La responsabilità del medico e il consenso informato

Il consenso informato in ambito medico continua a rappresentare una delle principali fonti di contenzioso, al centro di un’evoluzione giurisprudenziale che ne ridefinisce limiti e conseguenze risarcitorie. La Terza Sezione Civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 15079/2025, pubblicata il 5 giugno (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), ha ribadito i principi consolidati in materia di responsabilità sanitaria, chiarendo in particolare l’onere probatorio del paziente riguardo al danno da lesione del diritto all’autodeterminazione. Per un approfondimento su questi temi, ti consigliamo il “Manuale pratico operativo della responsabilità medica”, acquistabile sia su Shop Maggioli che su Amazon

Manuale pratico operativo della responsabilità medica

Manuale pratico operativo della responsabilità medica

La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia.

L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario.

Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.

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Il caso

La vicenda nasce dalla richiesta di risarcimento presentata da una paziente contro un medico e un’Azienda Ospedaliero-Universitaria. Tra il 2007 e il 2010, la donna aveva subito diversi interventi oculistici: impianto di cristallino artificiale, reimpianto e successiva asportazione di ACL. Gli interventi miravano a trattare episcleriti ricorrenti, discleriti e astigmatismo ipermetropico.

La paziente contestava l’errata scelta del trattamento chirurgico e denunciava l’assenza o l’inadeguatezza dell’informazione ricevuta. A suo dire, non era stata avvertita delle alternative possibili né dei rischi, tra cui l’uveite e i danni alla cornea. Tali complicanze le avrebbero causato una quasi totale perdita della vista all’occhio destro e gravi conseguenze psicologiche.

La Corte d’Appello ha confermato il rigetto della domanda già pronunciato in primo grado. Ha escluso la responsabilità del medico e della struttura, ritenendo corretti gli interventi sotto il profilo clinico. Ha riconosciuto, invece, una carenza informativa da parte dei sanitari. Tuttavia, ha ritenuto non provato che la paziente, se adeguatamente informata, avrebbe rifiutato gli interventi. Per questo ha applicato il principio del consenso presunto. Di conseguenza, ha negato sia il risarcimento del danno alla salute sia quello per la lesione del diritto all’informazione, ritenendoli non sufficientemente allegati né dimostrati.

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Il giudizio di legittimità

Avverso tale decisione, la paziente ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi.

  1. Danno alla salute derivante dalla violazione del consenso informato: si contesta l’utilizzo del “consenso presunto”, ritenuto in contrasto con gli artt. 132, comma 2, n. 4, 115, comma 1, c.p.c. e 2729 c.c., oltre che viziato da illogicità e contraddittorietà della motivazione, con omessa valutazione di elementi di fatto decisivi.

  2. Mancata ammissione della prova testimoniale: la ricorrente censura il rigetto della prova testimoniale volta a dimostrare che, se correttamente informata, avrebbe rifiutato gli interventi. La Corte d’Appello aveva dichiarato inammissibile tale prova, qualificandola come valutativa.

  3. Lesione del diritto all’autodeterminazione: si denuncia la violazione degli artt. 115, comma 2, c.p.c., 2729 e 1223 c.c., per l’omesso riconoscimento del danno non patrimoniale derivante dalla violazione del diritto all’autodeterminazione, in quanto la Corte territoriale aveva ritenuto non allegati né provati danni diversi da quello alla salute.

  4. Sanzione accessoria ex art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002: infine, si deduce l’erroneità della statuizione relativa all’applicazione della sanzione pecuniaria per l’inammissibilità del gravame, ritenendo insussistenti i presupposti normativi.

Il rigetto del ricorso: principio generale sul consenso informato

La Suprema Corte ha respinto integralmente il ricorso, ribadendo principi consolidati in tema di consenso informato. In relazione ai primi due motivi, i giudici di legittimità hanno riaffermato che spetta al paziente fornire la prova che, se adeguatamente informato, avrebbe rifiutato il trattamento sanitario proposto. Secondo la Corte, tale prova non può essere desunta da valutazioni soggettive e retrospettive espresse dal paziente a posteriori, quando sono già noti gli esiti dell’intervento.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente rilevato che l’attrice non aveva fornito un adeguato supporto probatorio a sostegno della propria tesi. Le doglianze e i ripensamenti manifestati dopo l’aggravarsi delle sue condizioni, secondo la Cassazione, non possono fungere da elementi presuntivi della volontà che la paziente avrebbe espresso prima dell’intervento. Inoltre, gli accertamenti tecnici effettuati nel corso del giudizio avevano escluso che l’uveite fosse una conseguenza diretta degli interventi eseguiti.

Inammissibilità della prova testimoniale

Quanto alla seconda censura, la Corte ha dichiarato inammissibile la doglianza relativa al mancato accoglimento della prova testimoniale. Le dichiarazioni rese da terzi in ordine a emozioni soggettive (quali rabbia o rimpianto) espresse dalla paziente dopo gli interventi non sono idonee, secondo la Suprema Corte, a dimostrare che, se compiutamente informata, la stessa avrebbe rifiutato il trattamento. Tali circostanze, pur configurandosi come fatti storici, non integrano un serio elemento indiziario rispetto alla scelta ipotetica che sarebbe stata compiuta ex ante.

Danno all’autodeterminazione e assenza di nesso causale

Con riferimento al terzo motivo, la Cassazione ha ritenuto infondato anche il rilievo concernente il preteso danno da lesione del diritto all’autodeterminazione. È stato chiarito che le sofferenze soggettive e il turbamento psichico prospettati dalla ricorrente erano legati al peggioramento delle condizioni cliniche e non alla violazione del diritto all’informazione. In mancanza di un nesso causale tra la mancata informazione e il danno subito, non è configurabile un’autonoma voce risarcitoria per violazione del diritto di autodeterminarsi.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che non è sufficiente dedurre genericamente la sussistenza di una sofferenza per ottenere il risarcimento del danno da lesione dell’autodeterminazione: è necessaria la prova di un pregiudizio distinto e ulteriore rispetto a quello biologico, causalmente ricollegabile alla violazione dell’obbligo informativo.

Inammissibilità del motivo sulla sanzione accessoria

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile il quarto motivo di ricorso, relativo all’applicazione della sanzione accessoria prevista dall’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002. È stato precisato che l’attestazione del presupposto per il versamento del contributo unificato rientra nella competenza amministrativa e non è censurabile in sede di legittimità. Eventuali contestazioni sulla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della sanzione devono essere proposte in diversa sede, secondo i mezzi di tutela ordinari.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione ribadisce l’importanza dell’onere probatorio del paziente nel dimostrare non solo l’inadeguata informazione ma anche il nesso causale tra questa e la sua volontà di non sottoporsi all’intervento se fosse stato correttamente informato. Evidenzia altresì che il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione deve consistere in un pregiudizio concreto, diverso dal mero danno alla salute e non puramente astratto, e che non possa essere considerato in re ipsa. La decisione sottolinea la necessità di una allegazione e prova rigorosa dei danni subiti, in linea con la giurisprudenza consolidata in materia.

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