Pensione cassa forense: rivalutazione dei redditi all’effettivo versamento dei contributi

La Sezione Lavoro della Cassazione, con la sentenza n. 24639 del 5 settembre 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), interviene su un’importante questione relativa al calcolo delle pensioni degli avvocati. La pronuncia chiarisce la corretta decorrenza per la rivalutazione dei redditi utili alla pensione, ma stabilisce un nesso inscindibile tra il diritto a una prestazione pensionistica più elevata e l’integrale adempimento dell’obbligazione contributiva. Per approfondimenti sul nuovo diritto del lavoro, Maggioli Editore ha organizzato il corso di formazione “Corso avanzato di diritto del lavoro – Il lavoro che cambia: gestire conflitti, contratti e trasformazioni”.

Il caso

La vicenda giudiziaria trae origine dalla domanda di un avvocato volta a ottenere la riliquidazione della propria pensione di vecchiaia. Nello specifico, il professionista chiedeva che la rivalutazione dei suoi redditi professionali, utilizzati per il calcolo della media pensionabile, partisse dall’anno 1980, applicando l’indice ISTAT relativo all’inflazione registrata tra il 1979 e il 1980 (pari al 21,1%).

La Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense (CNPAF) aveva invece applicato la rivalutazione solo a partire dal 1981, utilizzando un indice meno favorevole, pari al 18,7%. Sia il tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello di Milano avevano dato ragione al pensionato, accogliendo la sua interpretazione dell’articolo 27 della Legge n. 576/1980, che disciplina il sistema previdenziale forense. La Cassa Forense, ritenendo errata tale interpretazione e lamentando il mancato versamento dei maggiori contributi che sarebbero derivati dall’applicazione dell’indice più elevato, ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La decisione

La decorrenza della rivalutazione

Il primo motivo di ricorso della Cassa, volto a contestare la decorrenza della rivalutazione a partire dal 1980, è stato respinto dalla Corte di Cassazione. La Corte ha ribadito un principio già affermato in precedenti pronunce (Cass. n. 9698/2010; Cass. n. 16585/2023), chiarendo che l’articolo 27, comma 4, della L. n. 576/1980 non ha natura transitoria, ma introduce un criterio generale applicabile a tutte le pensioni maturate nel periodo di sua vigenza.

In questa prospettiva, per le pensioni di vecchiaia decorrenti dal 1° gennaio 1982, la media dei redditi di riferimento deve essere determinata previa rivalutazione a partire dal 1980. La Corte ha quindi precisato che il primo coefficiente da applicare è quello basato sulla variazione ISTAT del 1979, ossia l’anno anteriore all’entrata in vigore della legge. Su tale aspetto, la decisione dei giudici di merito è stata confermata, con esito favorevole al pensionato.

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La questione contributiva

L’attenzione della Corte si è poi concentrata sul secondo e sul quarto motivo di ricorso, nei quali la Cassa lamentava la mancata corresponsione dei maggiori contributi e sosteneva la necessità di calcolare la pensione sulla base dei versamenti effettivamente effettuati. La Corte ha accolto tale impostazione, operando una distinzione fondamentale: il diritto a una rivalutazione più favorevole non può tradursi automaticamente in una prestazione pensionistica maggiore se non vi è corrispondenza con i contributi realmente versati.

La rivalutazione, infatti, costituisce parte integrante del reddito imponibile e incide direttamente sulla base contributiva. Nel caso concreto, i contributi erano stati versati calcolando un reddito rivalutato con indice inferiore (18,7% invece del 21,1%), determinando così una parziale omissione contributiva.

In questo senso, la Corte ha richiamato l’articolo 2 della L. n. 576/1980, che prevede che la pensione sia determinata sulla base degli anni di “effettiva iscrizione e contribuzione”. L’aggettivo “effettiva”, secondo la giurisprudenza consolidata, introduce un vincolo di commisurazione: la prestazione pensionistica deve essere parametrata ai contributi realmente versati e non a quelli soltanto astrattamente dovuti.

Ne consegue l’esclusione di qualsiasi automatismo: nel sistema previdenziale dei liberi professionisti non opera il principio dell’automatismo delle prestazioni tipico del lavoro dipendente. In altre parole, non può sorgere un diritto a una prestazione pensionistica più elevata in assenza, totale o parziale, del corrispondente versamento contributivo.

Conclusioni

In conclusione, la Corte cassa la sentenza d’appello e rinvia la causa a una nuova sezione della Corte d’Appello di Milano, enunciando il seguente principio di diritto:

In tema di previdenza forense, i redditi da prendere a riferimento per il calcolo della pensione di vecchiaia, ai sensi dell’art. 2 l. n. 576/80, sono quelli coperti da contribuzione ‘effettivamente versata’, sicché, in caso di applicazione su tali redditi di un coefficiente di rivalutazione ISTAT inferiore a quello dovuto, con corrispondente minor contribuzione versata […], la pensione di vecchiaia va calcolata prendendo a riferimento i redditi rivalutati secondo il minor coefficiente applicato, anziché secondo quello maggiore dovuto“.

La sentenza, pur confermando la corretta data di decorrenza della rivalutazione, riafferma con forza un principio di correlazione tra contributi e prestazioni. Il pensionato non può beneficiare di un calcolo più favorevole se non ha sostenuto il relativo onere contributivo. Questa decisione tutela l’equilibrio finanziario della Cassa Forense e garantisce l’equità del sistema, evitando che prestazioni non coperte da adeguata contribuzione gravino sulla collettività degli iscritti.

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