Nella società odierna, per giungere alla conclusione di un contratto, si rende spesso necessario un periodo, più o meno esteso, di trattative, in quanto non sempre un contratto si presenta come il risultato di una istantanea ed immediata convergenza di due manifestazioni di volontà, anzi, soprattutto se economicamente rilevante, un contratto è sempre più il risultato di un graduale e progressivo avvicinamento delle volontà delle parti.
La fase prenegoziale è di fondamentale importanza ai fini della definitiva formazione di un contratto, dal momento che, proprio durante le trattative, le parti hanno modo di negoziare il contenuto dell’atto in formazione e di compiere una serie di accertamenti tecnici e legali per valutare l’effettiva convenienza dell’affare, la ricerca dei mezzi necessari per poter successivamente adempiere le prestazioni.
Ebbene, è proprio in ragione della complessità che contraddistingue la fase preparatoria di un contratto, che si manifesta l’importanza dell’istituto della responsabilità precontrattuale e della sua disciplina, la cui ratio è quella di tutelare la libertà negoziale dei soggetti nella fase di formazione ed esplicazione della loro volontà, e di sanzionare tutti i comportamenti contrari a buona fede, in grado di generare affidamenti o convinzioni infondate.
La responsabilità precontrattuale (o culpa in contrahendo) indica la responsabilità per lesione della libertà negoziale come conseguenza di un comportamento non conforme ai canoni di lealtà, correttezza e buona fede nella fase delle trattative e nella formazione del contratto[1].
In particolare, la responsabilità in parola non tutela l’interesse all’adempimento ma mira a tutelare l’interesse del soggetto a non essere coinvolto in trattative che, a causa del comportamento contrario a buona fede della controparte, conducono a un contratto invalido o alla mancata stipulazione dello stesso[2]. Ad esempio, nel caso in cui una parte abbia stipulato il contratto per effetto del dolo della controparte, l’autore del dolo risponderà per avere indotto in inganno la vittima a stipulare un contratto, che essa non avrebbe stipulato o che avrebbe stipulato a condizioni diverse[3].
Dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che il danno debba essere identificato con l’interesse negativo e cioè l’interesse a non essere leso nell’esercizio della sua libertà negoziale (il c.d. id quod interest contractum initum non fuisse)[4] e affermano che il conseguente obbligo risarcitorio consista nel ripristino della situazione patrimoniale in cui il danneggiato si sarebbe trovato se non si fosse impegnato nelle trattative, nel caso dell’art. 1337 c.c., ovvero se non avesse stipulato invalidamente il contratto, nell’ipotesi dell’art. 1338 c.c.
Di conseguenza, il danno subito dalla parte sarà commisurato non già all’interesse positivo, ossia all’interesse all’esecuzione del rapporto contrattuale, ma alla lesione del c.d. interesse negativo, inteso quale interesse a non stipulare un contratto invalido.
Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che il danno si commisura “non già ai vantaggi che sarebbero stati ottenuti ed alle perdite che sarebbero state evitate ottenendo l’esecuzione del contratto, ma alle perdite che non sarebbero state subite se le trattative non fossero proprio state iniziate, o se il contratto concluso si fosse rivelato efficace e quindi suscettibile di vantaggi”[5].
Il codice attuale fa espresso riferimento alla responsabilità precontrattuale negli artt.1337 e 1338 c.c.[6]
La giurisprudenza[7] e la dottrina maggioritaria[8] hanno ritenuto che nella prima disposizione di cui all’art. 1337 c.c. vi fosse un’enunciazione fondamentale del principio della responsabilità precontrattuale e che la successiva disposizione, di cui all’art. 1338 c.c., comportasse una specificazione del suddetto principio[9].
L’interesse protetto è quello della libertà negoziale della parte contraente nella sua autonomia contrattuale, lesa da un comportamento doloso o colposo ovvero mediante l’inosservanza del precetto di buona fede.
[1] C. M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, II ed., Milano, 2000, p. 155 e ss.; F. GALGANO, Diritto Civile e Commerciale, II, Le Obbligazioni e i contratti, I, Obbligazioni in genere, Contratti in genere, Padova, 1999, p. 55 e ss; A, TORRENTE E P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 1999, pag. 484; A. TRABUCCHI, Istituzione di diritto civile, Padova, 1999, p. 657.
[2] In altre parole, oggetto di tutela è l’interesse a non subire, in fase di trattativa e formazione del contratto, comportamenti iniqui che inquinino il regolare svolgimento del rapporto negoziale.
[3] C. M. BIANCA, op. cit., p. 156.
[4] Più precisamente, l’antico brocardo indica l’interesse a evitare il danno da mancata conclusione di un contratto per il quale sono state avviate le trattative. Per la dottrina v. G. PATTI– S. PATTI, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, in Commentario al codice civile di P. SCHLESINGER, Milano, 1993, p. 84; C. M. BIANCA, op. cit., p. 175; per la giurisprudenza v. Cass. civ. 13 aprile 1973, n. 1057, in Mass. foro. it.,1973; Cass. civ. 26 maggio 1992, n. 6294, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, p. 351 e ss.
[5] Cfr. Cass. civ. 11 maggio 1990, n. 4051, in Corr. giur. 1990, p. 832.
[6] Ai sensi dell’art. 1337 c.c.: “Le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto devono comportarsi secondo buona fede”. L’art. 1338 c.c., testualmente, recita: “La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per aver confidato senza sua colpa, nella validità del contratto”.
[7] Cfr., Cass. civ. 7 marzo 2001, n. 3272, in Giust. civ., 2001, I, p. 2109; Cass. civ., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 29724, sebbene sia intervenuta su una differente questione relativa al principio di non ingerenza tra le regole di validità e le regole di comportamento, ha lasciato intendere lo stretto legame tra l’art. 1337 c.c., che impone di osservare il canone di buona fede, e l’art. 1338 c.c., che sanziona l’omessa informazione in ordine a cause di invalidità, in quanto violazione della regola comportamentale di cui all’art. 1337 c.c.
[8] Per tutti v., C. M. BIANCA, op. cit., p. 156.
[9] Idem, p. 156.