Riduzione delle spettanze del 70% confermata dalla Cassazione

Per i giudici della Cassazione, la riduzione del 70% delle spettanze, decisa dai giudici di merito, non viola la legge. Essi hanno motivato ampiamente la riduzione, evidenziando la ridotta difficoltà delle cause, le loro similitudini, l’esito sfavorevole e la condizione della società debitrice.

Corte di Cassazione- II Sez. Civ.- ord. n. 19025 del 11-07-2024

La questione

Un avvocato ha richiesto, tramite ricorso ex art. 702-bis c.p.c., la condanna di una società in amministrazione giudiziaria al pagamento per dieci procedimenti giudiziari, in base al D.M. n. 55 del 2014.
La società resistente ha contestato l’importo del compenso, sostenendo che fosse eccessivo rispetto ai criteri legali, e ha argomentato che l’IVA non fosse dovuta al difensore.
Il Tribunale di Cosenza, con ordinanza, ha accolto parzialmente la richiesta dell’avvocato, dichiarandola in parte inammissibile e liquidando €8.558,95 per gli onorari, oltre agli accessori.
La società ha presentato ricorso per cassazione contro questa ordinanza, a cui l’avvocato ha risposto con controricorso.

I motivi di ricorso

Nel primo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Nonostante la richiesta dell’avvocato di applicare i valori medi del D.M. n. 55 del 2014 e la controparte avesse chiesto la riduzione dei valori minimi del 50%, i giudici di merito hanno ridotto i compensi al 70% delle tariffe minime.

La seconda contestazione ha riguardato la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la pronuncia extra petitum. Il tribunale ha calcolato un importo complessivo anziché suddividere i compensi per i singoli giudizi come richiesto dal ricorrente.

Il terzo motivo ha sottolineato la violazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. e del principio di non contestazione, a causa dell’omessa valutazione delle prove presentate nel primo grado riguardanti il valore delle controversie.

Il quarto motivo ha evidenziato la violazione dell’art. 4 del D.M. n. 55 del 2014 e dell’art. 2233 c.c. I giudici di merito hanno ridotto i compensi del 70% rispetto ai valori minimi, in netto contrasto con il D.M. n. 55 del 2014, modificato dal D.M. n. 37 del 2018, che prevede una riduzione massima del 50%.

Liquidazione delle spettanze di un avvocato

Per i giudici della Corte di Cassazione, il primo motivo è risultato infondato.

Secondo la loro consolidata interpretazione, la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato si verifica quando il giudice modifica gli elementi oggettivi dell’azione, emettendo una decisione diversa da quella richiesta, , andando oltre i limiti delle pretese delle parti.

Questo principio è strettamente legato al principio “iura novit curia” di cui all’art. 113, co. 1 , c.p.c., che consente al giudice di attribuire una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata, applicando le norme giuridiche appropriate alla concreta fattispecie.

In un procedimento legato alla liquidazione delle spettanze di un avvocato, qualsiasi contestazione, anche generica, sull’attività svolta impegna il giudice a verificare il quantum debeatur, senza violare l’art. 112 c.p.c. sicché la determinazione giudiziale del compenso spettante al professionista rientra nei poteri discrezionali del giudice, insindacabili in cassazione se adeguatamente motivati e conformi alle tariffe professionali.

Mentre, gli ermellini hanno considerato la fondatezza del secondo motivo.

Infatti, i giudici d’appello hanno violato il principio secondo cui la liquidazione dei compensi deve essere effettuata per ciascuna fase del giudizio, distinguendo ciascuna fase per verificare la correttezza dei parametri utilizzati. Inoltre, hanno superato i limiti della domanda, poiché il ricorrente aveva chiesto la liquidazione delle sole spettanze relative alla fase decisionale, ma i giudici hanno considerato tutte le fasi del giudizio.

Sul terzo motivo di ricorso, i giudici della Corte di Cassazione lo hanno considerato in parte inammissibile e in parte infondato.

L’art. 5, comma 2, del D.M. n. 55 del 2014 stabilisce che “nella liquidazione dei compensi a carico del cliente si ha riguardo al valore corrispondente all’entità della domanda. Si ha riguardo al valore effettivo della controversia quando risulta manifestamente diverso da quello presunto anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti. La Cassazione ha interpretato questo principio nel senso che il valore della causa si determina secondo le norme del c.p.c. relative alla competenza per valore, tenendo conto dell’oggetto della domanda al momento iniziale della lite. Tuttavia, il giudice può adeguare gli onorari al valore effettivo della controversia se esiste una manifesta sproporzione rispetto a quello presunto, verificando di volta in volta l’attività difensiva svolta dal legale.

 

Potere discrezionale del giudice nella liquidazione degli onorari

Anche il quarto motivo di ricorso è infondato.

I giudici della Suprema Corte hanno chiarito che i parametri previsti dal D.M. n. 37 del 2018 non sono applicabili nel caso di specie, poiché essi si applicano solo se la prestazione professionale non è completata alla data di entrata in vigore del decreto, anche se iniziata sotto la precedente regolamentazione.

Dunque, non può trovare applicazione il divieto contenuto nel D.M. n. 55 del 2014, modificato dal D.M. n. 37 del 2018, che impedisce di scendere al di sotto dei valori minimi in assenza di un accordo tra le parti.

Al contrario, si applica la versione precedente del D.M. n. 55 del 2014, che consentiva al giudice di considerare i valori medi delle tabelle e di aumentarli fino all’80% (100% per la fase istruttoria) o di diminuirli fino al 50% (70% per la fase istruttoria). Il giudice può derogare ai valori minimi e massimi previsti, a condizione che motivi adeguatamente la decisione.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, il potere discrezionale del giudice, limitato dai parametri minimi e massimi, non è soggetto a controllo di legittimità, purché la motivazione sia adeguata nel caso di aumento o riduzione degli importi riconosciuti, consentendo così il controllo delle ragioni dello scostamento.

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