Trust: impatto fiscale in Italia

La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha esaminato, con ordinanza n. 10076 del 2024 l’applicazione dell’imposta sulle donazioni e successioni nel trust.

Corte di Cassazione-sez. V civ.- Ord. n. 10076 del 15-04-2024

La questione

Un contribuente aveva presentato un ricorso presso la Commissione Tributaria Provinciale avverso un avviso di liquidazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, relativo ad un incremento d’imposta della donazione per un trust. Il trust mirava al trasferimento di quote di partecipazione societaria ad un trustee, con beneficiari tra cui il fondatore, la sua coniuge e il figlio. L’accoglimento del ricorso da parte della Commissione ha indotto l’AdE a impugnare la decisione portando il caso dinanzi alla Commissione Regionale, che confermava la validità dell’appello presentato da quest’ultima nonostante la mancanza di una delega specifica esibita durante il processo. La decisione ha stabilito che il trust era soggetto all’imposta sulle donazioni e successioni, data la natura di segregazione dei beni. Per questi motivi, il contribuente ha presentato un ricorso per Cassazione.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 112 c.p.c., in merito alla richiesta di annullamento dell’avviso di accertamento per vizio di legittimazione del soggetto che lo aveva sottoscritto.
Il secondo motivo ha sollevato la violazione dell’art. 42 del D.p.R. n. 600/1973, concernente la validità della sottoscrizione dell’avviso di accertamento originariamente impugnato.
Il terzo motivo ha riguardato la violazione dell’art. 2, commi 47-49, del decreto legislativo 24 novembre 2006, n. 262, relativamente all’applicazione illegittima dell’imposta sulla costituzione dei vincoli di destinazione, in contrasto con la disciplina armonizzata sui conferimenti di capitale della Direttiva 2008/7/CE del 12.2.2008.
Il quarto motivo ha sollevato la questione pregiudiziale di interpretazione degli artt. 2, 3 e 5 della Direttiva 2008/7/CE del 12.2.2008, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali.
Il quinto motivo ha lamentato a violazione dell’art. 2, commi 47-49, del d.lgs. 24 novembre 2006, n. 262, riguardante l’applicazione illegittima dell’imposta sulla costituzione dei vincoli di destinazione.
Il sesto motivo ha denunciato la violazione degli artt. 6 della Direttiva 2008/7/CE del 12.2.2008 e 10, comma 1, n. 4, del d.P.R. n. 633/1972, riguardante l’applicazione illegittima dell’imposta sulla costituzione dei vincoli di destinazione.
Il settimo, ottavo, nono, decimo, undicesimo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 2, commi 47-49, del d.lgs. 24 novembre 2006, n. 262, in merito a varie disposizioni normative riferibili al trust.
Con il dodicesimo ed ultimo motivo, il ricorrente ha sollevato, in subordine, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 47 e 49 del d.lgs. del 24 novembre 2006 n. 262, per l’applicazione illegittima dell’imposta sul vincolo di destinazione in trust ad aliquota piena, senza riduzioni ed applicazioni di franchigie nei confronti del disponente che sia anche beneficiario del trust. Altresì, il ricorrente ha richiamato la legge n. 112 del 2016 al fine di contestare l’illegittima compressione del diritto di proprietà nel quadro dell’art. 1 prot. Add. CEDU. 

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Le argomentazioni dei giudici di legittimità  

I giudici di legittimità hanno dichiarato l’infondatezza dei primi due motivi di ricorso, esaminati in via congiunta. In primo luogo, i giudici hanno confermato che la decisione della CTR risulta  conforme all’orientamento giurisprudenziale, secondo cui gli uffici dell’AdE hanno la capacità di stare in giudizio, e la firma illeggibile di un funzionario non incide sull’ammissibilità dell’atto d’appello, fintanto che non sia contestata la sua provenienza dall’ufficio competente: trattasi di una presunzione prevista dall’art. 11, comma secondo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che attribuisce la rappresentanza processuale dell’Amministrazione all’ufficio competente.
I giudici hanno altresì osservato che l’atto di appello può essere validamente sottoscritto da un funzionario preposto al reparto competente, in quanto la delega da parte del direttore può essere conferita in modo generale mediante la preposizione del funzionario ad un settore specifico dell’ufficio. Pertanto, la firma di un delegato alla firma indica la costituzione in giudizio dell’ufficio competente. La contestazione della firma o la mancanza di una specifica delega può essere sollevata solo nel caso in cui l’avviso di accertamento sia nullo per mancanza di sottoscrizione del capo dell’ufficio o di un altro impiegato da egli delegato.
I giudici della Corte di Cassazione hanno reputato meritevole d’accoglimento il settimo motivo con l’assorbimento dei restanti (ad esclusione del primo e secondo sopra menzionati). Secondo la Corte, alla luce dell’art. 2 della Convenzione dell’Aja del 1985, ratificata con la legge n. 364 del 1989, il trust è un negozio giuridico istituito da una persona, il disponente, che affida dei beni a un trustee nell’interesse di un beneficiario o per uno scopo. Osservano i giudici che l’istituzione e la destinazione dei beni nel trust non comportano un aumento effettivo di ricchezza né per il trustee né per il disponente. Inoltre, l’apposizione del vincolo sui beni non genera un incremento patrimoniale definitivo per il trustee ma limita il suo potere di disposizione e separa i beni conferiti dai suoi beni personali. Pertanto, la neutralità fiscale del trust è giustificata dalla sua strumentalità e dalla sua natura di separazione patrimoniale, con l’effettivo aumento patrimoniale che avviene solo quando il trust ha raggiunto il suo scopo.
I giudici hanno chiarito che la “segregazione”, risultato naturale del vincolo di destinazione, non implica alcun trasferimento o arricchimento effettivo, che avviene solo a favore dei beneficiari successivamente, soggetti poi al pagamento dell’imposta in proporzione (cfr. Corte di Cassazione, Sez. 5, sent. n. 21614 del 26/10/2016). La costituzione del trust, come avviene per i vincoli di destinazione, ha unicamente un effetto “segregante” sui beni eventualmente conferiti, poiché il trustee non ne diviene proprietario ma solo amministratore. I beni sono temporaneamente preservati fino al trasferimento effettivo ai beneficiari secondo il programma negoziale stabilito per la donazione indiretta. In questa situazione, non c’è un vero trasferimento imponibile, poiché manca il presupposto impositivo della liberalità, che richiede un reale arricchimento attraverso un trasferimento effettivo di beni e diritti. Questa interpretazione rispetta i principi costituzionali, che richiedono che l’imposizione sia ragionevole e basata su un effettivo indice di ricchezza (cfr. Corte di Cassazione, Sez. 5, sent. n. 29507 del 24/12/2020).
Nello specifico, la Corte ha affermato che l’istituzione del trust né il conferimento dei beni in esso integrano un trasferimento imponibile, poiché costituiscono atti neutri che non determinano un effettivo passaggio di ricchezza stabile. Il trustee acquisisce la proprietà dei beni conferiti solo in via strumentale e temporanea, senza un reale arricchimento. Pertanto, l’imposta sulle successioni e donazioni non si applica alla mera costituzione del trust, ma solo al trasferimento effettivo dei beni ai beneficiari.

Conclusioni

Per questo motivo, in linea con l’art. 53 Cost., l’applicazione dell’art. 2, comma 47, cit., deve essere circoscritta e correlata alla capacità contributiva derivante dal trasferimento del bene. Quando il conferimento costituisce un atto neutro, che non genera un reale e stabile incremento patrimoniale al beneficiario, non si configura un trapasso di ricchezza soggetto a imposizione indiretta.( cfr. Sez. 6, Ord. n. 13 del 04/01/2021)

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Nicola Tilli,
Avvocato in Milano dal 1996, Cassazionista, Founding Partner del network di studi legali internazionalistici Novastudia Professional Alliance. Autore di varie pubblicazioni per primarie case editrici giuridico-professionali. Ha collaborato negli ultimi venticinque anni con l’Istituto di diritto civile (cattedra di diritto comparato) Università Statale di Milano, Libera Università di Castellanza (LUIC), Università Bocconi di Milano, Università del Piemonte Orientale e con incarichi di docenza o lecturer presso Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino, LUISS di Roma, Università di Parma. Trainer di Business School Il Sole 24 Ore, IKN, AIIA (Ass. Internal Auditors). È consulente e DPO per primarie imprese.

Stefano Mingardi,
Dottore in giurisprudenza, dal 2011 è full-member di STEP (Society of Trustee and Estate Pratictioners) e dal 2014 dirige la Divisione Trusts – Pianificazione Patrimoniale e Attività Fiduciarie dello Studio Legale Associato Martinez & Novebaci di Milano.
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