La chirurgia estetica o plastica è una specializzazione medica che si differenzia per il particolare rigore dell’obbligo informativo dello specialista, obbligo informativo non limitato alla prospettazione del rischi, ma tale da dover contemplare anche la conseguibilità (o meno) di un miglioramento, in relazione alle aspettative estetiche del paziente, ed alle sue esigenze. Il paziente deve dunque essere completamente edotto non solo dei rischi, ma anche dei benefici.
La natura della prestazione del chirurgo plastico
Per quanto la distinzione fra prestazione di mezzi e prestazioni di risultato possa dirsi ormai superata, e rilevi solo a titolo nominalistico, la Suprema Corte ha in più occasioni (a partire dalla sentenza del 8 agosto 1985 n. 4394) qualificato la prestazione del chirurgo plastico come un’obbligazione di risultato.
In definitiva, il conseguimento di un risultato rappresenta la “cartina di tornasole” per valutare la correttezza dell’intervento estetico: questo vale massimamente negli interventi di natura “voluttuaria”, non necessari, cioè, da un punto di vista della cura medica.
Non mancano pronunce che invece la qualificano – la prestazione in parola – come di mezzi.
La chirurgia estetica soggiace al limite posto dall’art. 5 c.c., norma che consente gli atti di disposizione del proprio corpo, laddove non cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica o siano contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.
Il trattamento chirurgico, oltre a presupporre il pieno consenso informato del paziente, non si caratterizza per il requisito dell’urgenza, tipico di altri interventi sanitari.
Le pretese risarcitorie derivanti da errati interventi di chirurgia estetica possono essere assai ingenti, anche perché, al di là delle conseguenze che essi comportano, il rapporto che si instaura con il chirurgo estetico, per le aspettative che implica, è del tutto peculiare.
Ciò comporta la necessità di un’informativa corretta, veritiera e completa, comprensiva anche dei possibili esiti estetici negativi dell’intervento.
I postumi cicatriziali non danno luogo a responsabilità del chirurgo estetico, secondo maggioritaria giurisprudenza, se siano stati prospettati correttamente al cliente e non derivino da negligenza nell’eseguire l’intervento.
La chirurgia estetica è di vario tipo: può tendere a ricostruire una condizione somatica deteriorata (per esempio a causa di infortuni). Può, ancora, ricostruire difetti naturali dell’uomo. Può, da ultimo, correggere imperfezioni e via dicendo.
L’obbligo informativo del chirurgo estetico
Si diceva che centrale, nella chirurgia estetica, è il dovere di informazione gravante sul chirurgo estetico, nel senso che il paziente ha l’incontrastato diritto “di conoscere esattamente le modalità, i risultati prevedibili ed i rischi possibili dell’intervento […]. La mancata acquisizione del consenso informato del paziente costituisce fonte autonoma di responsabilità, a prescindere dal fatto che l’operazione sia stata eseguita correttamente da un punto di vista tecnico” (ex pluribus Corte App. Roma, sez. II, 9 ottobre 2008, Massima redazionale, 2008).
Devono dunque essere prospettati dal sanitario, non solo i rischi dell’intervento, ma la configurabilità di un effettivo miglioramento dell’aspetto fisico.
In un caso giudiziario, si è discusso in particolare delle cicatrici residuate, a seguito dell’intervento estetico, da una ballerina (e spogliarellista …), con conseguente riconoscimento di responsabilità al professionista, per non avere correttamente informato la paziente sul punto. Nel caso di specie, si è ritenuto che il professionista avrebbe dovuto, in particolare, esibire le fotografie relative ad interventi di analoga natura (Cass. 8 agosto 1984 n. 4394), per consentire alla paziente di essere edotta dei possibili rischi.
Si deve dunque prospettare, in ogni caso, da parte del sanitario, tutto quanto attiene alle possibilità di ottenimento del risultato perseguito.
L’informazione deve perciò concernere i “benefici, le modalità di intervento, l’eventuale possibilità di scelta tra diverse tecniche operatorie e, infine, i rischi preventivabili in sede post operatoria, necessità, quest’ultima, da ritenersi particolarmente pregnante nella chirurgia estetica” (Cass. Civ. 6 ottobre 1997 n. 9705).
Sarà il medico convenuto, di fronte all’allegazione (avversaria) del proprio inadempimento, a dovere allegare e provare di avere esaustivamente informato il paziente sui rischi e sulle modalità dell’operazione.
In ogni caso, l’esistenza di un consenso informato, anche se corretto e adeguato, non vale ad escludere di certo la colpa del medico che abbia operato negligentemente o imperitamente ovvero in violazione delle leges artis (Cass. Pen. sez. IV 21 dicembre 2012 n. 4541).
Il chirurgo plastico, infatti, risponde dei danni patrimoniali e non patrimoniali riportati dal paziente in seguito a non corretto intervento chirurgico (nella specie: di chirurgia setto rinoplastica), sul paziente spettando l’onere di provare il contratto e l’aggravamento della patologia ovvero l’insorgenza di un aggravamento e l’inadempimento del medico (Trib. Bari, sez. II, 23 giugno 2011, Massima Redazionale 2011).
Un riferimento deve essere operato, per quanto attiene al consenso informato, alle Sentenze di San Martino del 2019.
La sentenza della Cassazione in tema di “consenso informato” (la n. 28985/2019), valida anche per la chirurgia estetica, ha, dal canto suo, delineato in particolare i margini di inquadramento e di risarcibilità in materia di consenso informato quanto alle cure mediche e farmacologiche ed alla violazione del principio di autodeterminazione.
Quanto in particolare alla regolazione del principio inerente l’onere probatorio, la Corte ha chiarito che il paziente, che alleghi l’inadempimento del sanitario sarà onerato della prova del nesso causale. Il discostamento della scelta del paziente dalla valutazione di necessità / opportunità dell’intervento non corrisponde all’id quod plerumque accidit, anche se tale prova potrà essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il cd. “notorio”, le massime di esperienza e le presunzioni.
Questa sentenza va adattata alla chirurgia estetica in cui si tratta, per lo pi, di un’obbligazione di risultato.
In ogni caso la lesione del consenso informato equivale ad una violazione della libertà di autodeterminazione del paziente ed il medico è tenuto a tutte le informazioni sui rischi e sulle complicanze possibili dell’intervento.
La giurisprudenza più recente
È il caso di proporre, per completezza, la giurisprudenza più recente che è intervenuta su tali tematiche.
In una recente sentenza la Suprema Corte afferma che nella valutazione del danno derivante da chirurgia estetica malriuscito, vanno valutati anche i profili psichici e dinamico-relazionali:
In sede di valutazione equitativa del danno biologico derivante da un intervento di chirurgia estetica malriuscito, il giudice di merito deve valutarne unitariamente tutte le componenti, tenendo conto anche dei profili psichico e dinamico-relazionali. Cassazione civile sez. III, 24/10/2017, n.25109
Per quanto attiene alle conseguenze inerenti il danno alla vita di relazione, la Suprema Corte ha precisato quanto segue:
La valutazione del danno da vita di relazione costituisce un profilo giuridico e non medico-legale e riguarda l’aspetto dinamico del danno biologico, come lesione all’integrità psico-fisica del danneggiato. In tale prospettiva, il giudice è chiamato a considerare tutti i diversi profili del danno non patrimoniale derivante da errato intervento chirurgico, valutandoli complessivamente, in considerazione delle ripercussioni sia sul piano estetico che psichico e relazionale. Cassazione civile sez. III, 24/10/2017, n. 25109
Ancora, in tema di incompletezza del depliant informativo:
In tema di attività medico-chirurgica, il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, non essendo all’uopo idonea la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico, né rilevando, ai fini della completezza ed effettività del consenso, la qualità del paziente, che incide unicamente sulle modalità dell’informazione, da adattarsi al suo livello culturale mediante un linguaggio a lui comprensibile, secondo il suo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non adeguata l’informazione sui rischi connessi ad un intervento di cheratomia radiale, fornita ad una paziente mediante consegna di un “depliant” redatto dallo stesso oculista, che peraltro non riportava l’eventuale regressione del “visus”, statisticamente conseguente ad un simile intervento, anche quando correttamente eseguito). Cassazione civile sez. III, 04/02/2016, n.2177