L’efficacia oggettiva del contratto collettivo. Limiti e implicazioni

in Giuricivile.it, 2022, 5 (ISSN 2532-201X)

La caduta dell’ordinamento corporativo,[1] la mancata attuazione dell’articolo 39 della Costituzione e il fallimento della cosiddetta legge Vigorelli,[2] ci permette di utilizzare, quale regolamento negoziale dei rapporti di lavoro, il contratto collettivo di diritto comune.

Il contratto collettivo e le sue funzioni

Esso, come già evidenziato in altra sede,[3] è riconducibile nell’alveo dei contratti atipici meritevoli di tutela, ex art. 1322, comma 2, del codice civile.[4] In forza di tale assunto, la disciplina applicabile al contratto de quo è quella dettata per i contratti in generale [5] e non quella dei contratti corporativi ivi contenuta negli artt. 2067 e seguenti del codice civile.

Ad ogni modo, se volessimo – in estrema sintesi – definire la funzione del contratto collettivo, allora dovremmo asserire che esso ha la funzione caratteristica di tipo normativo, traducibile nel compito di predeterminare il contenuto dei contratti individuali e di stabilirne i minimi di trattamento economico. In altre parole, il contratto collettivo rappresenta la fonte eteronoma del contratto individuale. È proprio in ragione di tale assunto che sarà possibile introdurre, nel successivo paragrafo, la lettura del tema dell’efficacia oggettiva del contratto collettivo di diritto comune.

Pur tuttavia, prima di entrare nel vivo del tema, è bene palesare che il contratto collettivo non si esaurisce nella sola funzione normativa, poiché esso assurge ad altre funzioni, tra cui, a mero titolo esemplificativo, a quella obbligatoria e quella di natura economica. Non solo. La legge, utilizzando le cosiddette clausole di rinvio,[6] sovente investe il contratto collettivo, nell’ambito della funzione normativa, di funzioni integrative, autorizzatorie e/o derogatorie. La funzione integrativa, a sua volta, conduce alla stipulazione dei contratti collettivi con funzione gestionale[7] e/o regolamentare delegata.[8] 

Cosa si intende per efficacia oggettiva del contratto collettivo?

Per efficacia oggettiva del contratto collettivo si intende l’efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale, nella doppia accezione di inderogabilità ed efficacia reale (sostituzione delle clausole difformi dei contratti individuali con quelle del contratto collettivo). La norma di riferimento è l’art. 2077 del codice civile, la quale nei suoi rispettivi commi enuncia le accezioni sopra richiamate di efficacia oggettiva. Di fatti, l’articolo 2077 c.c. recita il seguente: “i contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo.

Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro”.

Il dibattito sull’inderogabilità del contratto collettivo ha determinato, da sempre, e in particolare dai primi anni del secolo scorso, l’evoluzione del diritto sindacale.

La disposizione, come dichiarato da autorevole dottrina,[9] fa parte della sezione “corporativa” del codice civile, improntata ad una concezione pubblicistica del contratto collettivo, per cui si è dubitato della possibilità di estenderla al contratto collettivo post costituzionale, rectius di diritto comune. In ogni caso, la giurisprudenza – con un approccio pragmatico – ha sempre ricondotto, oserei definire felicemente, quanto ci occupa nella lettura dell’articolo 2077 c.c.. In effetti, i principi dell’articolo poc’anzi richiamato “ben si adeguano anche alla situazione giuridica attuale limitatamente agli iscritti alle associazioni stipulanti, nei confronti dei quali il contratto collettivo, per quanto stipulato da associazioni prive di personalità giuridica, opera con quella stessa efficacia obbligatoria con cui operava il contratto collettivo corporativo nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria”.[10] Tuttavia, dottrina più intransigente,[11] forse segnata dalla coeva, atavica, ancestrale esperienza corporativa, sulla scorta della portata pubblicistica della norma in commento, e dalla considerazione che la giurisprudenza non è fonte del diritto, ha ricondotto la fattispecie in esame sotto il disposto dell’art. 2113 del codice civile, che attribuisce al contratto collettivo la qualità di fonte normativa inderogabile del contenuto del contratto individuale. Secondo l’autore, pur tuttavia, tale attestazione non è condivisibile, giacché la disposizione dianzi richiamata non ha la forza di stabilire, espressamente, l’invalidità delle clausole meno favorevoli del contratto individuale; la sostituzione con quelle del contratto collettivo; la prevalenza delle clausole del contratto individuale, anche preesistenti, purché più favorevoli.

È chiaro che, al di là delle letture giurisprudenziali e dottrinali della materia, il contratto individuale, dovendosi uniformare al regolamento contrattuale collettivo, potrà operare solo deroghe in melius, Ne consegue, alla luce di quanto summenzionato, che – in virtù di quanto stabilito dal secondo comma dell’art. 2077 c.c. – al lavoratore sarà applicata la disciplina di maggior favore (in ossequio al c.d. favor lavoratoris), che risulterà da una comparazione tra il contratto collettivo ed il contratto individuale.

Criteri di comparazione dei regolamenti negoziali

A valle, dunque, di quanto sopra significato, è doveroso affrontare la questione, spinosa, “ardua” della determinazione del trattamento più favorevole.

Sul punto è indispensabile annotare le posizioni della giurisprudenza, tutt’altro che univoche, le quali propendono, sostanzialmente, verso tre ipotesi di raffronto.

Il primo criterio utilizzato è quello del conglobamento, in ragione del quale la comparazione non deve essere svolta clausola per clausola, ma con una valutazione complessiva.[12] Di talché, se ad esempio nel contratto individuale si stabilisce un minor numero di giorni di ferie ma un riduzione dell’orario normale di lavoro occorrerà procedere alla comparazione dei trattamenti complessivi di ciascuna fonte. Altro criterio è quello del cumulo, che le parti di comune accordo possono scegliere,[13] sulla scorta del quale andrà effettuato un raffronto tra le singole clausole contrattuali, e dunque applicata quella più favorevole. Altra parte della giurisprudenza, altresì, enuncia il criterio della comparazione tra discipline dei diversi istituti giuridici, al fine di individuare il trattamento di miglior favore.

In ogni caso, l’orientamento prevalente della giurisprudenza è proteso verso l’applicazione del criterio del conglobamento.

V’è da dire, inoltre, che qualora nel contratto collettivo fossero presenti le clausole c.d. di inscindibilità,[14] non sarà possibile ricorrere al criterio del cumulo, nonché a quello del conglobamento.

Infine, è bene enunciare quella che è la sorte dei superminimi individuali, i quali – salvo diversa pattuizione delle parti – rimangono consolidati nella retribuzione e sono destinati ad essere progressivamente riassorbiti dagli aumenti via via dai contratti collettivi successivi fino al raggiungimento della soglia fissata dal contratto individuale.[15]


[1] Avvenuta, rispettivamente, con il r.d.l. n. 721/1943 e con il decreto legge luogotenenziale n. 369/1944

[2] L. n. 741/1959

[3] Cfr. D. Giardino, L’efficacia soggettiva del contratto collettivo, in Diritto.it

[4]Cfr. R. Del Punta, Diritto del Lavoro, Giuffré, 2020; G. Santoro Passarelli, Diritto dei lavori e dell’occupazione, G. Giappichelli, 2021.

[5] Dall’articolo 1321 del codice civile

[6] Secondo l’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015, la cui rubrica reca “norme di rinvio ai contratti collettivi”, per contratti collettivi si intendono quelli “nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.

[7] Si pensi, ad esempio, agli accordi che stabiliscono i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare nel corso di procedure di licenziamento collettivo.

[8] Si pensi agli accordi che individuazione le prestazioni indispensabili per l’esercizio dello sciopero nei servizi pubblici essenziali.

[9] R. Del Punta, op. cit.

[10] C. 12.5.1951, n. 1184, FI 1951, I, 691

[11] Cfr. M. V. Ballestrero, Diritto sindacale, G. Giappichelli, 2019, 256 ss.

[12] Cass. 8 settembre 1999, n. 9445, in Foro it., 2001, I, c. 1261, con nota di Cosio

[13] Cass. 18 agosto 2004, n. 16191, in Riv. It. Dir. Lav., 2005, II, p. 321

[14] Le clausole di inscindibilità sono quelle nelle quali si stabilisce che le clausole di ogni istituto sono inscindibili tra loro e non cumulabili con altri trattamenti derivanti da altra fonte.

[15] Ex plurimis da ultimo, Cass. 5 giugno 2020, n. 10779

Laureato, prima in Scienze dei Servizi Giuridici con indirizzo risorse umane e consulenza del lavoro presso l'Università degli Studi di Milano, poi in Giurisprudenza presso lo stesso Ateneo. Ha perfezionato gli studi post-laurea conseguendo diversi titoli nel campo della gestione delle risorse umane. Esperto in diritto del lavoro, nel tempo libero si dedica, per passione, alle attività di ricerca ed approfondimento delle tematiche attinenti al diritto del lavoro, al diritto sindacale, alla previdenza sociale, alla sicurezza sul lavoro, al welfare e alla contrattualistica. È formatore della sicurezza nei luoghi di lavoro, responsabile dei servizi di prevenzione e protezione e mediatore civile e commerciale abilitato.

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