Con la sentenza n.9451 del 2024, la Cassazione ha chiarito l’importanza dei termini perentori nei procedimenti come l’espropriazione immobiliare. Questi termini, stabiliti per garantire l’efficienza del processo sono essenziali per l’amministrazione della giustizia, come nel caso di opposizione agli atti esecutivi.
Corte di Cassazione- Sez. III Civ.- sent. n. 9451 del 09-04-2024
La vicenda
La questione traeva origine da un procedimento di espropriazione immobiliare promosso da vari creditori nei confronti del debitore e proseguito verso i suoi eredi e altri in cui è stato proposto un progetto di distribuzione delle somme ricavate dalla vendita. Il giudice dell’esecuzione ha approvato questo progetto nonostante le contestazioni presentate da uno degli eredi. In risposta, questo erede ha proposto opposizione agli atti esecutivi, la quale è stata accolta parzialmente dal tribunale, escludendo dalla ripartizione un erede di uno dei creditori originari.
Il motivo di ricorso principale
Il secondo motivo, ritenuto assorbente rispetto agli altri tre, la società ricorrente ha asserito che l’opposizione avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile o improcedibile per la sua tardiva proposizione e per non essere stata preceduta dalla necessaria fase sommaria davanti al giudice dell’esecuzione in virtù degli artt. 618 e 156 e 158 c.p.c.
La Cassazione ha ritenuto fondato il secondo motivo di ricorso.
Fase sommaria
Il ricorso in opposizione in origine indirizzato al giudice dell’esecuzione è stato presentato e registrato nel ruolo degli affari contenziosi, segnalando una procedura regolare sin dall’inizio. Tuttavia, i giudici ermellini hanno osservato come il Presidente del Tribunale avesse inizialmente assegnato il caso a un giudice competente per le controversie di natura ordinaria anziché al giudice dell’esecuzione, il quale ha poi rimesso gli atti al giudice dell’esecuzione. Quest’ultimo, invece di gestire il procedimento in via sommari, ha interpretato il ricorso come un atto introduttivo per il merito del giudizio di opposizione e l’ha trasmesso al giudice di cognizione senza convocare le parti per la fase sommaria.
Di seguito, il giudice designato dal Presidente del Tribunale ha fissato un’udienza per la comparizione delle parti, stabilendo un termine per la notifica del ricorso alla parte opposta secondo l’articolo 618, co. 2, c.p.c. Tuttavia, l’opponente non ha rispettato il termine prefissato e ha richiesto e ottenuto un nuovo termine dall’istruttore del giudice.
I giudici hanno osservato che al contrario di quanto stabilito dal principio della struttura bifasica dell’opposizione esecutiva, la fase sommaria necessaria del procedimento di opposizione davanti al giudice dell’esecuzione non è stata correttamente svolta. Tale principio richiede che il giudice dell’esecuzione convochi le parti davanti a sé per la fase sommaria, stabilendo un termine perentorio per la notifica del ricorso, prima di assegnare un ulteriore termine per l’introduzione del merito del giudizio.
In coerenza con l’orientamento espresso giurisprudenza di legittimità, i giudici hanno ritenuto imprescindibile e non derogabile la fase preliminare sommaria dell’opposizione esecutiva, posta all’avvio dell’esecuzione e gestita dal giudice dell’esecuzione stesso, come stabilito dagli artt. 615, comma 2, 617, comma 2, e 618, oltre al 619 c.p.c.
I termini perentori
In primo luogo, i giudici hanno chiarito che tale fase è essenziale non solo per garantire gli interessi delle parti coinvolte nell’opposizione, ma anche per assicurare un regolare svolgimento del processo esecutivo, in conformità con esigenze economia processuale. Infatti, la mancanza o l’irregolare svolgimento di questa fase determina l’improponibilità della domanda di merito e l’improcedibilità dell’opposizione stessa.
Inoltre, la Corte ha considerato che un atto introduttivo dell’opposizione esecutiva indirizzato direttamente al giudice dell’esecuzione e depositato nel fascicolo dell’esecuzione già pendente anziché iscritto nel ruolo contenzioso civile, è nullo. Tuttavia, questa nullità può essere sanata retroattivamente se l’atto viene depositato nel fascicolo dell’esecuzione e portato alla conoscenza del giudice dell’esecuzione, anche su disposizione di un altro giudice o su richiesta della parte opposta.
Nel caso di specie, sia il termine per la notificazione del ricorso al giudice dell’esecuzione per lo svolgimento della fase sommaria, come previsto dall’articolo 618, comma 1, c.p.c. sia il termine per l’introduzione del giudizio di merito di cognizione, come stabilito dall’articolo 618, comma 2, sono indicati come perentori.
Dunque, il decreto emesso dal giudice incaricato per la trattazione dell’opposizione, nonostante la confusione nella gestione dell’affare, deve essere considerato un termine perentorio per la notificazione del ricorso: il mancato rispetto di questi termini perentori rende il giudizio di merito dell’opposizione improcedibile.
I giudici hanno osservato che anche nel caso in cui si ritenga che la fase sommaria non sia stata svolta davanti al giudice dell’esecuzione a causa di un errore dell’opponente anziché per una sua decisione errata il risultato non cambia.
In queste circostanze, secondo l’indirizzo consolidato della Corte, la parte interessata può richiedere al giudice la fissazione di tale termine, in coerenza con l’articolo 289 c.p.c., o può introdurre o riprendere il giudizio di merito di propria iniziativa entro il termine perentorio. È consolidato, altresì, il principio secondo cui l’introduzione del giudizio di merito deve avvenire nel termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione secondo la forma prescritta dal rito applicabile alla fase di cognizione. Pertanto, se viene applicato il rito ordinario, l’erronea instaurazione del processo con ricorso anziché con citazione può essere sanata solo se l’atto è stato depositato e notificato entro il suddetto termine.
In base ai principi di diritto esposti dai giudici di legittimità, considerando l’eventualità che l’omissione della fase sommaria dell’opposizione venga ignorata o che si presuma svolta, anche se in modo non conforme, per motivi imputabili al giudice dell’esecuzione, e inteso che la fissazione del termine per la notificazione del ricorso depositato dal ricorrente costituisca la fissazione del termine per l’introduzione del giudizio di merito, i giudici hanno ritenuto comunque evidente che l’opponente avrebbe avuto l’onere di avviare il giudizio di merito dell’opposizione.
Tuttavia, ciò non è avvenuto, dato che la notifica dell’atto di opposizione è stata effettuata solo nel giugno 2011, dopo che il giudice incaricato della trattazione aveva già fissato un’udienza a febbraio 2011 e assegnato il termine di notifica previsto dall’articolo 618, comma 2, ridotto come stabilito dall’articolo 163 bis c.p.c.
Conclusioni
In conclusione, la statuizione impugnata risulta affetta da un’applicazione erronea delle norme processuali, poiché afferma che i termini assegnati per l’introduzione non sono qualificabili come “perentori” ma come “ordinatori”. Tuttavia, come già evidenziato, in qualsiasi modo si qualifichi il termine violato dall’opponente, si tratta comunque di un termine previsto dalla legge come perentorio, il cui mancato rispetto impedisce lo svolgimento della fase di merito a cognizione piena dell’opposizione.
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Ultimo aggiornamento al Decreto PNRR-bis, D.L. 19/2024 convertito in L. 56/2024
Lucilla Nigro
Autore di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.