Garantievertrag: strumenti di tutela del garante dopo il pagamento della garanzia

in Giuricivile, 2019, 12 (ISSN 2532-201X)

Se a fronte del pagamento di quanto dovuto a fronte della prestazione di una fideiussione, il nostro ordinamento riconosce al fideiussore solvente un diritto di regresso contro il debitore principale nonché la possibilità di surrogarsi nei diritti che spettavano contro quest’ultimo al creditore, molto più complesso può risultare per il garante recuperare quanto egli si sia trovato a corrispondere al creditore quando il titolo del pagamento sia da rinvenire in un contratto autonomo di garanzia.

In tal caso, infatti, difettando il negozio de quo del carattere tipico della fideiussione civilistica, i.e. l’accessorietà rispetto al rapporto principale garantito, non è scontato che possa riconoscersi al garante un diritto di regresso nei confronti del debitore principale – che, tra l’altro, potrebbe anche essere del tutto estraneo alla stipulazione del Garantievertrag intercorsa tra garante e creditore del rapporto principale.

Con il presente lavoro, partendo da una ricostruzione delle varie situazioni che concretamente potrebbero prospettarsi, verranno passate in rassegna le strade giuridicamente percorribili dal garante per evitare di dover definitivamente sopportare il peso economico dell’operazione principale.

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La tutela del garante dopo il pagamento al debitore – 3. La tutela del garante in presenza di condizioni “fisiologiche” dei rapporti giuridici rilevanti – 4. La tutela del garante-mandatario in caso di invalidità del rapporto di mandato – 5. (Segue) Un’ipotesi residuale: l’azione di arricchimento senza causa – 6. La tutela del garante in caso di garanzia prestata all’insaputa del debitore – 7. La tutela del garante in caso di garanzia prestata per un’obbligazione futura e mancata venuta ad esistenza dell’obbligazione – 8. La tutela del garante in caso di pagamento a fronte di una richiesta abusiva del creditore  – 10. La tutela del garante in caso di invalidità del rapporto principale – 9. La tutela del garante in presenza di una controgaranzia – 11. La tutela del garante in caso di assicurazione fideiussoria

  1. Premessa

Nella prassi commerciale ricorre usualmente la circostanza per cui il debitore principale, su richiesta dal creditore di garantirgli la corretta esecuzione della prestazione, si trovi a dover procurare a quest’ultimo una garanzia autonoma.

Molto spesso, quindi, egli da incarico ad una banca o ad una compagnia di assicurazione di prestare nei confronti del beneficiario una garanzia a prima domanda, cioè da pagare a semplice richiesta di quest’ultimo. Al rapporto che viene così ad intercorrere tra il soggetto ordinante ed il soggetto garante può essere riconosciuta la natura giuridica di mandato senza rappresentanza, nel quale è fondamentale che il mandatario compia degli atti giuridici nell’interesse del mandante, senza che vi siano poi dubbi sul fatto che la prestazione della garanzia sia un atto al quale di certo il beneficiario è interessato nonché che questo vada anche a soddisfare un interesse proprio del debitore principale-mandante[1].

Successivamente all’escussione della garanzia da parte del creditore a spese del garante autonomo[2], la dottrina[3] è unanime nel riconoscere un diritto di quest’ultimo al rimborso di quanto egli abbia dovuto sborsare per addivenire alla soddisfazione del creditore.

Quanto detto risulta chiaro soprattutto dopo aver visto che, nel momento in cui il debitore del rapporto principale dà ordine ad un terzo soggetto di garantire il proprio creditore attraverso il rilascio di una garanzia, si viene ad instaurare tra i due un rapporto di mandato senza rappresentanza, ragion per cui il garante, una volta pagata la garanzia, potrà agire nei confronti dell’ordinante in forza di un’actio mandati[4].

Ciò che bisogna considerare, però, è che non sempre le cose vanno nello stesso modo e che diverse possono essere le situazioni ricorrenti nelle fattispecie concrete.

Può ricorrere il caso, che rappresenta l’aspetto fisiologico della fattispecie, in cui il garante, su richiesta del creditore di corrispondergli la somma di danaro che gli risulta dovuta sulla base del contratto autonomo di garanzia, paghi ciò a cui è tenuto e, successivamente, si rivolga al debitore-ordinante perché questi gli rifonda quanto si sia trovato a sborsare per procurare la soddisfazione del creditore.

A questo, tuttavia, se ne aggiungono di altri, per così dire, patologici, ovverosia:

  1. potrebbe darsi che il rapporto di mandato venutosi ad instaurare tra ordinante e garante risulti poi invalido o inesistente, per cui, in realtà, tra le parti non sia mai sorta alcuna relazione giuridica che legittimi all’esercizio dell’azione di cui sopra[5];
  2. potrebbe anche accadere che la garanzia sia prestata dal garante autonomo insciente debitore, vale a dire a totale insaputa del debitore del rapporto principale, e, non applicandosi le norme tipiche della fideiussione, bisognerà capire come, e se, il garante potrà rivalersi sul debitore, che magari nemmeno voleva che a fronte del suo debito venisse prestata una garanzia[6];
  3. ancora, potrebbe avvenire che, nel caso della garanzia rilasciata a fronte di obbligazioni anche solo previste o progettate o, comunque, future, l’ordinante ed il beneficiario, in attuazione di un disegno callido e truffaldino, si accordino per far in modo che il creditore ottenga dal garante una somma di denaro, magari fingendo trattative finalizzate alla stipulazione di un contratto che essi invece non volevano affatto[7]; oppure, sempre nella stessa situazione, la trattativa potrebbe venire meno a prescindere da un intento truffaldino dei soggetti che in essa risultino coinvolti;
  4. ulteriormente, potrebbe verificarsi il caso in cui il garante paghi il beneficiario malgrado però la richiesta di quest’ultimo sia evidentemente abusiva e, per non aver richiesto al debitore quale fosse la situazione dei rapporti tra lui ed il creditore ed essere quindi venuto meno ai compiti di diligenza del mandatario di cui all’art. 1170 c.c., questi perda conseguentemente ogni azione di regresso nei confronti del debitore ordinante[8];
  5. potrebbe avvenire che il garante paghi il creditore per poi scoprire che, in realtà, il contratto principale tra questi ed il debitore era invalido[9];

Oltre ai casi finora delineati, bisognerà anche considerare cosa succede al ricorrere di una controgaranzia, vale a dire in presenza di fattispecie quadrangolari in cui vi è un quarto soggetto che garantisce la prestazione del debitore su incarico della prima banca incaricata direttamente dal debitore[10].

Non certo ad abundantiam ma in virtù di una necessità dettata dalla prassi, saranno poi da considerare i rapporti che, successivamente al pagamento da parte del garante, sorgono tra quest’ultimo ed il debitore principale al ricorrere di una c.d. “assicurazione fideiussoria”, atteso che la dottrina e la giurisprudenza non sono ancora completamente concordi circa la natura giuridica da attribuire a tali convenzioni negoziali e, conseguentemente, sulla disciplina loro applicabile[11].

Date le molte sfaccettature che i rapporti tra garante e ordinante possono venire ad assumere, bisognerà indagare non solo sui diritti che il primo può vantare, a seconda dei casi, nei confronti del secondo, ma anche sui doveri a cui chi presta la garanzia è tenuto nei confronti del debitore del rapporto principale[12].

  1. La tutela del garante dopo il pagamento al debitore

Come già chiarito al paragrafo precedente, essendo velleitario tentare di trattare quanto in parola in maniera generalista e generalizzante, bisognerà analizzare una ad una, in maniera separata, le fattispecie di cui supra, per avere un quadro quanto più minuzioso e completo delle situazioni che potrebbero venire a prospettarsi nella concretezza della prassi commerciale.

  1. La tutela del garante in presenza di condizioni “fisiologiche” dei rapporti giuridici rilevanti

Nella normalità dei casi, quando viene stipulata una garanzia (autonoma o meno che sia), al mancato adempimento da parte del soggetto passivo del rapporto obbligatorio sottostante (vale a dire, il debitore principale) consegue la richiesta rivolta al garante da parte del creditore garantito di pagamento di quanto dovuto a fronte proprio della situazione di inadempienza venutasi a creare.

Giacché stiamo trattando di garanzie personali, un confronto molto veloce con la fideiussione ci potrà aiutare a meglio comprendere le differenze tra questa e il contratto autonomo di garanzia e, laddove sia possibile, a identificare con maggior scrupolo i punti di contatto.

Stando alla lettera degli artt. 1949 e 1950 c.c., il fideiussore che paghi il debito esistente nei confronti del creditore viene automaticamente surrogato nei diritti che quest’ultimo poteva vantare nei confronti del debitore principale ed ha, oltretutto, azione di regresso, sempre verso il debitore, anche qualora questi non fosse consapevole della fideiussione (i.e., questa sia stata rilasciata insciente debitore o invito debitore).

Passando adesso alla fattispecie che lo scritto si propone di sottoporre a disamina, dobbiamo innanzitutto ricordare che tra il debitore principale ed il garante autonomo viene a costituirsi un rapporto di mandato senza rappresentanza, di cui all’art. 1705 c.c., ragion per cui, una volta che il garante abbia pagato adempiendo all’impegno validamente assunto col contratto autonomo, questi acquisterà un diritto ad essere ripagato dal suo mandante (debitore principale) ex artt. 1719 e 1720 c.c., oltre a riceverne, ove ciò sia stato pattiziamente previsto, il compenso[13]. Il regresso del garante autonomo, quindi, altro non è se non l’esercizio del suo credito di mandatario ex artt. 1719 e 1720 c.c., ed eventualmente dell’actio mandati contraria[14].

L’art. 1719 del codice civile dispone, infatti, che il mandante è tenuto a fornire al mandatario tutti i mezzi che siano a questi necessari per l’esecuzione dell’incarico e per l’inadempimento delle obbligazioni ad esso connesse.

Ci si è tuttavia interrogati sul se la locuzione atecnica utilizzata dal conditor legis “è tenuto” vada interpretata nel senso che in capo al mandante sussista un preciso obbligo oppure sorga su di lui soltanto un onere (o, addirittura, una facoltà), di somministrare al mandatario quanto necessario. Secondo dottrina molto autorevole[15], la previsione legislativa di cui all’articolo in parola andrebbe a configurare due obbligazioni tra loro distinte: una, di carattere secondario (fornire i mezzi necessari), diretta ad agevolare l’esecuzione dell’incarico da parte del mandatario ed un’altra, di carattere, questa volta, principale, diretta a consentire l’adempimento delle obbligazioni che il mandatario abbia assunto in nome proprio. Quanto invece alla riserva pattizia cui fa riferimento la norma, si discute se essa concerna soltanto il profilo temporale e le modalità di adempimento dell’obbligazione del mandante o se questa possa essere impiegata come mezzo per conferire legittimazione ad una previsione pattizia (tacita o espressa, poco importa) delle parti che escluda totalmente la somministrazione al mandatario dei mezzi necessari ad eseguire l’incarico che gli sia stato affidato. La seconda interpretazione sembra da escludere, considerato il fatto che, diversamente, si andrebbe ad alterare la funzione intrinseca del mandato[16]. Il rimborso delle spese che il mandatario si sia trovato ad anticipare in esecuzione dell’incarico ed il compenso (ove non escluso dalle parti[17]) si configurano, allora, come dei veri e propri diritti di credito dell’incaricato e come veri e propri obblighi gravanti in capo al mandante. Il rimborso delle spese anticipate, poi, è configurabile come un debito di valuta[18] e ricomprende anche il pagamento degli interessi  dal giorno in cui le anticipazioni sono state effettuate[19].

Stando a quanto sopra detto, dunque, il garante-mandatario che abbia regolarmente pagato l’ammontare dovuto in forza della garanzia prestata al creditore del rapporto principale, ha diritto di agire in “regresso” nei confronti del debitore che gli ha conferito l’incarico di rilasciare la garanzia stessa[20] ed il debitore non potrà sottrarsi all’obbligo di pagare quanto egli adesso deve, altrimenti si verrebbe ad integrare un vero e proprio inadempimento contrattuale, che legittimerebbe il mandatario ad esperire gli ordinari rimedi ad esso connessi[21].

Chiarito come il garante-mandatario possa richiedere al debitore-mandate che gli vengano rifuse le spese che questi ha affrontato in esecuzione del mandato in forza dei diritti che proprio da tale rapporto sono venuti a sorgere, bisogna adesso chiedersi se, in concorso alternativo all’esercizio di tali diritti, possa il garante, avendo pagato “per altri” ed avendo chiaramente interesse a soddisfare il debito, surrogarsi nei diritti che il beneficiario-creditore principale poteva vantare nei confronti del suo debitore. Ciò comporterebbe da parte sua la possibilità di esercitare gli stessi diritti che poteva vantare il creditore e beneficiare quindi degli eventuali privilegi o delle possibili ulteriori garanzie personali o reali o degli altri accessori del credito che questi era riuscito ad ottenere (artt. 1204, c. 1, e 2843, c. 1, c.c.).

Per negare la compatibilità dell’istituto della surrogazione per pagamento con la figura del mandatario, si è in merito obiettato che il garante, stante la natura autonoma della garanzia, non sta pagando un debito altrui (id est, quello del debitore principale), bensì un debito proprio[22]. La forza logica dell’argomentazione è indubbia: i debiti, nella fattispecie considerata, sono distinti e dell’oggetto della prestazione pecuniaria cui è tenuto il garante solitamente non si può predicare l’omogeneità con quella del debitore principale[23].

Sotto il primo profilo, se è vero che il garante adempie al proprio obbligo lo è anche che questi sta adempiendo contemporaneamente all’obbligo altrui. Non si deve dopotutto scordare che la sussidiarietà trova nell’ambito dei contratti autonomi di garanzia spazi ridottissimi, essendo l’onere del beneficiario limitato (almeno laddove ricorrano pagamenti a prima richiesta stricto sensu) alla semplice affermazione che si è verificato il caso previsto dal contratto; insomma, egli può chiedere e ricevere il pagamento dell’indennità dal garante senza aver neppure esperito un tentativo finalizzato a ricevere il pagamento dal debitore principale.

Malgrado ciò, però, dopo che il pagamento è stato effettuato il creditore non può più pretendere dal debitore la prestazione principale originariamente pattuita (non essendogli riconosciuta la possibilità di pretendere una duplice attribuzione in suo favore), ragion per cui l’adempimento del garante va anche a determinare la liberazione del debitore principale. Pagando “per altri” (o, quanto meno, “anche” per altri[24], avendo, dopotutto, un interesse ad estinguere il debito che ben può, per la dottrina, nascere dalla stessa posizione di garanzia assunta[25]), si potrebbe ammettere che egli subentri nel credito del quale ha procurato il completo soddisfacimento[26]. In tale circostanza, essendo del tutto legittimo ritenere che il garante abbia pagato per altri quanto dovuto al creditore, sarebbe quasi automatico ammettere la sua surrogazione nei diritti che il creditore vantava in forza dell’art. 1203, n. 3), c.c.[27] – che prevede la surrogazione legale di chi, tenuto con o per altri al pagamento del debito, aveva interesse a soddisfarlo –, oppure in virtù di quanto dettato dall’art. 1201 c.c. –  vale a dire sulla base di una dichiarazione del creditore che dica di surrogare il solvens nei diritti che questi vanta contro il debitore –.

Sotto il secondo profilo, tuttavia, non si può fare a meno di notare ch’egli si surrogherebbe nel credito originario, che potrebbe anche avere ad oggetto una prestazione di facere (si pensi al performance bond) ben diversa da quella cui era personalmente tenuto. A tale credito il garante potrebbe, questo è ovvio, non essere assolutamente interessato (se, ad esempio, l’obbligazione del debitore principale avesse avuto ad oggetto la realizzazione di un immobile ad uso abitativo, la banca che fosse andata a garantire il promissario acquirente che poi ha subìto l’inadempimento dell’appaltatore potrebbe non avere il benché minimo interesse acché la struttura venga effettivamente costruita), ma ciò non è un argomento dotato della forza e della pregnanza necessarie ad escludere del tutto in linea di diritto il potere del garante di surrogarsi nella posizione del creditore ormai soddisfatto[28], malgrado costituisca senza dubbio una valida eccezione di merito.

Per proseguire al meglio tale discorso e giungere ad una soluzione che possa ritenersi accettabile, occorre ricordare che secondo la dottrina il debito del garante autonomo è proprio e non altrui e che la giurisprudenza ha escluso che si possa avere surrogazione laddove venga pagato un debito proprio e non altrui ma che al contempo ha più volto statuito che la surrogazione può giovare soltanto a chi aveva un obbligo giuridico di pagare con altri o per altri.

Volendo seguire un canone ermeneutico letterale, è opinione dello scrivente che, sulla base delle pronunce giurisprudenziali, ci si ritrova dinanzi ad un dubbio, giacché il debito del garante autonomo è proprio, per cui la surrogazione non dovrebbe avere luogo dopo il suo pagamento al creditore, ma è innegabile che in capo al garante sussiste un obbligo di pagare almeno “anche” per altri, per cui l’istituto della surrogazione per pagamento – quanto meno sulla base del disposto dell’art. 1201 c.c., e, dunque, attraverso apposita dichiarazione del creditore – potrebbe senz’altro operare.

Per risolvere l’impasse è indubbiamente proficuo far ricorso ad un criterio di stampo utilitarista, ispirato alle teorie dell’argomentazione economica, in virtù del quale andranno tenuti in considerazione i pro ed i contro della concessione o meno al garante del diritto a surrogarsi nella posizione del creditore dopo che a questi abbia procurato soddisfazione. Ragionando in termini di analisi economica del diritto, poniamo il caso che il debitore principale risulti inadempiente in quanto si rifiuti categoricamente di dare esecuzione alla prestazione di facere originariamente pattuita col creditore, che il suo patrimonio sia del tutto incapiente e che, a fronte del proprio credito, il creditore originario avesse ottenuto che dei terzi soggetti prestassero delle garanzie reali o personali (si pensi ad un’ipoteca o ad una fideiussione), ulteriori al contratto autonomo di garanzia, e consideriamo le due seguenti possibilità:

  • ammettiamo che al garante non venga concesso il diritto di surrogarsi nella posizione del creditore dopo il pagamento, ritenendo prevalente la circostanza che il suo debito nei confronti del creditore stesso sia un debito proprio. In tale evenienza per il garante sarebbe possibile agire nei confronti del debitore principale solamente in regresso in forza delle norme sul mandato che abbiamo esaminato precedentemente, esercitando quindi i diritti alla rifusione delle spese che da tale negozio giuridico derivano al mandatario. Egli, però, si troverebbe dinanzi un soggetto del tutto insolvente, per cui di sicuro non potrebbe sperare che gli vengano rifuse le spese che, in attuazione del mandato, si è trovato ad affrontare, né gli potrebbero giovare le garanzie che il creditore originario era riuscito ad ottenere a fronte del suo credito, giacché, per disposizione di legge (art. 1204 c.c.), nei confronti dei terzi garanti può agire colui che si sia surrogato nei diritti del creditore, ma ciò non è ammesso nel caso che si agisca con azione di regresso. Non avendo quindi un modo per ottenere soddisfazione, il garante che agisse in regresso si troverebbe a dover sopportare in toto il peso economico dell’operazione al posto del debitore;
  • adesso, invece, consideriamo la situazione in cui al garante venga permesso di surrogarsi nei diritti del creditore, in quanto si ritenga prevalente la circostanza per cui egli sta pagando il debito “anche” per altri e che dunque possa operare la previsione di cui all’art. 1203, n. 3), c.c. In tal caso, malgrado l’incapienza del debitore, il garante che agisse in surrogazione potrebbe innanzitutto chiedere, qualora ne avesse interesse, che quest’ultimo venga condannato all’esecuzione in forma specifica del suo obbligo e, qualora ciò non risultasse possibile, potrebbe, in forza dei diritti che competevano al creditore, rifarsi nei confronti degli eventuali terzi che avevano prestato garanzia per il debitore.

Nel primo caso, non ammettendo che il garante possa surrogarsi al creditore garantito al quale ha procurato soddisfazione, potrebbe giungersi al punto di far sopportare il peso dell’intera operazione economica al solo garante autonomo. Oltretutto, bisogna anche tenere presente che questa condizione costituirebbe un disincentivo al rilascio di garanzie connotate dalla caratteristica dell’autonomia nei confronti dell’obbligazioni principale. Di sicuro, dunque, ci troveremmo in una situazione in cui gli svantaggi superano i benefici conseguenti alla scelta di ritenere prevalente, nel nostro compito esegetico, una circostanza anziché un’altra.

Nel secondo caso, invece, al ricorrere delle stesse condizioni di fatto, al solvens verrebbe quanto meno concessa la possibilità di agire contro eventuali terzi garanti al fine di ottenere ciò che gli spetta, evitando di far gravare definitivamente su di lui l’intero peso dell’operazione economica. Tale circostanza potrebbe anche rappresentare un incentivo (o, quanto meno, far si che non vi siano dei disincentivi) al rilascio di garanzie autonome, giacché il garante saprebbe che, al fine di recuperare quanto pagato, sarebbero di sua competenza azioni da esperire anche contro gli altri garanti del debitore principale. In tale caso, mi pare che i vantaggi superino gli svantaggi.

A quanto suddetto si potrebbe obiettare che in realtà tra le due situazioni non c’è poi tutta questa differenza in caso di incapienza del debitore principale, giacché, anche in presenza di terzi garanti, anziché sul garante autonomo, il peso economico dell’operazione andrebbe a gravare sugli altri (datori di ipoteca, fideiussori, ecc.).

Tuttavia bisogna considerare che spesso, nella prassi, è facile che colui che concede ipoteca su un proprio bene o fideiussione a fronte del debito di un terzo soggetto sia legato a questo da un qualche rapporto personale e/o economico (parente, affine, socio d’affari, ecc.), per cui sarebbe a mio avviso preferibile che l’operazione finisse per gravare su tale soggetto anziché su chi, come una banca, si trovi a prestare garanzia in quanto sta esercitando una professione.

In merito, poi, alla circostanza che la prestazione oggetto dell’obbligazione del debitore potrebbe anche essere di facere e dunque non sarebbe fuori luogo aspettarsi che il garante non via abbia alcun interesse, c’è da dire che ciò non toglie che, una volta ottenuta la titolarità del diritto a tale prestazione, il garante potrebbe sempre monetizzarla, magari cedendola ad un terzo soggetto che in quella prestazione risulti avere interesse o cedendo l’oggetto della prestazione in parola; ancora potrebbe successivamente procedere ad uno sfruttamento, con le modalità ritenute più opportune, di quest’ultimo o addivenire ad una novazione con il debitore.

  1. La tutela del garante-mandatario in caso di invalidità del rapporto di mandato tra lui ed il debitore-mandante

Nella normalità dei casi, il contratto autonomo di garanzia viene stipulato tra garante e creditore-beneficiario in forza di un mandato senza rappresentanza che il debitore del rapporto principale conferisce al garante stesso.

Può però accadere che, dopo la stipulazione del contratto autonomo di garanzia e, magari, anche dopo la corresponsione al creditore della somma in forza di esso dovutagli, si scopra che il mandato intercorso tra debitore e garante fosse inesistente o che, alla sua invalidità, segua una pronuncia costitutiva di annullamento o dichiarativa di nullità. In tal caso verrebbe meno il rapporto fondamentale tra i due soggetti in esso coinvolti (c.d. “rapporto di provvista”).

Anche in merito alla situazione ivi in esame può essere utile un richiamo alla disciplina della fideiussione, garanzia personale per antonomasia. In particolare, bisognerà ricordare che laddove venisse meno il rapporto di provvista tra il debitore ed il suo fideiussore, il secondo non potrebbe opporre tale circostanza al creditore per evitare di pagargli quanto dovuto, giacché questa sarebbe una situazione che avrebbe rilevanza soltanto con riguardo ai rapporti interni debitore-fideiussore e non potrebbe dunque essere sollevata al creditore la relativa eccezione[29].

Proprio per questo motivo, laddove il fideiussore fosse, exempli gratia, il genitore del debitore, questi non potrebbe opporre al creditore, dopo il rilascio della fideiussione, che il figlio è in realtà una persona indegna, che ha recentemente tenuto un comportamento così grave nei confronti del padre da risultare imperdonabile e che per questo motivo egli non intende più garantire il pagamento del suo debito, perché a tale situazione è del tutto estraneo il creditore.

Lo stesso vale laddove il fideiussore fosse un socio d’affari del debitore e il sodalizio tra i due venisse meno o, ancora, qualora il fideiussore fosse una banca e, ad esempio, il debitore decidesse di chiudere il conto che aveva presso l’istituto di credito e dal quale, dopo l’eventuale pagamento, la banca avrebbe dovuto trattenere le somme necessarie al rimborso di quanto profuso e alla corresponsione del suo compenso.

In tutti i casi sopra delineati, infatti, il fideiussore avrà azione per recuperare quanto pagato in forza della fideiussione stesa proprio in virtù delle norme del codice che disciplinano il negozio in parola.

Con riguardo ai contratti autonomi di garanzia la situazione è la stessa che troviamo nel caso della fideiussione civilistica. Anche in tal caso il pagamento effettuato dal garante al creditore (malgrado il contratto di mandato tra lui ed il debitore non sia più sussistente o non lo sia mai stato) comporta un vantaggio per il debitore nella misura in cui lo libera e legittima dunque il garante ad agire contro il debitore al fine di recuperare quanto profuso, senza che al creditore interessi quale sia la situazione dei rapporti interni intercorrenti tra debitore e garante.

Il punto cruciale sta adesso nel capire in forza di quale istituto giuridico il solvens sia legittimato agire nei confronti del debitore per il rimborso di quanto versato all’accipiens in forza di un contratto di garanzia concluso a seguito di un mandato che questi riteneva esistente e perfettamente valido e che, invece, era inesistente o, laddove esistente, era invalido.

Naturalmente non saranno applicabili le disposizioni in tema di mandato precedentemente analizzate, tanto che la dottrina è dell’idea che, nel caso de quo, l’unica strada percorribile sia quella di ritenere che la garanzia sia stata assunta scientemente nell’ambito della gestione di affari altrui ed attribuire al garante i diritti derivanti dalla negotiorum gestio nei confronti del dell’interessato, come sancito dal codice civile agli artt. 2028 – 2032. In mancanza di altre azioni esperibili, poi, si potrebbe sempre ricorrere alle previsioni codicistiche riguardanti l’arricchimento senza causa, di cui agli artt. 2041 e 2042[30], ma di questo si tratterà nel paragrafo successivo.

Nell’ambito della gestione di affari[31] altrui bisognerà distinguere i due soggetti del rapporto, cioè l’interessato (id est, colui a cui l’affare inerisce, vale a dire, nel nostro caso, il debitore) ed il gestore (vale a dire, colui che assume la gestione dell’affare, cioè, nel nostro caso, il garante)[32]. In forza delle previsioni codicistiche, gli obblighi dell’interessato nei confronti del gestore sono di due tipi: il primo consiste nel fatto che il dominus negotii è tenuto a mantenere indenne il gestore delle obbligazioni che questi abbia assunto suo nomine verso terzi; il secondo riguarda le spese necessarie o utili affrontate da quest’ultimo[33].

Perché possa trovare applicazione l’istituto della gestione di affari altrui, si è soliti muovere da due presupposti obiettivi necessari: la mancanza di un preesistente rapporto giuridico tra le parti (c.d. “spontaneità”) e l’imputazione dell’attività che il gestore abbia posto in essere alla sfera giuridica di interessi altrui (c.d. “alienità dell’affare”). Ad essi deve aggiungesi quello soggettivo dell’intenzione di gestire un affare altrui (c.d. “animus negotia aliena gerendi”).

Il primo presupposto è quasi ovvio, giacché diversamente, vale a dire laddove l’ingerenza trovasse fondamento in un contratto o direttamente in una previsione di legge, si ricadrebbe nell’ambito delle gestioni autorizzate: il gestore quindi deve intervenire nullo iure cogente[34].

La norma, comunque, è stata sottoposta da parte della dottrina[35] ad una interpretazione estensiva che ha portato a ritenere che l’ingerenza non sia autorizzata anche quando venga posta in essere in forza di un rapporto obbligatorio (ad esempio, un mandato), ma di questo ecceda i limiti convenzionali o legali[36].

Il secondo requisito obiettivo che la legge richiede è che l’affare sia altrui[37].

Ciò suscita non pochi problemi quando il gestore abbia agito non solo nell’interesse altrui ma anche in quello proprio. A ben vedere, però, non pare si possa far derivare da tale circostanza un ostacolo decisivo all’applicazione delle norme sulla gestione di affari altrui, almeno quando l’affare sia stato, almeno in prevalenza, altrui[38].

Il terzo requisito che necessariamente deve ricorrere perché si possa parlare della figura in parola ha natura soggettiva e sussiste nell’intenzione di gestire un affare altrui.

Con riguardo ad esso le teorie inizialmente esistenti in dottrina erano tre: la prima – che suole chiamarsi soggettiva – riteneva essenziale un elemento subiettivo specifico (da identificare col romano animus aliena negotia gerendi); la seconda – che è solitamente qualificata come oggettiva – sosteneva invece potesse prescindersi da un elemento specifico di carattere soggettivo; la terza – designata con l’appellativo di eclettica – negava che vi fosse unità nell’istituto della gestione e separava dunque l’actio directa negotiorum gestorum dall’actio contraria, richiedendo per la prima l’alienità dell’affare quale unico requisito e per la seconda l’animus aliena negotia gerendi e l’utiliter coeptum[39]. Le decisioni giurisprudenziali, da parte loro, hanno poi accolto la teoria soggettiva, tanto da affermare che non può esserci negotiorum gestio senza animus aliena negotia gerendi, nonché che esso è necessario sia per l’azione diretta che per quella contraria[40] e che la gestione di affari altrui non si fonda sulla esistenza di una volontà presunta[41]. È appena opportuno, inoltre, precisare che la volontà del gestore deve riguardare soltanto l’atto iniziale della gestione, non invece le conseguenze di carattere obbligatorio che da questo atto derivano per previsione di legge[42].

Le legge richiede anche che la gestione sia stata utilmente iniziata.

Naturalmente, il requisito dell’utilità[43], che deve risultare sussistente già al momento iniziale delle gestione, deve essere valutato in rapporto al dominus negotii e non al gestore[44]. Quando l’ingerenza ponga riparo ad una omissione che costituisce direttamente un pericolo (o, addirittura, una lesione) per gli interessi indisponibili di terzi, l’utilità della gestione è in re ipsa. Se l’affare rientra invece nella piena disponibilità dell’interessato bisognerà tener conto della sua volontà, ove fosse conosciuta o conoscibile al gerente: un’attività oggettivamente utile già dal momento iniziale ma che si ponga in contrasto con l’assetto di interessi che l’interessato aveva deciso di dare ai propri affari non rientra nello schema legale tipico[45]. La giurisprudenza, comunque, con una pronuncia un po’ risalente ma di grande autorevolezza, ha sentenziato che «nella gestione di negozio l’utiliter coeptum non va riguardato sotto il soggettivo profilo di ciò che il dominus avrebbe fatto, ma di ciò che egli, date le circostanze del caso, avrebbe dovuto fare[46]».

Come ultimo requisito indispensabile troviamo la c.d. “absentia domini”, cioè la circostanza che l’ingerenza del gestore non sia né tacitamente approvata dall’interessato né da questo vietata (salvo che il divieto sia contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume), qualora questi non sia in grado di provvedere alla cura della persona, all’esercizio dei suoi diritti e all’adempimento dei propri obblighi[47]. In giurisprudenza, però, l’opinione dominante è che il requisito dell’absentia domini possa interpretarsi, in modo ancor più restrittivo, come sinonimo di mancata opposizione ovvero di opposizione illegittima dell’interessato, il quale pure sia in grado di provvedere alla cura dei propri interessi[48].

Volendo riassumere i requisiti che devono simultaneamente sussistere perché si possa ricorrere all’istituto della gestione di affari altrui e quindi, mettendoci nei panni del garante che ha pagato il creditore in forza del contratto autonomo di garanzia, all’actio negotiorum gestorum contraria, possiamo stilare il seguente elenco:

  1. la mancanza di un preesistente rapporto giuridico tra le parti (c.d. “spontaneità”);
  2. l’imputazione dell’attività che il gestore abbia posto in essere alla sfera giuridica di interessi altrui (c.d. “alienità dell’affare”);
  3. l’intenzione di gestire un affare altrui (c.d. “animus aliena negotia gerendi”);
  4. che la gestione sia stata utilmente iniziata (c.d. “utiliter coeptum”);
  5. la c.d. “absentia domini”.

Nel caso che stiamo trattando, il primo può considerarsi ricorrente, giacché, anche se l’esistenza/validità del rapporto di mandato tra debitore e garante è presunta, quando poi di questo si scopra l’inesistenza o venga annullato o dichiarato nullo si ricade nel caso di mancanza di un rapporto giuridico preesistente e viene integrato il requisito in esame.

Il secondo requisito è forse quello che potrebbe dare più problemi, giacché il debito che il garante si trova a pagare, come abbiamo avuto modo di chiarire, è proprio o comunque non del tutto altrui. Ciononostante, l’attività del gestore può essere rigerita ad una sfera giuridica altrui, visto che, dopo il pagamento da parte del garante, il debitore è liberato ed il creditore non potrà più chiedergli di adempiere la prestazione principale alla quale esso era tenuto.

L’intenzione di gestire un affare altrui può ritenersi che ricorra giacchè il contratto stipulato tra garante e creditore è, malgrado la sua autonomia rispetto a quello principale, un contratto di garanzia, che si riferisce dunque, almeno in senso lato, al debito esistente tra debitore del rapporto principale e creditore, per cui non risulta così difficile considerare integrato anche l’animus aliena negotia gerendi.

Dell’utilità iniziale della gestione non può certamente dubitarsi, considerando il  fatto che, molto spesso, la stipula del contratto autonomo di garanzia è un presupposto di quella del contratto tra creditore e debitore principale, ragion per cui, anche seguendo quanto detto dalla Cassazione nella sentenza di cui alla nota 364, l’utiliter coeptum è, in tal caso, sicuramente integrato, rappresentando il contratto di garanzia ciò che il debitore-dominus, date le circostanze di fatto, avrebbe dovuto fare.

Per finire, bisogna indagare circa la ricorrenza della c.d. “absentia domini”.

Volendo accogliere l’interpretazione che di questo requisito ci ha fornito la Cassazione[49], è ovvio che l’interessato sia in grado di provvedere ai propri interessi adempiendo alla prestazione alla quale è tenuto nei confronti del creditore, ma, qualora questi non lo faccia e non ricorrendo un suo legittimo divieto rivolto al garante, il pagamento di quest’ultimo deve ritenersi avvenuto nel rispetto anche di tale presupposto subiettivo.

Nella situazione ivi analizzata, in conclusione, il garante potrà agire in forza dell’actio negotiorum gestorum contraria per riottenere dal debitore quanto pagato al creditore.

Per quanto invece concerne la surrogazione, così come nella fideiussione, ove venisse meno (o non esistesse) il rapporto contrattuale che lega debitore principale e fideiussore, tale circostanza non comporterebbe, dopo il pagamento, una preclusione all’operatività della surrogazione del fideiussore nei diritti del creditore in forza dell’art. 1949 c.c., così si potrebbe ammettere che, anche nel caso del contratto autonomo di garanzia, la subrogatio non trovi alcun impedimento nella venuta meno del rapporto debitore-garante, sempre partendo dall’assunto che, procurando soddisfazione al creditore, il garante stia, in realtà, pagando, quanto meno, “anche” per altri.

Ad ogni modo, se proprio non si ritenesse possibile la surrogazione ex art. 1203, n. 3), c.c., potrebbe pur sempre operare quella che avviene per volontà del creditore, di cui all’art. 1201 c.c.

  1. (Segue) Un’ipotesi residuale: l’azione di arricchimento senza causa

Ben potrebbe darsi il caso che, nell’ipotesi appena trattata, venga a mancare uno dei requisiti che la legge richiede perché si possa ricorrere all’istituto della gestione di affari. In tale situazione, ad ogni modo, il garante solvente non sarebbe comunque privo di tutela. L’ordinamento, infatti, mette a disposizione di colui il quale non può esperire alcuna altra azione un rimedio residuale, che permette di agire contro colui che, ingiustamente, si sia arricchito a sue spese. In particolare, ci si vuole riferire all’azione di arricchimento di cui agli artt. 2041 e 2042 c.c.

La possibilità di ricorrere a tale azione in mancanza dell’esperibilità di quella tipica della gestione d’affari è ammessa senza problemi anche dalla dottrina[50].

Pure in tal caso bisognerà indagare, senza naturalmente nutrire velleità di completezza (non essendo, tra l’altro, questa trattazione specificamente dedicata a tale istituto), su cosa sia necessario per ricorrere a tale azione e quale ne sia la natura, per capire in che modo il garante possa, in forza di essa, ottenere dal debitore quanto pagato per soddisfare il creditore.

Norma di chiusura del diritto delle obbligazioni, in quanto concede all’impoverito uno strumento per tutelare la sua posizione in tutti quei casi in cui manchi un’azione contrattuale o di responsabilità civile per illecito aquiliano, quella di cui all’art. 2041 c.c. pone nell’ordinamento un divieto generale di spostamento di ricchezza senza una causa giuridica e stabilisce che chiunque si sia arricchito senza causa a spese e danno di un altro è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, ad indennizzarlo della diminuzione patrimoniale che a questo sia derivata[51].

La disposizione in parola può operare allorché il trasferimento di utilità economica non trovi una giustificazione in una disposizione di legge o in una convenzione concordata tra le parti[52].

La fattispecie dell’arricchimento senza causa risulta configurabile se non vi è dolo o colpa a connotare il comportamento del soggetto arricchito[53], infatti, se la lesione alla sfera giuridica altrui «è stata perpetrata con dolo o colpa non sarà difficile ravvisare gli estremi della responsabilità civile, con conseguente obbligo di risarcire l’intero danno, pari all’entità sottratta o distrutta. Il problema di una eventuale responsabilità nei limiti dell’arricchimento può sorgere quando non sia ravvisabile l’elemento psicologico della violazione: la lesione dell’altrui diritto o situazione protetta sia cioè avvenuta in buona fede, senza la consapevolezza di ledere l’altrui diritto»[54].

La regola della sussidiarietà dell’azione, comporta che ad essa si possa ricorrere solo quando non vi sono titoli specifici di responsabilità contrattuale o colpa aquiliana, ed una delle parti venga casualmente a godere di una utilità economica con detrimento dell’altra parte.

Con una pronuncia risalente ma non smentita da altre successive, poi, la giurisprudenza di merito si anche è pronunciata su tali requisiti con riguardo alla situazione dell’impoverito, sentenziando che «l’esperibilità dell’azione di arricchimento […] non è esclusa dal fatto che l’evento pregiudizievole possa essere ascritto eventualmente a colpa o a fatto volontario dell’impoverito, in quanto la responsabilità di quest’ultimo non costituisce sul piano giuridico una ragione idonea a giustificare l’arricchimento dell’altro soggetto»[55].

Altro requisito per il ricorrere della fattispecie è quello dell’arricchimento, vale a dire dell’incremento patrimoniale procurato a un soggetto da uno spostamento di valori che consiste nella differenza fra la consistenza del patrimonio quale è in seguito al fatto che ha prodotto l’arricchimento e quella che questo avrebbe dovuto avere in assenza di tale accadimento. L’opinione comune, poi, è che esso possa consistere:

  1. in un incremento patrimoniale vero e proprio;
  2. in un risparmio di spesa;
  3. in una perdita evitata.

L’arricchimento, poi, ai fini del calcolo dell’indennizzo dovuto, va inteso, in una delle accezioni suddette, soltanto in senso di diminuzione patrimoniale, e non anche in termini di lucro cessante, rappresentando questo una componente completamente avulsa, separata e distinta del danno patrimoniale[56].

All’arricchimento di un soggetto, quale altro presupposto richiesto dalla legge, deve poi seguire, nella fattispecie concreta, il danno di un altro, che andrà valutato sempre in senso prettamente economico, cioè in termini di diminuzione patrimoniale. «Va, in proposito osservato che intanto può sussistere depauperamento di un soggetto, ai sensi dell’art. 2041 c.c., in quanto un bene già appartenente al suo patrimonio o una utilità economica che egli abbia diritto ad acquistare si trasferisca senza giusta causa nel patrimonio altrui. Ne deriva che non subisce diminuzione patrimoniale chi nulla perde di ciò che è già acquisito al suo patrimonio, o non acquisisce una utilità che non ha diritto di acquisire, ma rispetto alla quale ha soltanto una aspettativa la cui realizzazione è subordinata alla soddisfazione di un suo interesse legittimo»[57].

L’art. 2041 c.c. esige poi che tra l’arricchimento di un soggetto ed il danno sofferto dall’altro intercorra un rapporto ed una relazione.

La correlazione richiesta dall’articolo in parola viene sovente intesa quale vero e proprio nesso di causalità. Tuttavia, a tale tesi, di matrice principalmente giurisprudenziale[58], si contrappone la dottrina, la quale sostiene che invero la norma non richiede affatto un rapporto di causa ad effetto tra arricchimento e danno, «basti pensare che entrambi sono rilevanti per la legge come fatti-effetti, come fatti causati e non causanti; sono eventi terminali di uno o più fatti […] dai quali traggono origine. Che l’aumento di ricchezza di un soggetto sia la causa immediata ed efficiente della diminuzione del patrimonio dell’altro soggetto, o viceversa, può anche accadere, ma la circostanza è del tutto accidentale e non influisce sulle condizioni di fatto dell’azione, perché, a tal fine, i due eventi sono considerati unitariamente sotto la specie di una spostamento patrimoniale che produce variazioni di segno opposto»[59].

L’ultimo, anche se non per importanza, dei presupposti relativi all’istituto che stiamo brevemente esaminando è la mancanza di una giusta causa[60] per lo spostamento patrimoniale. Come ci insegna la Cassazione, «si ha ingiustificato arricchimento se il vantaggio di una parte consegue a una prestazione effettuata dall’altra parte in assenza di un titolo giuridico valido ed efficace»[61]. Non sussisterà quindi arricchimento senza causa se lo spostamento patrimoniale sia giustificato da un’esplicita disposizione di legge, da un principio generale del diritto o da una convenzione intervenuta tra le parti[62].

L’azione generale di arricchimento rientra di sicuro tra i rimedi restitutori previsti dal nostro ordinamento giuridico. Dei rimedi restitutori, secondo un sistema classificatorio tradizionale, si può procedere ad una distinzione basata sul fatto che il trasferimento patrimoniale sia dovuto ad iniziativa dell’arricchito o a fatto dell’impoverito.

Nei casi di arricchimento dovuti a fatto dell’impoverito l’iniziativa è, appunto, del soggetto che ha sofferto la perdita patrimoniale, svolgendo una prestazione a favore dell’arricchito. Nell’ambito, poi, delle restituzioni che dipendono da comportamento dell’impoverito, un’ampia categoria è rappresentata da quegli arricchimenti che dipendono da una prestazione altrui non dovuta[63].

Se, anche adesso, vogliamo, per comodità espositive, procedere ad un riassunto dei requisiti richiesti dalla legge per ricorrere all’azione generale di arricchimento, possiamo stilare il seguente elenco:

  1. la mancanza di dolo e di colpa nel comportamento dell’arricchito;
  2. l’arricchimento;
  3. il danno;
  4. il nesso di causalità tra arricchimento e danno (almeno secondo l’insegnamento della giurisprudenza);
  5. la mancanza di giusta causa.

Vediamo ora se tutti questi requisiti ricorrono nella fattispecie che stiamo esaminando, per vedere se, e quando, il garante che abbia pagato possa, in assenza di altri mezzi di tutela, ricorrere all’azione generale di arricchimento.

A meno che l’inesistenza/invalidità del rapporto di mandato tra il debitore ed il garante sia frutto di un truffaldino disegno del primo o dovuto a sua colpa, appare pacifica la sussistenza del primo dei cinque requisiti suesposti.

Con riguardo all’arricchimento, è ovvio che il debitore, che sia stato liberato dal suo debito nei confronti del creditore grazie alla prestazione del garante, si sia arricchito, quanto meno nella forma di un risparmio di spesa.

Il requisito del danno ricorre certamente, giacchè, dovendosi questo intendere come diminuzione della propria consistenza patrimoniale, è palese che il garante solvente abbia visto, in seguito al pagamento, diminuire la consistenza del suo patrimonio.

Integrato può certamente dirsi anche il nesso di causalità tra arricchimento e danno: l’arricchimento del debitore, consistente nel risparmio di spesa conseguente alla liberazione dal debito che gravava in capo a lui, è un diretto effetto del pagamento del garante, che ne è la causa.

Circa la mancanza di giusta causa, basterà richiamare la posizione della Cassazione a Sezioni Unite[64] per ritenere che, laddove il rapporto di mandato manchi (perché inesistente) o non produca o smetta di produrre effetti vincolanti tra le parti (perché nullo o annullato), essa sia palese rispetto allo spostamento di ricchezza.

Laddove, ordunque, il garante che si fosse trovato a pagare il creditore in forza di un contratto autonomo di garanzia stipulato nella convinzione che intercorresse tra sé ed il debitore principale un rapporto di mandato non avesse altri mezzi di tutela per rivalersi nei confronti di quest’ultimo per quanto pagato, sarebbe, al ricorrere di tutti i presupposti appena esaminati, legittimato ad esperire l’azione generale di arricchimento di cui agli articoli 2041 e 2042 c.c.

  1. La tutela del garante in caso di garanzia prestata all’insaputa del debitore

Il caso che andiamo adesso ad analizzare è quello che può intervenire qualora il garante rilasci una garanzia autonoma al creditore all’insaputa o, addirittura, malgrado il divieto del debitore principale.

Come già fatto in precedenza, seguiremo la stessa impostazione metodologica consistente nel presentare prima la disciplina che, in un caso del genere, si applicherebbe qualora fossimo in presenza di negozio fideiussorio per poi passare all’esame di come evolva, dopo il pagamento, la situazione al ricorrere di un contratto autonomo di garanzia.

La logica conseguenza della circostanza per cui il contratto (o, comunque, il negozio) di fideiussione, intervenendo soltanto tra il soggetto che presta la garanzia ed il creditore del rapporto principale, non ha quale suo presupposto il consenso fornito in merito da parte del debitore principale è sancita dall’articolo 1936, c. 2, c.c., il quale stabilisce la validità della fideiussione anche se questa viene rilasciata all’insaputa[65] del debitore[66]. Non soltanto, dunque, la fideiussione è perfettamente valida efficace nella circostanza di una sua prestazione insciente debitore, ma, come sostiene autorevole dottrina, ciò è vero anche qualora il debitore non l’avesse in alcun modo sollecitata o, addirittura, fosse stato contrario alla sua stipulazione (prohibente debitore)[67].

A conferma di quanto sinora detto, può essere utilizzato il disposto di cui all’art. 1950, c. 1, c.c., il quale garantisce al fideiussore l’azione di regresso nei confronti del debitore anche nel caso in cui la fideiussione fosse stata rilasciata all’insaputa di quest’ultimo[68].

Proprio questo è il punto fondamentale del discorso che stiamo conducendo: anche laddove il fideiussore abbia rilasciato la garanzia senza avvertire il debitore (e, dunque, deve ritenersi, anche nel caso in cui egli fosse contrario), questi non perderebbe l’azione di regresso che contro il debitore stesso gli spetta, né, tanto meno, non avrebbe luogo la surrogazione nei diritti che il creditore aveva al tempo del pagamento, essendo questa disposta direttamente dalla legge e nessuna menzione facendo l’art. 1203, n. 3), c.c., alla circostanza di una conoscenza della garanzia da parte del debitore.

Anche la garanzia autonoma, come la fideiussione, può essere del tutto indipendente da precedenti accordi tra garante e debitore. La risposta alla questione se sia o meno ammissibile una garanzia autonoma rilasciata insciente debitore deve dunque essere affermativa.

Più difficile, invece, può risultare quella della questione circa la possibilità per il garante che abbia rilasciato la garanzia autonoma insciente debitore di rivalersi su di lui una volta effettuato il pagamento al creditore.

Nel caso della fideiussione, l’iniziativa assunta sua sponte dal fideiussore non esclude che al creditore egli possa sollevare le medesime eccezioni che potrebbero venirgli opposte dal debitore; il fideiussore, anzi, deve mettersi in grado di venire a conoscenza di tali eccezioni e di servirsene laddove ciò risultasse possibile, avvertendo tempestivamente il debitore principale, altrimenti quest’ultimo potrebbe opporgliele per contrastarne l’azione di regresso ex art. 1952, c. 2, c.c.

Con la garanzia autonoma, invece, al garante è data una possibilità di gran lunga più ristretta di sollevare delle eccezioni nei confronti del beneficiario che gli abbia chiesto di effettuare il pagamento: qualora, dunque, il garante fosse ammesso ad agire in regresso nei confronti del debitore, quest’ultimo dovrebbe sopportare una perdita patrimoniale alla quale, a fronte delle eccezioni che avrebbe potuto ricavare dal suo rapporto col creditore ed a questi opporre, non sarebbe stato tenuto. In altri termini, in una situazione del genere il debitore vedrebbe ridurre le sue difese nei confronti del creditore a causa della non richiesta e non autorizzata iniziativa di un soggetto terzo che, prestando una garanzia autonoma per il suo debito, le vanificherebbe in grandissima parte.

Da quanto detto è possibile sostenere che malgrado si possa ammettere che un extraneus presti garanzia a favore del creditore senza dare di ciò avviso al debitore, è anche vero che a quest’ultimo non deve derivare da tale circostanza alcun pregiudizio, per cui, di sicuro, non può riconoscersi al garante la possibilità di ricorrere all’esperimento dell’actio mandati contraria (che, mancando radicalmente un qualunque rapporto di mandato tra lui ed il debitore, non sarebbe nemmeno ammissibile) né, tanto meno, alcuna forma di regresso.

L’unica via che il garante può essere ammesso a seguire è quella di dimostrare che ricorrono tutti i presupposti della fattispecie di cui all’art. 2028 ss. c.c., con conseguente possibilità di esercitare tutti i diritti ad esso derivanti dalla negotiorum gestio nei confronti dell’interessato, malgrado questi fosse inconsapevole della garanzia. Se, poi, non fosse possibile esercitare l’actio contraria negotiorum gestorum, il garante potrà agire per l’arricchimento senza causa nei confronti del debitore principale stesso (artt. 2041 e 2042 c.c.)[69].

Con riguardo alla possibilità che il garante, malgrado l’ignoranza del debitore circa la prestata garanzia, sia surrogato nei diritti del creditore al tempo del pagamento, bisognerà innanzitutto ricordare che come la surrogazione trova operatività nel caso di fideiussione rilasciata insciente o prohibente debitore, così questa potrebbe trovare operatività nel caso in cui la garanzia in questione sia una garanzia autonoma, giacché, laddove il garante autonomo agisse contro il debitore in surrogazione, a questo il debitore potrebbe opporre ogni eccezione che avrebbe potuto sollevare al creditore principale, visto che il garante surrogatosi nei diritti del creditore sarebbe a quel punto soggetto ad ogni obiezione riguardante il rapporto principale[70].

  1. La tutela del garante in caso di garanzia prestata per un’obbligazione futura e mancata venuta ad esistenza dell’obbligazione

Potrebbe darsi il caso di una garanzia autonoma rilasciata a beneficio di un creditore solo potenziale, nel senso che al momento del rilascio le trattative tra questi ed il potenziale debitore sono ancora in corso e la garanzia sia prestata a fronte dell’eventualità che queste non vadano poi a buon fine, nella qual circostanza il (mancato) creditore riuscirebbe quanto meno ad ottenere un indennizzo per il mancato affare.

In tal caso non può farsi richiamo alla disciplina della fideiussione rilasciata a fronte di un’obbligazione futura, perché questa non andrebbe comunque a garantire un soggetto contro l’eventualità che una trattativa non vada a buon fine riconoscendogli, in tal caso, la corresponsione di una somma di danaro, ma, semmai, ad allargare la base passiva dell’obbligazione nel caso in cui questa, in futuro, venga ad esistenza. L’analisi seguente, dunque, riguarderà esclusivamente la fattispecie del contratto autonomo di garanzia.

Nel caso che stiamo prospettando, la prima situazione che ci interessa è quella in cui il potenziale creditore ed il potenziale debitore facciano sì che in favore del primo venga rilasciata la garanzia e poi, per un loro accordo interno volto a frodare il garante, facciano saltare la trattativa, così che il (mancato) creditore possa ottenere la somma che gli era stata promessa.

Al ricorrere di una simile circostanza, bisognerà distinguere a seconda che ci si trovi dinanzi ad una fattispecie binaria o terziaria.

Qualora la garanzia sia stata rilasciata senza invito o, comunque, all’insaputa del debitore (fattispecie binaria), al garante non potrà essere riconosciuto di agire contro il debitore in via di regresso, perché con questi egli non aveva intrattenuto alcun rapporto, né potrà surrogarsi nei diritti del creditore al momento del pagamento, giacchè, a quel tempo, il creditore non aveva alcun diritto e non potrebbe questi nemmeno foggiarsi del titolo di creditore, essendo venuta meno la trattativa. Il garante, allora, potrà soltanto agire in virtù dell’azione generale di arricchimento[71] nei confronti del (potenziale) creditore, giacchè al (mancato) debitore egli nulla potrebbe chiedere, non avendo questi goduto di alcun arricchimento, visto che nulla doveva e dunque non ha ottenuto alcun vantaggio patrimoniale a seguito del pagamento del garante. Oltre a far questo, il garante potrebbe stimolare l’azione penale[72] ex art. 640 c.p., risultando anche legittimato a richiedere, in quella stessa sede, il risarcimento del danno.

Al ricorrere di una fattispecie ternaria, egli potrebbe agire nei confronti dell’ordinante stesso facendo leva sui diritti che in capo a lui sorgerebbero in forza della disciplina prevista dalle norme riguardanti il contratto di mandato, senza, anche in tal caso, potersi però surrogare nei diritti del creditore, che nessun diritto potrebbe vantare, e competendogli, in ogni caso, la facoltà di stimolare l’azione penale e di agire contro il creditore facendo ricorso alle norme sull’arricchimento senza causa (ma solo, data la sussidiarietà di tale azione, laddove nessun altro mezzo di tutela risultasse esperibile).

Nel caso in cui le trattative venissero meno non in forza di un truffaldino piano messo a punto da debitore e creditore per truffare il garante ma per motivi che nulla abbiano di illecito, nessuna sarebbe la differenza rispetto alla fattispecie binaria e terziaria analizzate supra, salvo il fatto che, mancando gli elementi per l’integrazione del reato di cui all’art. 640 del codice penale, il solvens non potrebbe stimolare lintervento del Pubblico Ministero. Malgrado ciò, nel caso di fattispecie binaria, questi, per ricorrere all’azione di cui agli artt. 2041 e 2042 c.c., avrebbe l’onere di provare la mancanza di una giusta causa con riguardo al trasferimento di ricchezza in favore del creditore, altrimenti dovrebbe in definitiva sopportare tutto il peso economico dell’operazione che è stata posta in essere.

  1. La tutela del garante in caso di pagamento a fronte di una richiesta abusiva del creditore

Nella situazione che in tale paragrafo si intende esaminare, il garante, richiesto dal creditore di corrispondergli quanto dovuto in forza del contratto autonomo di garanzia, paga non accorgendosi (oppure anche disinteressandosi) del fatto che la richiesta del creditore risulti abusiva e non sollevando l’exceptio doli, che gli permetterebbe di evitare di effettuare il pagamento.

Anche in questo contesto, utile risulta un richiamo alla disciplina in tema di fideiussione.

In particolare, ex art. 1952, c. 2, c.c., è previsto non che il fideiussore decada dal diritto di regresso qualora abbia pagato senza muovere le eccezioni che al creditore avrebbe potuto opporre il debitore all’atto del pagamento, ma che, successivamente, il debitore possa opporle al fideiussore stesso in sede di regresso[73].

Nell’ambito del contratto autonomo di garanzia, a parte il fatto che poche sono le eccezioni che il garante può sollevare al creditore e che attengano al contratto principale, da parte della dottrina si trova affermato il principio per cui al garante competerebbe un “dovere di protezione” derivante dal principio di buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) che va ad integrare il contenuto del contratto di mandato e che impone a questi di tutelare la sfera giuridica dell’ordinante.

Infatti «la buona fede esige che nell’attuazione del mandato il garante tenga un comportamento diretto alla protezione dell’interesse del mandante e perciò gli impone di non pagare al beneficiario quando lo dettano le circostanze concrete»[74]. Inoltre, non solo il garante deve resistere alla richiesta creditoria sollevando le eccezioni opponibili e fornendo le relative liquide Beweise di cui sia a conoscenza, ma deve anche dare immediato avviso della richiesta del creditore all’ordinante, di modo che questi gli possa fornire tutti i mezzi di difesa che ritiene opportuni. Tutti questi doveri devono essere classificati come gli obblighi accessori che il mandatario è tenuto a rispettare con la diligenza prevista dall’art. 1710 c.c. e a questi egli verrebbe meno se pagasse in maniera frettolosa e ad occhi chiusi.

Venendo il mandatario a mancare ai suoi doveri di esecuzione del mandato secondo diligenza e di tutela della sfera giuridica del mandante, legittimerà quest’ultimo a sollevargli in sede di regresso l’exceptio non rite adimpleti contractus prevista dall’art. 1460 c.c., in quanto egli avrebbe perso qualunque diritto di rivalersi sull’ordinante e potrebbe semplicemente agire nei confronti del beneficiario sulla base delle norme relative alla ripetizione dell’indebito (artt. 2033 – 2040 c.c.)[75], oltre che per l’eventuale risarcimento del danno[76].

Tradizionalmente, i presupposti per la ripetizione dell’indebito sono individuati nella prestazione, nel suo carattere non dovuto e nell’errore del solvens.

Sotto il profilo della prestazione, non dovrebbero sussistere problemi, giacché la dottrina ritiene che le norme dell’istituto in parola possano trovare applicazione a tutti i tipi di prestazione, purché questa non fosse dovuta. Ed anche sul carattere non dovuto di questa non si pongono particolari problemi, perché è ad integrare ciò sufficiente che non si sia potuta realizzare la causa solvendi programmata.

A questi due requisiti, però, si è di regola ritenuto che dovesse aggiungersi quello dell’errore del solvens, intendendo, con tale dicitura, la convinzione di prestare in vista di una causa solvendi in realtà insussistente[77]. In dottrina, però, non è mancato chi ha con grande autorevolezza sostenuto l’opportunità di relegare la rilevanza del requisito dell’errore al campo del solo indebito soggettivo[78] e fu proprio questa, alla fine, l’opinione che prese il sopravvento divenendo quella dominante in materia.

Al momento del pagamento è stata dalla giurisprudenza ammessa, per il solvens, la possibilità di effettuare una apposita riserva di ripetizione, per far fronte all’eventualità che il pagamento non risulti alla fine dovuto ed invertire l’onere della prova, giacché, in tal caso, competerà all’accipiens indebiti dimostrare che sussistono circostanze idonee ad escludere la ripetizione, come il fatto che il pagamento sia stato effettuato sulla base di un valido vincolo contrattuale[79], che questo rappresenti l’adempimento di un’obbligazione naturale oppure che sia stato fatto per spirito di liberalità (nel qual caso, ad ogni modo, salvo il caso di res di modico valore, occorrerà rispettare i requisiti formali dettati in materia di donazione)[80].

Riassumendo brevemente i requisiti che devono essere integrati perché il garante possa esperire azione di ripetizione dell’indebito nei confronti del creditore che abbia ottenuto il pagamento in forza di una richiesta abusiva, possiamo stilare il seguente elenco:

  1. esistenza di una prestazione;
  2. carattere non dovuto della prestazione;
  3. errore del solvens (solo nel caso di indebito soggettivo).

Giacché, nel caso in commento, ricorre un evidente situazione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., il terzo requisito non dovrà essere integrato, essendo sufficiente che ricorrano i primi due.

Con riguardo al primo, esiste ovviamente una prestazione, dato che il garante ha pagato il creditore, corrispondendogli la somma di denaro che, in forza del contratto di garanzia, questi gli aveva richiesta.

In merito al secondo, difficile è dubitare del carattere non dovuto della prestazione, considerando il fatto che, non potendosi abusare della clausola “senza eccezioni” (o equipollente) inserita nel contratto di garanzia, il creditore sarà ammesso ad escutere la garanzia solo laddove la sua richiesta sia lecita in quanto derivante, ad esempio, da un inadempimento contrattuale del debitore.

Della possibilità per il garante di surrogarsi nei diritti che il creditore poteva vantare contro il debitore al tempo del pagamento, bisogna dire che, se l’operatività della surrogazione venisse, in astratto, ammessa, nulla impedirebbe, anche in questo caso, il subentro del garante nella posizione del creditore affinché sia quest’ultimo, poi, a far valere i suddetti diritti[81].

Tutto questo, naturalmente, vale tanto nel caso delle fattispecie ternarie – ove esiste un rapporto di mandato tra debitore e garante – che di quelle binarie – nelle quali non ricorre alcun rapporto tra garante e debitore del rapporto principale –.

  1. La tutela del garante in caso di invalidità del rapporto principale

Ricorrendo il caso in cui il rapporto intercorrente tra creditore e debitore principale sia invalido, bisogna considerare cosa può fare il garante solvens per recuperare quanto pagato. Anche in tal caso sarà molto utile un richiamo generale alle norme in tema di fideiussione.

Per il principio di accessorietà esistente tra l’obbligazione fideiussoria e quella principale e vista la funzione del contratto di fideiussione di garantire un debito altrui, se il contratto da cui sorge tale debito viene dichiarato nullo (o, anche, viene annullato), verrà conseguentemente meno la causa stessa della fideiussione, che per tale ragione dovrà considerarsi nulla (o, nel caso di annullamento, annullata)[82]. Ricorrendo tale circostanza, il fideiussore sarà legittimato ad eccepire al creditore che gli chiedesse il pagamento l’annullabilità o la nullità del titolo al fine di rifiutarsi di eseguire la prestazione promessa[83].

In caso di pagamento da parte del fideiussore, egli non potrà agire in surrogazione nei confronti del debitore principale, essendo invalido il titolo da cui l’obbligazione principale derivava[84]. Lo stesso può predicarsi in merito all’azione di regresso, non ammissibile a fronte di un pagamento non dovuto fatto dal fideiussore al creditore, giacché, almeno nel caso di nullità, l’obbligazione principale non può ritenersi sussistente al momento dell’esecuzione della prestazione[85].

Anche il contratto autonomo di garanzia, malgrado la sua indipendenza da quello principale, in caso di invalidità di quest’ultimo vedrebbe venire meno la sua causa, ragion per cui il pagamento non sarebbe più dovuto dal garante. Tuttavia, se questo è già intervenuto, deve concedersi a quest’ultimo un modo per recuperare quanto sborsato.

Di sicuro, in caso di invalidità del rapporto principale, non è possibile l’azione surrogatoria, non avendo il creditore dei diritti contro il debitore principale nei quali il garante solvens possa subentrare. Quest’ultimo, dunque, in caso di annullamento del rapporto principale, potrà ricorrere all’actio mandati contraria nei confronti del debitore (a meno che il mandato, oltre al rapporto principale, difetti o sia nullo – nel qual caso il garante potrà esperire un’actio negotiorum gestorum oppure l’azione generale di arricchimento, qualora della prima non ricorressero i presupposti –)[86].

  1. La tutela del garante in presenza di una controgaranzia

La situazione che bisogna adesso considerare è quella in cui ricorra una fattispecie c.d. quaternaria, vale a dire quella in cui via sia un quarto soggetto che garantisce il debito contratto dal debitore su incarico della prima banca da esso direttamente all’uopo incaricata.

Non di rado, in particolare nell’ambito dei rapporti internazionali, il garante del cliente-debitore è una banca, ma, molto più frequentemente, è, in realtà, una “prima” banca, che incarica poi una “seconda” banca di garantire il creditore-beneficiario. Volendo schematizzare la situazione, il garante si rivolge ad una banca del proprio paese perché presti una garanzia al suo creditore; la banca si rivolge allora ad un’altra, del paese del creditore, affinché sia questa a prestare garanzia a fronte del debito contratto dal primo ordinante[87].

Ciò che accade in tale circostanza nulla ha a che vedere con la fattispecie disciplinata dall’art. 1948 del codice civile e riguardante il fideiussore del fideiussore.

Mentre in quel caso, infatti, abbiamo una «particolare modalità della fideiussione tipica nella quale il “secondo” fideiussore garantisce l’adempimento dell’obbligazione del “primo” fideiussore e non l’adempimento dell’obbligato principale»[88] – assicurando, cioè, al creditore la realizzazione della prestazione che ha garantito il primo fideiussore, nell’ipotesi in cui questa prima garanzia non risultasse sufficiente[89] –, in quello che verrà nel prosieguo analizzato, invece, abbiamo, a ben vedere, un solo garante (la seconda banca), che, su incarico del primo mandatario, garantisce la prestazione del debitore principale, con  il quale, però, non è mai entrato in relazione.

La differenza sostanziale, in nuce, sta nel fatto che, mentre nel caso di fideiussio fideiussionis abbiamo due fideiussori – malgrado il secondo garantisca la prestazione del fideiussore di primo grado e non quella del debitore principale, ricorrendo, dunque, due garanti –, al ricorrere di un contratto autonomo di garanzia a fattispecie quaternaria il garante, in ultima istanza, è uno solo e garantisce direttamente il debitore principale, non già un altro garante.

Fatta questa premessa e potendo escludere qualunque rilevanza della normativa codicistica in materia di fideiussione, possiamo adesso dedicarci all’analisi di cosa avvenga dopo il pagamento fatto dal garante-seconda banca al creditore.

Come già vi è stato modo di vedere, tra debitore-ordinante e prima banca si instaura un rapporto di mandato; lo stesso avviene tra la prima banca – che, di regola, si presenta in nome proprio e non come rappresentante del cliente-debitore (e, a ben vedere, non potrebbe nemmeno farlo, dato che il rapporto di mandato che si è instaurato tra i due è sussumibile nella fattispecie tipica senza rappresentanza di cui all’art. 1705 c.c.) – e la seconda, che, proprio in forza di tale mandato, va a prestare garanzia in favore del creditore del rapporto principale.

Dinanzi alla richiesta di pagamento da parte del creditore, la seconda banca non può, ovviamente, ritenersi esonerata da un dovere di controllo circa la legittimità di questa e, se sussiste la possibilità, deve ad essa resistere[90].

Essendo inoltre essa obbligata come mandataria nei confronti della prima banca e non del debitore, successivamente al pagamento l’istituto di credito potrà agire in regresso, esercitando i diritti che gli derivano dal mandato, solo ed esclusivamente nei confronti della sua controparte contrattuale e non anche del debitore, non sussistendo tra i due alcun rapporto obbligatorio.

Anche l’esecuzione del mandato secondo la diligenza del bonus pater familias e l’osservanza dei doveri di diligenza sono poi da essa dovuti nei riguardi del suo mandante, ragion per cui un’eventuale pagamento fatto al beneficiario dinanzi ad una sua domanda palesemente fraudolenta andrà a costituire un grave atto di negligenza, che farà venir meno l’esperibilità di un’azione di regresso per il mandatario, tanto se la banca avesse avuto conoscenza della possibilità di opporre l’exceptio doli e non l’abbia fatto quanto nell’ipotesi in cui essa abbia ignorato tale circostanza per colpa grave.

Se dovesse perdere il diritto di regresso perché l’escussione operata dal creditore era, in ultima istanza, abusiva, competerà però alla banca l’esperimento dell’azione di ripetizione dell’indebito nei confronti di questo, come già detto al paragrafo precedente.

Dovendosi radicalmente escludere che in un caso del genere possa ricorrere una garanzia autonoma insciente debitore, non va riproposto quanto detto relativamente alla situazione di cui al § 1, lett. c), mentre un richiamo è doveroso rispetto a quanto detto in merito alle lettere d) ed e) del medesimo paragrafo.

Con riguardo all’operatività della surrogazione per pagamento, anche nell’ipotesi di controgaranzia essa potrebbe essere ammissibile. In fondo, con il pagamento della seconda banca, il debitore viene ancora una volta liberato dal suo obbligo sussistente nei confronti del debitore, per non parlare del fatto che esiste sempre la possibilità che il garante subentri al posto del creditore in forza dell’art. 1201 c.c. La seconda banca, detto ciò, ben potrebbe surrogarsi nei diritti che il creditore vantava nei confronti del debitore.

Nello specifico, essa avrebbe la facoltà di:

  1. agire in regresso contro il suo mandante, in forza dei diritti che le divengono dal mandato;
  2. agire in surrogazione nei confronti del debitore, esercitando i diritti che vantava il creditore.

L’ammissione della possibilità di surrogarsi nei diritti del creditore comporta in questo caso, a mio avviso, un ulteriore vantaggio, almeno da un punto di vista economico.

Così facendo, infatti, non dovendosi la seconda banca rivalere sul suo mandante e lasciare poi ad esso l’onere di agire ulteriormente in regresso nei confronti del debitore (o, comunque, agire direttamente contro il debitore esercitando i diritti del creditore principale), essa, esperendo azione diretta ed escutendo solamente il debitore del rapporto principale, andrebbe ad evitare inutili lungaggini ed il sorgere di costi ulteriori causati dall’esperimento di più azioni e di più numerosi trasferimenti di danaro tra soggetti diversi.

 

  1. La tutela del garante in caso di assicurazione o polizza fideiussoria

L’ultima delle fattispecie che rimane da indagare sotto il profilo dei rapporti che sussistono tra garante che abbia pagato e debitore è quella delle assicurazioni o polizze fideiussorie[91].

Per farlo dobbiamo partire dal constatare che a queste fattispecie risulterà applicabile, date le caratteristiche che queste presentano nella prassi, ora la disciplina del mandato, ora quella del “mandato di contratto di garanzia” a favore del terzo[92].

In tale seconda evenienza, si dovrà poi comprendere se si sia in presenza di una fideiussione in favore del terzo oppure ricorrano elementi tali da far presumere che la convenzione integri un contratto autonomo di garanzia, come nel caso deciso dalla Suprema Corte[93].

Focalizzandoci soltanto sulla fattispecie che, secondo il giudice della nomofilachia, sono inquadrabili nello schema del contratto autonomo di garanzia, possiamo passare ad analizzare le tutele del garante in ambedue le ipotesi sopra menzionate.

Con riguardo all’assicurazione fideiussoria che venga stipulata tra garante e creditore direttamente su invito espressamente rivolto dal debitore all’istituto di credito o assicurativo, si applica tra garante e debitore la disciplina dettata dal codice civile per il contratto di mandato, per cui si rinvia, per ciò che riguarda la rivalsa del primo sul secondo, a quanto già detto nei paragrafi precedenti.

Quando la stipulazione della polizza fideiussoria interviene ricorrendo allo schema negoziale del contratto a favore di terzo, si può, anche in tal caso, ritenere che tra garante e debitore sorga un rapporto di mandato non dissimile da quello che interviene nei casi analizzati ai paragrafi precedenti, giacché il contratto stipulato sarebbe sussumibile nello schema del mandato (a stipulare una fideiussione o un contratto autonomo di garanzia) a favore di terzo di cui all’art. 1723, c. 2, c.c., per cui, al momento del pagamento da parte del garante al creditore, si applicheranno, con riguardo al regresso e, comunque, alla rivalsa del garante sul debitore, le norme già esaminate ai paragrafi precedenti.

Più interessante è, in presenza di un contratto di assicurazione fideiussoria che integri un Garantievertrag, il discorso legato al tema della surrogazione del garante nei diritti del creditore.

La L. 10 giugno 1982, n. 348, ha disposto che, in tutte le ipotesi in cui sia prevista la costituzione di una cauzione reale o di una fideiussione in favore dello Stato o di qualsiasi altro ente pubblico, le compagnie assicurative rilascino, invece, una “polizza fideiussoria[94]”; la stessa legge, poi, ha stabilito la surrogazione del prestatore della garanzia nei diritti e nelle azioni di cui godeva il creditore beneficiario in caso di inadempimento del debitore principale e di pagamento della somma pattuita[95].

In questo caso, la surrogazione del solvens nei diritti che il creditore poteva vantare verso il debitore è specificamente sancita dalla legge.

Concludendo, quindi, possiamo dire che, nel caso delle polizze fideiussorie, mentre con riguardo al regresso del garante verso il debitore troveranno applicazione le stesse norme già considerate in tema degli altri contratti autonomi di garanzia, più semplice sarà l’ammissione dell’istituto della surrogazione per pagamento, dato che, con riguardo a tale schema negoziale, è stato lo stesso conditor legis a stabilire l’operatività dell’istituto in parola, almeno per quanto riguarda quelle rilasciate in favore dello Stato o di un altro ente pubblico, mentre resta senza specifica disciplina il caso delle polizze fideiussorie che, ad esempio, vengano stipulate tra soggetti privati e che non ineriscano ad operazioni economiche di cui sia parte uno dei soggetti prima menzionati.

In tal caso ritengo però possibile un’interpretazione estensiva della disposizione, quanto meno in applicazione di ciò che già si è detto in occasione dell’opportunità di ammettere l’operatività dell’istituto della surrogazione per pagamento nel caso degli altri contratti autonomi di garanzia. Seguendo un ragionamento che parta da quelli che sono i vantaggi e gli svantaggi connessi all’ammissione o meno dell’operatività dell’istituto in parola nel caso di polizze fideiussorie che riguardino rapporti intercorrenti tra soggetti privati, non si può non ritenere valido quanto precedentemente esposto, giungendo al risultato per cui sarebbe opportuno ammettere che la surrogazione operi anche in favore del garante autonomo che abbia pagato il creditore (privato) in forza del vincolo nascente da tale contratto di garanzia.

In fondo, alla stessa conclusione si può pervenire facendo applicazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., visto anche che non pare possibile differenziare la situazione in cui si trova la banca che rilasci una polizza fideiussoria allo Stato (o ad altro ente pubblico) e quella dell’istituto di credito che, invece, garantisca un soggetto privato, dovendosi guardare, in questo caso, non già all’eventuale maggiore importanza del credito dello Stato rispetto a quello di un privato bensì all’importanza del diritto alla rifusione di quanto pagato dal garante a seguito del corretto adempimento dell’obbligo sussistente in capo a lui. Da questo punto di vista, garantire il credito vantato dallo Stato o quello di un soggetto diverso (nella specie, un privato) non fa poi molta differenza, per cui ritengo che un’interpretazione estensiva della norma – al fine di dare una regolamentazione anche ad una fattispecie che, altrimenti, rimarrebbe priva di qualsivoglia disciplina – risponda non solo alla necessità di applicare il principio costituzionale di uguaglianza ma anche ad esigenze di equità.


[1] Relativamente alla natura giuridica del rapporto intercorrente tra il debitore principale ed il garante autonomo al ricorrere di una convenzione negoziale qualificabile come Garantievertrag, si veda L. COLLURA, Introduzione alla figura del contratto autonomo di garanzia, in Rivista Cammino Diritto, 2019, 12, pag. https://www.camminodiritto.it/articolosingolo.asp?indexpage=4601.

[2] Per gli strumenti a disposizione del garante per evitare il pagamento al creditore quando questo si appalesi non dovuto v. M. RUGGI e G. SETTANNI, polizza fideiussoria, Garantievertrag e tutele per il garante, in I contratti, 2012, 813 ss.

[3] Vedi, ex multis, V. DE BONIS, Le polizze fideiussorie, in I nuovi contratti a cura di E. Napolillo, Piacenza, 2002, spec. 306; F. MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, 2a ed., Torino, 1995, spec. 387 ss.; F. MASTROPAOLO – A. CALDERALE, Fideiussione e contratti di garanzia personale, in I contratti di garanzia, a cura di F. Mastropaolo, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, Torino, 2006, spec. 612 ss.; G. STELLA, Le garanzie del credito, vol. 1, Fideiussione e garanzie autonome, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2010, 783 ss., spec. 785.

[4] G. STELLA, Le garanzie del credito, cit., 783.

[5] F. MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, cit., 391.

[6] F. MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, cit., 390 e 391.

[7] F. MASTROPAOLO – A CALDERALE, Fideiussione e contratti di garanzia personale, cit., 616. Per degli esempi di casi specifici in cui si riscontrò un malizioso sabotaggio delle trattative, vedansi Cass., 18 gennaio 1988, n. 340, e Cass., 30 marzo 1990, n. 2623.

[8] F. MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, cit., 392.

[9] A. GIUSTI, Il contratto autonomo di garanzia, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, vol. XVIII, tomo 3, La fideiussione e il mandato di credito, Milano, 1998, 346.

[10] Vedi, fra tutti, F. MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, cit., 393.

[11] Per un’attenta disamina, L. COLLURA, Introduzione alla figura del contratto autonomo di garanzia, cit., pag. https://www.camminodiritto.it/articolosingolo.asp?indexpage=4601.

[12] F, MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, cit., 387.

[13] Con riguardo al compenso va osservato che si è molto discusso se esso spetti in ogni caso in cui sia previsto oppure debba dipendere dal buon esito dell’affare: si deve allora rilevare al riguardo che la configurazione del contratto di mandato è compatibile con un’obbligazione di mezzi e non con una di risultato, anche se un accordo delle parti in senso opposto risulterebbe pienamente ammissibile (F. ALCARO, sub Artt. 1703 – 1741, in Commentario al codice civile diretto da E. Gabrielli,  Dei singoli contratti, a cura di D. Valentino, vol. 2, artt. 1655 – 1802, Milano, 2011, 398). Si veda a riguardo Cass., 27 giugno 1956, n. 2347, secondo la quale «il mandante è tenuto di regola a compensare il mandatario indipendentemente dal buon esito dell’affare – onde quest’ultimo, per ricevere il compenso, deve provare soltanto di aver eseguito l’incarico –. Ciò non esclude tuttavia che le parti possano derogare alla regola anzidetta, subordinando l’obbligo del pagamento al buon esito dell’incarico».Naturalmente, la determinazione della misura del compenso è lasciata all’autonomia privata. In difetto di una determinazione pattizia, però, essa viene determinata applicando alcuni criteri legali suppletivi (artt. 1709, 1733, 1740, c. 1, c.c.) che sono riconducibili a tariffe professionali, usi normativi ed al concetto di equità (F. ALCARO, sub Artt. 1703 – 1741, cit., 398).

[14] F. MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, cit., 387 e 388. L’actio mandati contraria è l’azione che, nel mandato di credito, spetta al mandatario nei confronti del mandante dopo che questi, concesso il credito al terzo e corrisposta la somma pattuita, voglia recuperare quanto sborsato proprio in attuazione del mandato. In particolare, la questione circa la possibilità di inquadrare il mandato di credito nel più ampio genus del mandato è abbastanza dibattuta, anche se la dottrina maggioritaria ritiene che il mandatum de pecunia credenda sia, non soltanto di nome, un vero e proprio mandato. È però da escludere che in questa figura si possa concretare un mandato con rappresentanza, ciò risultando in contrasto con l’espressa previsione dell’art. 1958 c.c., in ossequio al quale l’incaricato fa credito “in nome e per conto proprio”, mentre meno facile è muovere delle contestazione all’inquadramento nella species del mandato senza rappresentanza (così M. D’ORAZI FLAVONI, Fideiussione, mandato di credito, anticresi, in Trattato di diritto civile, diretto da G. Grosso e F. Santoro-Passarelli, vol. 5, fasc. IX, Milano, 1961, 56 e 57. Contra G. BOZZI, La fideiussione, le figure affini e l’anticresi, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. 13, Obbligazioni e contratti, tomo V, Torino, 1985, 274 e 275).

[15] G. MINERVINI, Il mandato, la commissione, la spedizione, in Trattato di diritto civile, diretto da F. Vassalli, VIII, 1, Torino, 1957, 114 ss.

[16] F. ALCARO, sub Artt. 1703 – 1741, cit., 396 e 397.

[17] Può risultare utile richiamare in proposito il testo dell’art. 1709 c.c. (molto significativamente rubricato “Presunzione di onerosità”), il quale dispone: «Il mandato si presume oneroso. La misura del compenso, se non è stabilita dalle parti, è determinata in base alle tariffe professionali o agli usi; in mancanza è determinata dal giudice».

[18] Cass., 28 ottobre, 1989, n. 4514.

[19] F. ALCARO, sub Artt. 1703 – 1741, cit., 397 e 398.

[20] Cfr. F. MASTROPAOLO – A. CALDERALE, Fideiussione e contratti di garanzia personale, cit., 616, e F. MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, cit., 388.

[21] F. ALCARO, sub Artt. 1703 – 1741, cit., 397 e 399.

[22] Valga richiamare tanto l’art. 1705 c.c., sul mandato senza rappresentanza (a mente del quale «il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato»), quanto l’art. 1958 c.c. (che, circa gli effetti del mandato di credito, dice che colui che assume l’incarico di far credito al terzo lo fa in nome e per conto proprio). Sulla base del dettato di tali due articoli, arduo risulta sostenere la natura “altrui” del debito assunto dal mandatario, per cui potrebbe risultare difficile ammettere la surrogazione in tale contesto, non potendo non ricordare come la giurisprudenza abbia escluso che la surrogazione possa operare nel caso di pagamento di un debito proprio, in quanto presupposto essenziale di quella legale è che oggetto del pagamento sia stato un debito altrui e non anche un debito proprio (Cfr. App. Trento, 31 dicembre 1956, in Giustizia civile, Rep., 1957, voce «Obbligazioni contrattuali», n. 503). Per un attento approfondimento circa la natura giuridica del mandato di credito, si veda M. D’ORAZI FLAVONI, Fideiussione, mandato di credito, anticresi, cit., 56 e 57.

[23] Certamente la risposta non è da ritenere valida in maniera universale ed in termini assolutamente generalizzanti, giacché bisogna considerare, caso per caso, il diritto positivo del paese in cui la garanzia sia stata rilasciata e che a questa sia dunque applicabile, il quale potrebbe andare naturalmente a prevale su tali argomenti per quanto essi siano astrattamente logici.

[24] In merito può essere utile richiamare i risultati cui è addivenuta la giurisprudenza (Cass., 19 marzo 1993, n. 3291), secondo la quale la clausola di pagamento “a prima richiesta” che sia stata pattuita in deroga all’opponibilità da parte del fideiussore di eccezioni attinenti al rapporto garantito non va in alcun modo ad elidere la causa del debito di garanzia ed il suo legame con quello principale. Ordunque, la mancanza di accessorietà di una garanzia autonoma rispetto al rapporto principale non significa che tra i due non sussista comunque un legame (che giustifica, dopotutto, anche l’opponibilità della exceptio doli) sul quale poter basare l’assunto cui la presente nota si riferisce.

[25] M. FRAGALI, Della fideiussione, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Libro quarto, Delle obbligazioni, Fideiussione, mandato di credito, Art. 1936 – 1959, Bologna-Roma, 1957, 357.

[26] F. MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, cit., 389. Vedi, però, M. FRAGALI, Della fideiussione, cit., 358, per il quale il pagamento fatto dal mandatario libera il debitore principale estinguendo definitivamente la sua obbligazione. Per questo motivo, se vogliamo ammettere la surrogazione del garante autonomo nei diritti del creditore, dobbiamo ritenere che il suo pagamento estingua l’obbligazione solo in senso soggettivo e non anche in quello oggettivo.

[27] Su veda sul punto F. MACARIO, La fideiussione, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, I singoli contratti, vol. 10, Garanzie personali, Torino, 2009, 246 e 247, che, parlando di come il fideiussore subentri nei diritti che il creditore soddisfatto vantava verso il debitore, dice «sin troppo evidente la ratio della surrogazione, ravvisabile nella circostanza che l’adempimento del fideiussore non determina l’estinzione dell’obbligazione (del debitore); il rapporto principale continua infatti a essere produttivo di effetti. Sul piano dei principi, il creditore può dirsi soddisfatto delle proprie ragioni, non in virtù dell’adempimento degli obblighi derivanti dal rapporto principale, bensì per mezzo dell’esecuzione della obbligazione di garanzia. Poiché il debitore rimane inadempiente, l’obbligazione dovrà essere comunque da costui adempiuta e, mutando il soggetto attivo del rapporto di credito, nella combinazione della disciplina prevista dagli artt. 1203 e 1949, il destinatario del pagamento sarà a quel punto il fideiussore». Tale ragionamento è in linea di principio applicabile, a mio parare, anche alla figura dei contratti autonomi di garanzia: in fondo, anche qui, in seguito al pagamento da parte del garante, il creditore vede soddisfatte le sue ragioni in forza dell’esecuzione del rapporto di garanzia e non certo di quello principale, ragion per cui non è fuori luogo ritenere che il debitore rimanga comunque tenuto ad adempiere la sua obbligazione e, non potendo più farlo nei confronti del creditore (che, ormai, non potrebbe più nemmeno chiederlo), dovrà adempiere in favore del solvens che avrà preso il posto del vecchio creditore. Qualche voce in dottrina (A. GIUSTI, Il contratto autonomo di garanzia, cit., 346) ammette la surrogazione ex artt. 1203, n. 3), e 1299 c.c. A ben vedere, poi, ammettere la surrogazione del garante nelle ragioni che il creditore aveva contro il debitore porterebbe i vantaggi tanto auspicati da chi si occupa della c.d. analisi economica del diritto civile, quale la corretta allocazione del rischio di inadempimento: potendo il garante che ha pagato agire in surrogazione nei confronti del debitore-garantito, egli avrebbe “un’arma” in più per tutelarsi anche dinanzi a comportamenti fraudolenti del medesimo, col duplice vantaggio di ottenere un indubbio incentivo alla diffusione delle garanzie autonome e una reno ad eventuali comportamenti inadeguati delle parti in causa. In merito si veda R. COOTER – U. MATTEI – P. G. MONATERI – R. PARDOLESI – T. ULEN, Il mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile, II, Applicazioni, Bologna, 2006, passim, spec. 79 ss.

[28] F. MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, cit., 389.

[29] G. STELLA, Le garanzie del credito, cit., 42 ss.

[30] F. MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, cit., 391.

[31] La disciplina normativa vigente, malgrado risulti senz’altro meno lacunosa rispetto a quella contenuta dal codice civile del 1865, non ha tuttavia fornito alcuna nuova indicazione circa la delimitazione del settore di pertinenza altrui in cui il gestore sia legittimato ad ingerirsi. Le norme parlano genericamente di “affare”, espressione del tutto generica mutuata dal latino negotium, del quale risulta una traduzione, inteso nella sua più ampia accezione. Di questo dato di fatto, però, si sono preoccupati molto di più i giuristi tedeschi, i quali, avendo a disposizione lo stesso nomen (Geschäfts) sia per un “affare” di qualunque natura quanto per le manifestazioni di volontà dirette a produrre effetti giuridici, si sono trovati di necessità costretti al chiarimento che l’affare può venire gestito pure tramite atti di natura non contrattuale, né comunque negoziale, che possono consistere anche in comportamenti di carattere meramente materiale (cfr. U. BRECCIA, La gestione di affari, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, vol. 9, Obbligazioni e contratti, tomo I, 2a ed., Torino, 1999, 865).

[32] Nel codice napoleonico e nel codice civile italiano del 1865 il destinatario dell’intervento del gestore era designato come “proprietario”. Una simile espressione era evidentemente la traduzione del latino dominus, termine col quale si è ancora soliti indicare il soggetto al quale risulta imputabile in maniera diretta l’attività gestoria. Anche in altri ordinamenti, poi, si parla di Maître de l’affaire o di  Geschäftsherrn.

[33] U. BRECCIA, La gestione di affari, cit., 898.

[34] Il codice civile richiede espressamente che il gestore non sia tenuto per legge né, tanto meno, per convenzione contrattuale a gestire l’affare, pena ricadere in fattispecie diverse dalla gestione di affari altrui. Il requisito, tuttavia, merita qualche approfondimento. Non sempre, infatti, esso presenta un profilo così semplice, perché la gestione potrebbe anche essere assunta da chi sia legato all’interessato da un rapporto contrattuale, per cui l’indagine, in tal caso, va spostata al rapporto sussistente tra atto di gestione e rapporto contrattuale in parola, poiché sarà possibile configurare la gestione di affari altrui solo ove l’atto di gestione sarà risultato estraneo al, ed indipendente dal, rapporto.

Al ricorrere della situazione in cui, invece, esiste una relazione tra atto di gestione e rapporto obbligatorio che lega gestore e dominus negotii, nel senso che i due stiano in rapporto di causa ed effetto, è ovvio che non può esservi gestione di affari altrui.

[35] L. ARU, sub Artt. 2028 – 2032, in Commentario del codice civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, Libro IV, Delle obbligazioni, Art. 2028 – 2042, Bologna-Roma, 1981, 4 e 5; P. SCHLESINGER, Eccesso di mandato e gestione di affari, in Rivista di diritto commerciale, 1955, II, 94 – 99.

[36] U. BRECCIA, La gestione di affari, cit., 857 ss. La giurisprudenza, però, si dimostra contraria a tale tesi. Si veda in merito Cass., 14 luglio 1955, n. 2471.

[37]Azzone chiamava alieno il negozio che non appartiene a chi gerisce: «id est non eius qui gessit».

[38] L. ARU, sub Artt. 2028 – 2032, cit., 8 e 9.

[39] Tutte e tre le tesi, a rigor del vero, rinvengono la loro giustificazione già a livello di fonti romane, perché, mentre in alcuni testi antichi il requisito dell’animus aliena negotia gerendi è considerato come essenziale, altri fanno ritenere che da esso si possa benissimo prescindere.

[40] Cass., 12 maggio 1939, in Foro italiano, Mass., 1939, n. 1616; Cass., 13 febbraio 1940, in Foro italiano, Mass., 1940, n. 519; Cass., 29 luglio 1940, in Foro italiano, Mass., 1940, n. 2661.

[41] Cass., 24 febbraio 1938, in Foro italiano, Mass., 1938, n. 603.  La volontà, naturalmente, potrà risultare anche da circostanze di fatto e non dovrà necessariamente essere dichiarata (Cfr. Cass., 15 marzo 1964, in Foro italiano, Mass., 1964, n. 550).

[42] L. ARU, sub Artt. 2028 – 2032, cit., 10 ss.

[43] Molto delicato risulta il problema circa il criterio di valutazione dell’utilità. Alcuni hanno sostenuto che questa debba essere valutata in relazione alla volontà dell’interessato, per cui non sarebbe utile un affare intrapreso contro l’interesse di questo. Il problema di questa opinione, però, è che presuppone che il gestore sia a conoscenza della gestione e quindi, laddove il dominus ignori la gestione, dovrebbe essere considerata utile l’intrapresa di quegli affari che, se l’interessato avesse conosciuto, avrebbe intrapreso sulla base di una quanto mai astratta valutazione riferibile al bonus pater familias. Altri hanno invece ritenuto che fosse ammissibile in ogni caso solamente il secondo criterio. Una sintesi sulle opinioni dottrinali è stata condotta da L. ARU, sub Artt. 2028 – 2032, cit., 42.

[44] L. ARU, sub Artt. 2028 – 2032, cit., 41.

[45] U. BRECCIA, La gestione di affari, cit., 878.

[46] Cass., 25 luglio 1940, in Foro italiano, Mass., 1940, n. 2522.

[47] U. BRECCIA, La gestione di affari, cit., 879 e 880.

[48] Vedi Cass., 7 gennaio 1970, n. 35; Cass., 27 ottobre 1965, n. 2262.

[49] Cass., 7 gennaio 1970, n. 35; Cass., 27 ottobre 1965, n. 2262.

[50] Vedi F. MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, cit., 391.

[51] P. BASSO, sub Artt. 2041 – 2042, in Commentario al codice civile, a cura di P. Cendon, artt. 1987 – 2042, Promesse unilaterali, titoli di credito, gestione di affari, indebito, arricchimento senza causa, Milano, 2009, 1065.

[52] Vedi Cass., 5 maggio 1956, n. 1427.

[53] P. BASSO, Dell’arricchimento senza causa, cit., 1072.

[54] P. GALLO, Arricchimento senza causa, in Codice civile comm., diretto da P. Schlesinger, Milano, 2003, 49.

[55] Trib. Foggia, 19 aprile 1980, in Giurisprudenza di merito, 1981, 931.

[56] Cfr. Cass., 26 settembre 2005, n. 18785.

[57] App. Roma, 29 maggio 1971, in Giustizia Civile, Rep., 1971, voce «Energia elettrica», 216.

[58] Trib. Sup. delle acque, 6 dicembre 1999, n. 127, in Consiglio di Stato, 1999, II, 1903.

[59] V. FRATTAROLO, L’azione di arricchimento nella giurisprudenza, Padova, 1974, 44.

[60] Cass., SS. UU., 7 febbraio 2007, n. 2700, ha sentenziato che «l’azione generale di arricchimento ha come presupposto che la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro sia avvenuta senza giusta causa, per cui, quando questa sia invece la conseguenza di un contratto o comunque di un altro rapporto, non può dirsi che la causa manchi o sia ingiusta, almeno fino a quando il contratto o altro rapporto conservino efficacia obbligatoria».

[61] Cass., 12 marzo 2001, n. 361.

[62] Per maggiori chiarimenti in merito ai requisiti ed alla casistica giurisprudenziale, si veda l’attenta ricostruzione fatta da P. BASSO, Dell’arricchimento senza causa, cit., 1072 ss.

[63] P. GALLO, Arricchimento senza causa e quasi contratti, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Le fonti delle obbligazioni, vol. 2, 2a ed., Torino, 2009, 29 e 126.

[64] Cass., SS. UU., 7 febbraio 2007, n. 2700.

[65] Anche se, certamente, la fideiussione rilasciata all’insaputa del debitore non è la regola nella prassi commerciale, ben si può ipotizzare il caso di un soggetto che, spinto dalla volontà di adempiere semplicemente ad un dovere morale (i.e., per ragioni di pietas, amicitia, humanitas), garantisca sua sponte e senza avvisare il debitore, così da evitargli ogni forma di imbarazzo, il debito da questi contratto. Ad esempio, tale situazione potrebbe ricorrere laddove un genitore, all’insaputa del figlio, garantisca il debito che questi ha nei confronti di una banca e che ha contratto per acquistare la sua prima casa.

[66] G. STELLA, Le garanzie del credito, cit., 37. Così anche F. MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, cit., 224 e 390.

[67] G. STELLA, Le garanzie del credito, cit., 37.

[68] G. STELLA, Le garanzie del credito, cit., 433.

[69] F. MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, cit., 390 e 391. Per una più attenta analisi circa i presupposti di funzionalità degli istituti della gestione di affare altrui e dell’arricchimento senza causa nell’ambito delle garanzie autonome si rimanda ai due paragrafi precedenti, dove essi sono già stati oggetto di specifica trattazione.

[70] G. STELLA, Le garanzie del credito, cit., 415 ss.

[71] F. MASTROPAOLO – A. CALDERALE, Fideiussione e contratti di garanzia personale, cit., 616 e 617.

[72] F. MASTROPAOLO – A. CALDERALE, Fideiussione e contratti di garanzia personale, cit.,  617.

[73] G. STELLA, Le garanzie del credito, cit., 433.

[74] G. BENATTI, Il contratto autonomo di garanzia, in Banca borsa e titoli di credito, I, 1982, 185.

[75] In tal senso, in dottrina, G. B. PORTALE, Nuovi sviluppi del contratto autonomo di garanzia, in Banca borsa e titoli di credito, 1985, pt. I,, 178. In sede di legittimità si veda invece Cass., 6 ottobre 1989, n. 4006 , secondo la quale «quando la banca esegue […] un pagamento cui non era tenuta alla stregua del contratto di garanzia […] la legittimazione all’esercizio della condictio indebiti compete alla stessa banca, come in ogni ipotesi in cui l’indebito ha fondamento nel testo della garanzia».

[76] F. MASTROPAOLO, I contratti autonomi di garanzia, cit., 392.

[77] Tale requisito si trova già in diritto romano e aveva la funzione di configurare la possibilità di ottenere la restituzione di quanto pagato donandi causa. La tradizione ha spesso identificato la mancanza di un errore nell’esistenza di una causa donandi, dicendo che chi paga con la consapevolezza del carattere non dovuto della prestazione starebbe effettuando un’elargizione a titolo gratuito. Tuttavia, però, non sempre la mancanza di un errore coincide con la volontà di effettuare una donazione: si può pagare, ad esempio, per evitare l’applicazione di sanzioni (vedi Cass., 15 novembre 1994, n. 9624) o perché costretti da un’ingiusta sentenza provvisoriamente esecutiva o perché spinti dal timore causato dall’effetto di minacce o perché si intende adempiere ad un’obbligazione naturale, e così via. Oltretutto, va considerato che lo spirito di liberalità non può essere sufficiente a rendere valida l’attribuzione, risultando a tale scopo necessaria l’accettazione del donatario ed il rispetto delle regole formali prescritte dalla legge (così P. GALLO, Arricchimento senza causa e quasi contratti, cit., 134 e 135).

[78] Si veda pure F. CARNELUTTI, Prova dell’errore nella ripetizione dell’indebito, in Rivista di diritto processuale, 1938, II, 83. Si consideri, ciononostante, che recentemente la giurisprudenza di legittimità ha ammesso ai sensi dell’art. 2033 c.c. la ripetizione di un pagamento non spontaneo del debito altrui (Cass., 10 marzo, 1995, n. 2814, per la quale «quando il pagamento del debito altrui sia “consapevole”, ma non “spontaneo”, essendo stato effettuato a causa di un comportamento illegittimo del creditore, si deve escludere la ricorrenza dell’indebito soggettivo ex art. 2036 c.c., difettando l’errore scusabile, e può ammettersi, invece, l’esistenza di un debito che, trattandosi di pagamento privo di causa debendi e non eseguito con la volontà di estinguere l’altrui debito, rientra nella previsione generale dell’art. 2033 c.c.»).

[79] Cass., 6 dicembre 1974, n. 4030.

[80] P. GALLO, Arricchimento senza causa e quasi contratti, cit., 134 ss.

[81] M. CANTILLO, Il pagamento con surrogazione, cit., 1100 e 1101, sostiene che «la surrogazione va ammessa anche nel caso di indebito soggettivo ex parte solventis, in quanto il solvens, indipendentemente dalla possibilità di ripetere il solutum nei confronti del creditore […] resta […] surrogato nelle ragioni del creditore verso l’effettivo debitore». In giurisprudenza si veda App. Brescia, 28 ottobre 1960, in Giurisprudenza italiana, 1962, I, 2, 110.

[82] G. STELLA, Le garanzie del credito, cit., 251. Si veda, in merito, il disposto dell’art. 1939, parte I, c.c.

[83] Secondo G. BOZZI, La fideiussione, le figure affini e l’anticresi, cit., 220, è legittimo ritenere che il fideiussore compulsato possa agire in giudizio per ottenere una pronuncia volta a far dichiarare l’invalidità della fideiussione sulla scorta del vizio dell’obbligazione principale, non essendovi un valido motivo per cui questi debba subire l’inerzia in tal senso del debitore principale.

[84] In questo senso Cass., 25 novembre 1986, n. 6929.

[85] Così Cass., 7 ottobre 1967, n. 2334.

[86] A. GIUSTI, Il contratto autonomo di garanzia, cit., 346. Per l’analisi delle norme in tema di azione generale di arricchimento e di gestione di affari altrui si rimanda a quanto già detto nei paragrafi precedenti.

[87] F. MASTROPAOLO – A. CALDERALE, Fideiussione e contratti di garanzia personale, cit., 566 e 567.

[88] Cass., 22 maggio 2000, n. 6613.

[89] G. ARANGIO, della fideiussione, in Commentario al codice civile a cura di P. Cendon, artt. 1882 – 1986, Assicurazione, giuoco e scommessa, fideiussione, transazione, cessione di beni, Milano, 2010, 990.

[90] Un problema sollevato da G. B. PORTALE, Le garanzie bancarie internazionali, in Quaderni di Banca, borsa e titoli di credito, Milano, 1989, 28, riguarda fino a che punto la seconda banca possa però resistere all’ordine della prima di soddisfare il creditore, salvo il successivo rimborso, o all’ordinante-debitore, che la inviti a pagare dietro corresponsione del tantundem di quanto erogato. In merito, F. MASTROPAOLO – A. CALDERALE, Fideiussione e contratti di garanzia personale, cit., 567, escludono che l’ordinante possa rivolgere un invito alla banca garante, giacché egli risulta estraneo al contratto stipulato tra le due banche, non dovendosi confondere il piano del collegamento economico dei rapporti quadrangolari con quello del collegamento giuridico. In fondo, il contratto di garanzia concluso tra la seconda banca ed il creditore risulta essere, nei confronti del debitore, res inter alios acta (per cui non troverebbe applicazione l’art. 1717, c. 4, c.c., che dispone che il mandate può agire direttamente contro il sostituto del mandatario). Come scrive però F. ALCARO, sub Artt. 1703 – 1741, cit., 391: ex art. 1856, c. 2, c.c., se l’incarico che il cliente abbia conferito alla banca deve essere eseguito in una piazza dove di questa non esistono filiali, la stessa può affidare l’esecuzione ad un’altra banca. La giurisprudenza (Cass., 17 settembre 1993, n. 9584, ha allora ritenuto che, in un caso del genere, la prima banca risponda: a) per colpa nella scelta del sostituto e nell’invio di istruzioni idonee a consentire l’esecuzione dell’incarico, ex art. 1717, cc. 2 e 3, c.c.; b) per il ritardo nella comunicazione al mandate dell’avvenuta esecuzione dell’incarico, ex art. 1717, c. 3, c.c.; c) per omessa diligenza, ad esempio perché non si è attivata, anche vigilando sul sostituto, per assicurarsi che l’esecuzione dell’incarico concretizzasse anche un corretto espletamento del mandato e dunque comportasse il vantaggio che con esso il mandate voleva perseguire. Oltretutto, dice sempre lo stesso Autore nel prosieguo, la giurisprudenza ha riconosciuto, in tal caso, l’azione diretta del mandante verso il sostituto del mandatario ex art. 1717, c. 4, c.c. Bisognerà, in ogni caso, distinguere a seconda che si tratti di sostituzione oppure di submandato: mentre nella sostituzione, di fatti, il sostituto di obbliga ad eseguire l’incarico nei confronti del mandate, il submandatario si obbliga solo nei confronti del mandatario-submandante , per cui solo nel primo caso si potrà ammettere azione diretta del primo debitore nei confronti del secondo istituto di credito (R. CLARIZIA, Sostituzione e submandato, in Banca borsa e titoli di credito, 1973, II, 68).

[91] Il contratto de quo può essere stipulato secondo due modalità: a) la banca o la compagnia assicuratrice, su incarico del debitore principale, stipula un contratto di garanzia con il creditore, nel qual caso può ricorrere tanto una fideiussione quanto un Garantievertrag, a seconda delle clausole inserite nel medesimo; b) il debitore principale e il garante stipulano il contratto “a favore” del creditore, nel qual caso si può facilmente rinvenire in tale convenzione negoziale lo schema del contratto a favore del terzo (nello specifico, una fideiussione o un contratto autonomo di garanzia, in base alle clausole in concreto volute dalle parti) (in tal senso v. Cass., 17 giugno 1957, n. 2259). Per un elenco di casi in cui il negozio sarà da ricondurre tra i contratti autonomi di garanzia: Cass., SS. UU., 18 febbraio 2010, n. 3947: «[…] la clausola “a prima richiesta e senza eccezioni” dovrebbe di per sé orientare l’interprete verso l’approdo alla autonoma fattispecie del Garantievertrag, salva evidente, patente, irredimibile discrasia con l’intero contenuto “altro” della convenzione negoziale»; Cass., 28 ottobre 2010, n. 22107, per cui la polizza che contiene la clausola “a prima richiesta”, nonostante sia chiamata anche “fideiussoria”, non è soggetta alla disciplina ricavabile dagli artt. 1941 e 1945 c.c. ma costituisce un contratto autonomo di garanzia, con la conseguenza che il termine per l’escussione della garanzia, fissato dall’art. 1957 c.c., non troverà applicazione; Cass., 5 aprile 2012, n. 5526; Cass., 13 gennaio 2017, n. 7884; Cass., 19 febbraio 2019, n. 4717; Cass., 27 marzo 2019, n. 12884; Trib. Roma, 15 novembre 1996, in Banca borsa e titoli di credito, 1998, 197; Trib. Milano, 19 maggio 2015, in IlSole24Ore, Mass. Rep. Lex24; App. Napoli, 25 novembre 2015, in IlSole24OreQuotidiano del Diritto.

[92] F. ROCCHIO, La promessa con funzione di garanzia, cit., 128 e 129; L. COLLURA, Introduzione alla figura del contratto autonomo di garanzia, cit., pag. https://www.camminodiritto.it/articolosingolo.asp?indexpage=4601. Benché, nel nostro ordinamento, il contratto abbia forza di legge soltanto fra le parti e, in forza del disposto dell’art. 1372 c.c., non produce alcun effetto rispetto ai terzi, come insegna il brocardo latino res inter alios acta tertio neque nocet neque prodest (V. OTTANI SCONZA, sub Del contratto a favore di terzi, in Commentario al codice civile, a cura di P. Cendon, artt. 1343 – 1469, Contratto in generale, vol. 2, Interpretazione, effetti, rappresentanza, simulazione, invalidità, risoluzione, Milano, 2010, 803), argomentando a partire dalla generale previsione del contratto a favore di terzi di cui all’art. 1411 ss. c.c., si afferma che «la generale previsione normativa del contratto a favore di terzi esclude che si possa attribuire ad esso un carattere di eccezionalità, tale figura conferma piuttosto che il nostro ordinamento ha abbandonato una rigida delimitazione del principio della relatività del contratto ammettendo che il contratto possa produrre effetti favorevoli in capo al terzo. Questa possibilità non assoggetta il terzo all’arbitrio altrui in quanto l’effetto si produce solo se favorevole e salva comunque la facoltà di rifiuto» (C. M. BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, 2a ed., Milano, 2000, 567). La definizione che si può dare del contratto a favore di terzo, dunque, sarebbe quella di quel contratto che, benché conchiuso tra due persone, va in realtà ad attribuire un diritto ad un terzo che non ha preso in alcun modo parte, né direttamente né per via indiretta, alla sua conclusione e che attribuisce a questo terzo un diritto suo proprio, senza cioè che questo possa venire considerato come un diritto precedentemente spettante al promissario contraente e dal terzo esercitato solo in sua vece od a questo ceduto (G. MIRABELLI, sub Artt. 1411 – 1413, in Commentario del codice civile, redatto a cura di magistrati e docenti, libro IV, tomo II, titolo II, Delle obbligazioni, Dei contratti in generale, Artt. 1321 – 1469, 3a ed., Torino, 1980, 438 e 439). Le norme che lo riguardano, naturalmente, nonostante l’esistenza di fattispecie tipiche specificamente regolate dalla legge di contratto a favore di terzo, «si offrono per essere applicate, tendenzialmente all’infinito, a tutte le fattispecie contrattuali tipiche e non che, in conformità con la volontà delle parti, realizzano una deviazione degli effetti nel patrimonio di un terzo estraneo» (V. OTTANI SCONZA, Del contratto a favore di terzi, cit., 829). In giurisprudenza, Cass., 17 giugno 1957, n. 2259; Cass., 24 dicembre 1992, n. 13661.

[93] Cass., SS. UU., 18 febbraio 2010, n. 3947: «[…] la clausola “a prima richiesta e senza eccezioni” dovrebbe di per sé orientare l’interprete verso l’approdo alla autonoma fattispecie del Garantievertrag, salva evidente, patente, irredimibile discrasia con l’intero contenuto “altro” della convenzione negoziale». Conforme Cass., 19 febbraio 2019, n. 4717.

[94] Così facendo, il conditor legis dimostra chiaramente di aver voluto fare riferimento ad un contratto autonomo di garanzia, non potendosi altrimenti spiegare come esso dovrebbe porsi come giuridicamente alternativo ad una fideiussione.

[95] C. BOTTA, Le polizze fideiussorie, cit., 171. Il principio in parola è sempre riprodotto nelle condizioni generali di assicurazione che regolano le polizze cauzionali, nel testo delle quali si trova sempre una clausola contenente la previsione per cui «l’assicuratore è surrogato, nei limiti della somma pagata al beneficiario, in tutti i diritti, ragioni ed azioni verso il contraente, suoi successori ed aventi causa a qualsiasi titolo». Una previsione simile si ritrova, sotto l’assai pregnante rubrica “Surrogazione”, all’art. 8 del Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate 10 giugno 2004, in Gazzetta Ufficiale 15 giugno, n. 138, Approvazione dello schema di fideiussione o polizza fideiussoria per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto, nel quale si può leggere: «La Società o Banca è surrogata, nei limiti delle somme pagate all’Amministrazione finanziaria, in tutti i diritti, ragioni ed azioni verso il Richiedente, i suoi successori ed aventi causa. L’Amministrazione finanziaria faciliterà le operazioni di recupero, fornendo alla Società o Banca tutti gli elementi in suo possesso».

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