Domande reciproche di risoluzione del contratto: è sempre necessario il grave inadempimento

La II Sezione Civile della Cassazione con la sentenza n. 17665 del 17.07.2017 ha confermato che in caso di reciproche domande di risoluzione per inadempimento deve comunque sussistere il requisito previsto dall’art. 1455 del c.c. che prevede la necessità della gravità dell’inadempimento.

La Corte ha inoltre sottolineato come in caso di domande di risoluzione contrattuale si possa accogliere l’una e rigettare l’altra, ma non anche respingere entrambe e dichiarare l’intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, in quanto una simile soluzione costituirebbe una violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato.

La normativa: l’importanza dell’inadempimento ex art 1455 cc

L’art. 1455 del codice civile prevede quale requisito indispensabile per procedere al rimedio risolutorio la gravità dell’inadempimento.

Gravità che si determina considerando la posizione di entrambe le parti, quindi sia l’inadempimento di una che l’interesse all’adempimento dell’altra.

La Cassazione nella recente sentenza ha ribadito che tale requisito deve sussistere anche nel caso di domande reciproche di risoluzione.

Il caso in esame

Nel caso di specie sottoposto al vaglio della Suprema Corte, a seguito della stipula di un contratto preliminare per la vendita di un immobile, la società promissaria acquirente conveniva in giudizio il proprietario promittente innanzi al Tribunale di Firenze al fine di ottenere la risoluzione del contratto preliminare e richiedere la restituzione del doppio della caparra versata.

Il convenuto richiedeva il rigetto della domanda attorea nonché l’accertamento del suo diritto a recedere ed a trattenere la caparra.

A seguito del rigetto del Tribunale di Firenze, la Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione proposta dalla società promissaria, dichiarando il contratto preliminare risolto consensualmente e condannando l’appellato alla restituzione della caparra.

Il promittente alienante proponeva dunque ricorso per Cassazione, in particolare rilevando un vizio di ultrapetizione avendo la Corte d’Appello ordinato la restituzione della caparra per “l’intervenuta risoluzione consensuale del contratto preliminare“, laddove tuttavia nella domanda attorea era stata richiesta la risoluzione per inadempimento del convenuto.

Reciproche domande di risoluzione per inadempimento: no alla risoluzione consensuale

La Cassazione ha in primo luogo rilevato che, in effetti, “dalla lettura delle conclusioni delle parti nei precedenti gradi di giudizio, emerge che le domande delle parti erano fondate sempre sull’inadempimento della controparte e che il profilo dello scioglimento consensuale non è mai stato effettivamente oggetto del contendere.

Ciò chiarito, secondo la Suprema Corte e in conformità a quanto disposto dalle Sezioni Unite, il giudice, adito con contrapposte domande di risoluzione per inadempimento del medesimo contratto, può accogliere l’una e rigettare l’altra, ma non anche respingere entrambe e dichiarare l’intervenuta risoluzione consensuale del rapporto.

Tale circostanza implica infatti una violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, mediante una regolamentazione del rapporto stesso difforme da quella perseguita dalle parti (vedi S.U., n. 329 del 15/1/1983).

Il contrasto giurisprudenziale in materia

Sul punto, in alcune occasioni le sezioni semplici avevano assunto posizioni diverse dalle Sezioni Unite richiamate nella sentenza in commento .

In particolare era stato sostenuto che in presenza di reciproche azioni di risoluzione del contratto, fondate da ciascuna parte sull’inadempimento dell’altra, il giudice, accertata l’infondatezza di tali scambievoli addebiti e non potendo, pertanto, pronunciare la risoluzione per colpa di una delle parti, deve dare atto dell’impossibilità di esecuzione del contratto per effetto della manifestazione di volontà di entrambe le parti di non eseguirlo e prevedere di conseguenza sulle domande restitutorie da esse proposte (Sez. 2, n. 4089 del 4/4/2000; Sez. 2, n. 15167 del 24/11/2000; Sez. 2, n. 2304 del 16/2/2001; Sez. 3, n. 10389 del 18/5/2005).

Vi sono state, poi, altre pronunce che, sulla base delle considerazioni del giudice di merito con riguardo ai reciproci inadempimenti, si sono impegnate per stabilire in capo a quale delle parti fosse imputabile l’inadempimento più grave che aveva comportato l’alterazione della sinallagmaticità (cfr., Sez. L., n. 8621 del 23/6/2001; Sez. L. n. 5444 del 15/4/2002; Sez. L., n. 5444 del 15/4/2002; Sez. L., n. 16530 del 4/11/2003; Sez. 3, n. 16822 del 10/11/2003; Sez. 3, n. 10477 dell’1/6/2004; Sez. 2, n. 20678 del 26/10/2005; Sez. 3, n. 23908 del 9/11/2006; Sez. 2, n. 11784 del 7/9/2000).

Successivamente però, con l’emblematica sentenza n. 2984 del 16/2/2016 è stato riaffermato il principio sopra richiamato, secondo il quale, a fronte di contrapposte domande di risoluzione per inadempimento, il giudice che respinga entrambe e dichiari l’intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, opererebbe in violazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c.

Ebbene, secondo la Corte ­soltanto questo orientamento può ritenersi corretto qualora la risoluzione cd. consensuale del rapporto non sia mai stata chiesta dalle parti.

Per la risoluzione è necessario il grave inadempimento

Infine, la Corte ha altresì precisato come, anche in presenza di reciproche domande di risoluzione per inadempimento, debba comunque essere presente il requisito di cui all’art. 1455 c.c. in quanto, stando alla lettera della norma, il contratto non si può risolvere se l’inadempimento «ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte».

Di conseguenza, laddove il giudice riconosca la gravità dell’inadempimento dell’uno rispetto ad un altro può pronunciarsi accogliendo la domanda dell’uno o dell’altro ovvero rigettando entrambe nel caso in cui reputi che nessuno dei due contendenti integri il grave inadempimento.

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