Ieri, 30 luglio 2024, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha emesso una decisione di rilievo, che ribadisce il divieto di capitalizzazione degli interessi passivi nei conti correnti, cd. pratica di anatocismo bancario, a partire dal 2014. La sentenza risponde a un ricorso presentato dall’Associazione dei consumatori, che aveva accusato diverse banche di applicare pratiche illecite di calcolo degli interessi.
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Il caso in esame
La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha depositato ieri una sentenza riguardante il tema dell’anatocismo bancario.
Il caso era stato avviato da una Associazione dei consumatori, che aveva citato in giudizio alcune banche presso il Tribunale di Cuneo. L’associazione sosteneva che le pratiche di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sui conti correnti, dopo l’entrata in vigore del nuovo art. 120 TUB il 1° gennaio 2014, fossero illegittime e contrarie agli interessi dei consumatori.
L’obiettivo era ottenere la restituzione degli interessi anatocistici già pagati e impedire future capitalizzazioni. Nonostante una sentenza sfavorevole in primo grado e la conferma della Corte d’Appello di Torino, che aveva respinto l’appello dell’associazione, quest’ultima ha portato il caso in Cassazione.
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Roberto Di Napoli
Avvocato in Roma, abilitato al patrocinio dinanzi alle Giurisdizioni Superiori. Esercita la professione forense prevalentemente in controversie a tutela degli utenti bancari e del consumatore. È autore di vari “suggerimenti per emendamenti” al disegno di legge (S307) di modifica della disciplina sui benefici alle vittime di usura ed estorsione, alcuni dei quali recepiti nella legge 3/2012. È titolare del proprio blog www.robertodinapoli.it
I motivi del ricorso
Nel ricorso, l’associazione ha evidenziato che la legge n. 147 del 2013 ha modificato l’articolo 120 del TUB , introducendo un chiaro divieto di capitalizzazione degli interessi. Tuttavia, secondo l’Associazione, molte banche avrebbero ignorato questa normativa, addebitando interessi sugli interessi già maturati, in attesa di una delibera attuativa del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), mai emanata.
La Corte d’Appello di Torino, in una precedente sentenza, aveva stabilito che il divieto di anatocismo sarebbe stato efficace solo con l’emanazione delle linee guida del CICR.
Il dibattito sul divieto di anatocismo
La recente decisione della Corte di Cassazione si inserisce in un dibattito giuridico già esistente riguardo la normativa del 2013 sull’anatocismo, ossia la capitalizzazione degli interessi da parte delle banche.
La controversia si è focalizzata su due questioni principali: la validità della capitalizzazione degli interessi e il momento da cui il divieto avrebbe dovuto essere applicato.
Un primo punto di discussione era se la legge del 2013 avesse effettivamente vietato la capitalizzazione degli interessi; il secondo punto riguardava se il divieto introdotto fosse immediatamente esecutivo o se richiedesse una successiva delibera del CICR per stabilire le modalità di apllicazione.
La Corte d’Appello di Torino, nella sentenza oggetto d’impugnazione, aveva notato che la legge di stabilità del 2014 stabiliva principi per le normative future, tra cui il calcolo degli interessi attivi e passivi e l’esclusione di ulteriori interessi sugli interessi già capitalizzati. Tuttavia, la Corte aveva evidenziato che la legge era ambigua e che era necessario aspettare una regolamentazione del CICR per evitare disparità di trattamento tra le banche e possibili aumenti delle controversie legali.
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L’interpretazione della Corte di Cassazione
La Cassazione, in disaccordo con questa interpretazione, ha sottolineato che la normativa del 2013 mirava a eliminare la pratica dell’anatocismo in modo definitivo, vietando la produzione di interessi su interessi già maturati. Nonostante la formulazione complessa della legge, l’intento era di impedire qualsiasi forma di capitalizzazione di interessi, principio ulteriormente chiarito dalla normativa del 2016, che specificava che gli interessi debitori non potevano generare nuovi interessi e dovevano essere calcolati solo sul capitale.
La I Sezione Civile ha precisato che la modifica del 2013 dell’articolo 120, co. 2, del TUB imponesse un divieto totale sull’anatocismo, vietando quindi la capitalizzazione degli interessi in qualsiasi forma, non limitandosi a quella successiva alla prima capitalizzazione. Di conseguenza, le banche non potevano continuare a basarsi sulla delibera del CICR 2000 per applicare interessi composti, indipendentemente dall’assenza di nuove disposizioni attuative.
La nuova legislazione, affidando al CICR il compito di stabilire le regole per il calcolo degli interessi bancari, non richiedeva ulteriori specificazioni per vietare l’anatocismo, già chiaramente escluso dalla legge stessa. A differenza della precedente normativa, che concedeva al CICR ampi poteri per definire le condizioni per l’applicazione degli interessi sugli interessi, la nuova disposizione era una norma di divieto chiara e diretta.
La Corte d’Appello aveva interpretato l’art. 161, comma 5 del T.U.B. come se permettesse l’applicazione delle vecchie norme fino all’emanazione di nuove direttive. La Cassazione ha specificato che tale articolo serviva a evitare lacune normative solo nel periodo immediatamente successivo all’introduzione del T.U.B., e non si applicava alle modifiche apportate nel 2013. Anche il riferimento all’art. 2, comma 2 del d.lgs. n. 72/2015, che mantiene in vigore le delibere del CICR fino alla loro sostituzione, non si riferisce alle nuove disposizioni sull’anatocismo, che erano già definite.
Conclusioni
In conclusione, la decisione della Cassazione chiarisce senza ambiguità che il divieto di anatocismo è stato pienamente efficace fin dal 2013, e le banche non potevano continuare a capitalizzare gli interessi in alcun modo.