasso Annuo Nominale (TAN) e il Tasso Annuo Effettivo (TAEG), generata dall’applicazione di una formula di calcolo non esplicitata, costituisca una “patologia” del singolo rapporto contrattuale, con conseguenze sanzionatorie severe per l’istituto di credito.
Il caso
La controversia sull’ammortamento “alla francese” nasce dalla sua struttura matematica. In questo sistema, il mutuatario paga rate costanti, composte da una quota capitale crescente e una quota interessi decrescente.
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Illeciti bancari, clausole abusive e frodi informatiche
Quali sono gli strumenti a disposizione per difendere i diritti del cliente? La contestazione degli illeciti bancari è alimentata continuamente da nuovi motivi, non solo direttamente legati alle caratteristiche del rapporto contrattuale. Tra questi si possono annoverare l’accesso abusivo alle garanzie pubbliche e la concessione di un prestito insostenibile o le clausole vessatorie nei contratti di credito. Il volume ha come obiettivo l’esame delle forme di difesa del cliente in presenza di pratiche scorrette poste a vario titolo da parte delle banche. Una particolare attenzione è stata posta alla tutela dalle frodi informatiche, in rapida evoluzione, ed alle possibili tecniche difensive per l’annullamento e il rimborso degli interessi dei contratti indicizzati Euribor. Per i principali contratti di credito, esperti professionisti hanno predisposto il “punto nave” del contenzioso recente per offrire una utile guida alle più rilevanti linee interpretative della giurisprudenza di legittimità.
Giuseppe Cassano
Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano. Avvocato cassazionista, curatore e autore di numerosi volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi. Conferenziere nazionale ed internazionale sui temi del Diritto di Famiglia, della Responsabilità civile, del Diritto dei Consumi e Diritto dell’Internet.
Stefano Chiodi
Analista tecnico e finanziario specializzato nel contenzioso bancario e finanziario, CTP e CTU per il Tribunale di Venezia e consulente per Camera Arbitrale. Specialista di corporate finance, è relatore in convegni accreditati per la formazione continua di avvocati e commercialisti. Curatore e autore di numerose pubblicazioni di diritto e contenzioso bancario e finanziario.
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Giuseppe Cassano e Stefano Chiodi, 2025, Maggioli Editore
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Giuseppe Cassano
Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano. Avvocato cassazionista, curatore e autore di numerosi volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi. Conferenziere nazionale ed internazionale sui temi del Diritto di Famiglia, della Responsabilità civile, del Diritto dei Consumi e Diritto dell’Internet.
Stefano Chiodi
Analista tecnico e finanziario specializzato nel contenzioso bancario e finanziario, CTP e CTU per il Tribunale di Venezia e consulente per Camera Arbitrale. Specialista di corporate finance, è relatore in convegni accreditati per la formazione continua di avvocati e commercialisti. Curatore e autore di numerose pubblicazioni di diritto e contenzioso bancario e finanziario.
La critica mossa da una parte della giurisprudenza e da molti consulenti tecnici si fondava sull’idea che il calcolo degli interessi, pur applicato sul capitale residuo decrescente, seguisse un regime di capitalizzazione composta. Poiché tale regime non veniva quasi mai esplicitato per iscritto nel contratto, si sosteneva che il tasso di interesse fosse indeterminato o indeterminabile, con conseguente nullità della clausola ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c. e l’applicazione del tasso sostitutivo previsto dall’art. 117 del Testo Unico Bancario (T.U.B.).
Investita della questione per risolvere il contrasto giurisprudenziale, la Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 15130/2024, ha stabilito un principio di diritto chiaro:
“In tema di mutuo bancario, a tasso fisso, con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento ‘alla francese’ di tipo standardizzato tradizionale, non è causa di nullità parziale del contratto la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione ‘composto’ degli interessi debitori, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto né per violazione della normativa in tema di trasparenza“.
Secondo la Suprema Corte, in un mutuo a tasso fisso, gli elementi essenziali (capitale, durata, tasso e importo della rata) sono tutti predeterminati e noti al cliente, rendendo il tasso di interesse complessivo perfettamente determinabile.
La violazione della trasparenza
La pronuncia delle Sezioni Unite, però, non ha chiuso ogni porta a possibili contestazioni. Al contrario, ha operato un fondamentale distinguo, affermando che “non potrebbe escludersi in astratto che l’operazione di finanziamento si realizzi mediante la produzione di interessi su interessi per effetto della quale il tasso effettivo risulti maggiore di quello nominale e sfugga alla rilevazione nel TAEG, ma tale evenienza sarebbe una patologia da affrontare caso per caso“.
Questo passaggio è dirimente. La Corte sposta il baricentro dell’analisi giuridica: il problema non è più la presunta indeterminatezza “strutturale” della clausola, ma la potenziale difformità tra il tasso pattuito (TAN) e quello effettivamente applicato (TAE) nel concreto svolgimento del rapporto.
Se l’applicazione di una formula matematica non esplicitata (quella dell’interesse composto) genera un costo totale del credito superiore a quello che risulterebbe dall’applicazione del tasso nominale dichiarato, si configura una violazione non dell’art. 1346 c.c., ma dell’art. 117, comma 4, T.U.B.. Questa norma imperativa impone che i contratti bancari indichino “il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati“. Se il tasso effettivamente praticato è diverso e superiore a quello indicato per iscritto, la clausola è nulla per violazione del principio di trasparenza.
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La decisione
La sentenza della Corte di Appello di Bari rappresenta una plastica applicazione di questo secondo principio. Il caso riguardava un’opposizione a un atto di precetto per oltre 623.000 euro, basato su un contratto di mutuo fondiario. Tra i vari motivi di appello, i debitori lamentavano l’indeterminatezza del tasso di interesse a causa dell’applicazione di un metodo di calcolo occulto.
La verifica della Corte e la consulenza tecnica
La Corte, pur prendendo atto della pronuncia delle Sezioni Unite che escludeva la nullità per indeterminatezza, ha ritenuto suo compito verificare, come suggerito dalla stessa Cassazione, se nel caso specifico si fosse verificata quella “patologia” consistente nella discrepanza tra TAN e TAE. A tal fine, è risultata decisiva la consulenza tecnica d’ufficio (CTU) disposta nel corso del giudizio. L’esperto ha accertato che “l’adozione, nella predisposizione del piano di ammortamento alla francese, del TAN contrattuale in regime di capitalizzazione composta […] ha comportato un’obiettiva divergenza tra il TAN previsto in contratto e il TAE“.
La violazione del requisito di trasparenza
In altre parole, il consulente ha confermato che il tasso di interesse effettivamente applicato, una volta sviluppato il piano di ammortamento con la formula dell’interesse composto, era superiore a quello nominale pattuito e indicato nel contratto. La Corte di Appello ha quindi concluso che, sebbene il tasso non fosse “indeterminato“, si era verificata la condizione descritta dalle Sezioni Unite: il tasso applicato non era quello previsto per iscritto, in palese violazione del requisito di forma e trasparenza imposto dall’art. 117 T.U.B..
Le conseguenze sanzionatorie
Una volta accertata la violazione dell’obbligo di trasparenza, la Corte di Bari ne ha tratto le dovute conseguenze sanzionatorie, previste dal comma 7 dello stesso art. 117 T.U.B. Questa norma stabilisce che, in caso di nullità della clausola relativa agli interessi, il tasso da applicare è quello sostitutivo minimo dei buoni del tesoro annuali (BOT) emessi nei 12 mesi precedenti la conclusione del contratto.
L’impatto del ricalcolo sul debito
La Corte ha quindi disposto il ricalcolo dell’intero rapporto di mutuo, applicando il tasso sostitutivo legale in regime di capitalizzazione semplice. L’esito di tale ricalcolo è stato dirompente: l’esposizione debitoria degli appellanti è stata rideterminata e drasticamente ridotta, passando dalla somma precettata di € 623.490,84 a un debito residuo di € 394.201,79. Si tratta di una riduzione di oltre il 35% del debito preteso dalla banca, a dimostrazione della gravità delle conseguenze derivanti dalla violazione delle norme sulla trasparenza.
Conclusioni
La sentenza delle Sezioni Unite, pur avendo fornito un’interpretazione che salva la validità generale dei contratti di mutuo con ammortamento alla francese, ha contemporaneamente rafforzato la tutela del cliente sotto il profilo della correttezza e trasparenza delle informazioni. La decisione della Corte di Appello di Bari ne è la prova tangibile: il contenzioso bancario su questo tema si sposterà sempre più su un’analisi contabile, caso per caso, volta a manifestare eventuali discrepanze tra il costo del credito promesso e quello effettivamente addebitato, con l’art. 117 T.U.B. che si conferma strumento fondamentale di riequilibrio del rapporto contrattuale.