Il rinvio giudiziario come denegata giustizia: il caso romano e la crisi sistemica dei Giudici di Pace

Il presente contributo analizza la situazione emergenziale che interessa l’Ufficio del Giudice di Pace di Roma – e più in generale il sistema giudiziario di prossimità – alla luce del recente rinvio disposto dal Giudice della Terza Sezione Civile all’udienza del 9 giugno 2025, con fissazione della comparizione delle parti al 10 ottobre 2028. Si tratta di un caso emblematico di “giustizia rinviata” che solleva serie questioni di compatibilità con l’art. 111 Cost., sotto il profilo della ragionevole durata del processo e dell’effettività della tutela giurisdizionale. L’articolo esamina i profili normativi, costituzionali e organizzativi della vicenda, proponendo spunti di riflessione e intervento per contrastare la trasformazione del processo civile in un rito dilatorio, inefficiente e frustrante per i cittadini.

La giustizia civile italiana, da tempo afflitta da inefficienze strutturali, si trova oggi a fare i conti con un livello di disfunzione che trascende la semplice lentezza processuale, sfociando in forme gravi di negazione del diritto alla tutela giurisdizionale. Ne è testimonianza la vicenda occorsa davanti alla Terza Sezione Civile del Giudice di Pace di Roma, dove in data 9 giugno 2025 il giudice designato ha fissato la prima comparizione delle parti per il 10 ottobre 2028. Tre anni e quattro mesi per la prima udienza: un tempo che sfida ogni parametro costituzionale, convenzionale e di buon senso.

Il caso, denunciato pubblicamente dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma con un comunicato stampa del 13 giugno, assume valore paradigmatico e impone una riflessione articolata sui limiti sistemici dell’attuale organizzazione del giudice onorario, figura centrale nell’architettura della giustizia di prossimità.

Il contesto: scopertura di organico e inefficienze strutturali

Secondo quanto riportato dal COA romano, il rinvio triennale rappresenta solo la punta dell’iceberg di una crisi profonda: la scopertura degli organici dei Giudici di Pace si attesta attualmente al 63% a livello nazionale, con punte dell’80% nei grandi centri urbani, tra cui Roma. A nulla sembra essere valso l’insediamento recente di 16 nuovi giudici onorari presso la Capitale: il sistema appare saturato, con carichi di ruolo insostenibili e un’organizzazione che non consente una gestione efficiente delle cause civili, nemmeno nella fase introduttiva.

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Formulario commentato del processo civile innanzi al giudice di pace

Formulario commentato del processo civile innanzi al giudice di pace

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Lucilla Nigro
Autore di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022, è attualmente Giudice ordinario di pace.

 

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La situazione è tanto più grave se si considera che il Giudice di Pace rappresenta per molti cittadini il primo, e spesso l’unico, contatto con l’apparato giudiziario. Si tratta di un giudice di prossimità, cui sono demandate controversie di modesto valore economico ma di alta rilevanza sociale: dai sinistri stradali alle liti condominiali, dai contratti di consumo ai rapporti di vicinato. È dunque in questo segmento che la lentezza processuale produce i suoi effetti più nefasti, scoraggiando l’accesso alla giustizia e inducendo molti utenti a rinunciare in partenza alla tutela dei propri diritti.

Il principio della ragionevole durata del processo: profili costituzionali e convenzionali

L’art. 111, comma 2, della Costituzione italiana sancisce che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”. La giurisprudenza costituzionale e quella della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) hanno più volte sottolineato che il rispetto del termine ragionevole costituisce un elemento essenziale del giusto processo.

Nel caso in esame, la semplice fissazione della prima udienza a distanza di oltre 1.200 giorni appare prima facie incompatibile con tali parametri. Si configura, in termini sostanziali, una “denegata giustizia”, come denunciato dallo stesso Presidente del COA romano, Paolo Nesta. Il rinvio non è più uno strumento di gestione ordinaria del ruolo, ma diventa la cartina al tornasole dell’implosione di un intero segmento della giurisdizione.

Giustizia di prossimità come garanzia costituzionale

L’accesso effettivo alla giustizia è un diritto fondamentale che non tollera dilazioni arbitrarie. La funzione del Giudice di Pace, anche nella sua natura onoraria, deve essere letta alla luce del principio di effettività della tutela, sancito dall’art. 24 Cost., e del principio di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione della giustizia, di cui all’art. 97 Cost.

Non si tratta solo di un disservizio burocratico, ma di una violazione sistemica del diritto di azione, che compromette l’intero equilibrio costituzionale del processo. La giurisdizione civile non può ridursi a una mera parvenza, svuotata di ogni efficacia concreta da prassi dilatorie che hanno ormai assunto carattere strutturale.

Prospettive di riforma e urgenza di intervento

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma ha indirizzato al Ministero della Giustizia un appello per l’adozione di misure straordinarie volte al potenziamento dell’organico e all’efficientamento dell’organizzazione degli uffici del Giudice di Pace. È necessario andare oltre la logica dell’emergenza, prevedendo una riforma strutturale del ruolo del giudice onorario, dei meccanismi di assegnazione delle cause, della digitalizzazione e della gestione del ruolo.

Tra le proposte operative:

  • l’incremento della pianta organica con procedure semplificate e trasparenti,
  • la stabilizzazione dei giudici onorari con maggiore formazione e controllo,
  • la revisione dei criteri di assegnazione dei ruoli,
  • l’introduzione di strumenti di ADR obbligatori nei contenziosi minori,
  • l’adozione di protocolli per l’accelerazione della trattazione in caso di urgenze sociali.

Conclusioni

Il processo civile non può trasformarsi in un labirinto burocratico che dissuade il cittadino dall’esercizio dei propri diritti. Il tempo della giustizia non è un tempo neutro: è esso stesso giustizia. Se occorrono più di tre anni solo per iniziare una causa davanti al Giudice di Pace, allora il sistema ha fallito la propria missione essenziale. Come ha efficacemente denunciato il Presidente Nesta, “se la Giustizia non è più in grado di garantire risposte ai cittadini in tempi ragionevoli, la Giustizia non è più tale, ma diventa un mero esercizio burocratico fine a se stesso”. In questo senso, il rinvio al 2028 non è solo un dato temporale, ma una rappresentazione plastica della crisi della giurisdizione di prossimità. La vera riforma della giustizia comincia – e forse si decide – proprio da qui.

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